mercoledì 4 Dicembre 2024

“Non riesce più a prendere le pastiglie di morfina”

Uno dei ruoli delle Cure Palliative domiciliari dovrebbe essere quello di evitare in modo proattivo gli accessi DEA di pazienti in fase avanzata di malattia, prevenendo sintomi e situazioni attese nel percorso patologico e preparando psicologicamente e  dal punto di vista pratico/tecnico/logistico il caregiver ed il paziente stesso a tali situazioni. Gli esempi possono essere molteplici: in un tumore testa-collo è sempre possibile un’emorragia acuta massiva o una dispnea ostruttiva acuta, in una SLA la dispnea refrattaria, in una neoplasia del pancreas l’occlusione alta.

Ma la situazione che si presenta forse nella totalità  dei casi di paziente che arriva alla fase di End 0f Life (prognosi attesa inferiore ai 15 giorni) è la impossibilità ad assumere terapia per os, in particolare la terapia per il dolore. E, spesso se il paziente ed il caregiver non sono stati preparati in tempo (perchè “è troppo presto per chiamare le cure palliative”), questa situazione porta il familiare/caregiver a presentarsi in DEA spaventati e con dolore non controllato.

Cosa fare in questi casi? Come dare indicazioni facilmente attuabili al domicilio al paziente ed ai suoi familiari?

Possiamo utilizzare le raccomandazioni sull’utilizzo degli oppioidi nel trattamento del dolore della EAPC (European Association for Palliative Care) pubblicate nel 2012. Da queste raccomandazioni si possono estrapolare alcune semplici regole, valide nel caso del paziente che non riesce più ad assumere terapia per os, ma anche in generale nella prescrizione di una terapia antidolorifica con oppioidi. Quelli che seguono quindi sono una serie di consigli pratici che potranno sembrare ovvi, ma che sovente, proprio perchè banali, si tende a non considerare:

1- la via da preferire dovrebbe sempre essere quella orale per chiari motivi di semplicità, empowerment del paziente, costi, gestibilità al domicilio, ecc.

2- nel prescrivere una terapia con oppioidi andrebbe sempre tenuto in considerazione la cosiddetta “titolazione”. Questa può essere riassunta con il concetto di iniziare con bassi dosaggi di oppioide long acting ATC (Around The Clock) lasciando al paziente la possibilità di ricorrere ad un dosaggio short acting (calcolato con la regola del 1/6 della dose ATC giornaliera) in caso di dolore non controllato; dopodichè rivalutare e rimodulare quotidianamente il dosaggio della formulazione ATC in base alla quantità di dose rescue utilizzata (gli incrementi della dose ATC di solito dovrebbero essere del 25-50% della dose precedente, senza paura di raggiungere alti dosaggi).

3- non esistono essenzialmente oppioidi “migliori” di altri; PAPAVERO la morfina è l’oppioide più utilizzato, più economico e più conosciuto nel suo profilo famacologico e farmacodinamico. Rimane il farmaco di scelta anche nel controllo del sintomo dispnea e quindi può essere utilizzato come la classica “fava per prendere due piccioni” in pazienti respiratori (molto interessante questo studio – Safety of benzodiazepines and opioids in very severe respiratory disease  – che meriterebbe un post ad hoc). E’ inoltre l’unica molecola di cui in Italia esistono tutte le formulazioni long e short acting orali e parenterali. Unico inconveniente: bisogna fare molta attenzione in caso di insufficienza renale per rischio di accumulo di metaboliti attivi (segno clinico tipico sono le clonie, più precoci delle famigerate depressione respiratoria e miosi pupillare).

Nell’insufficienza renale la molecola di scelta è il fentanylFENTANIL CEROTTO, presente in Italia in formulazione transdermica, formulazioni sublinguali/transmucosali/nasali (a rapidissima azione, ora molto “di moda” con l’avvento del concetto di Breakthrough Cancer Pain, molto costose e da scheda tecnica utilizzabili solo in pazienti con diagnosi oncologica -sic- ed in terapia ATC con almeno una dose equivalente di 60 mg di morfina per os) e fiale (poco utilizzate in Cure Palliative). I famosi “cerotti” non dovrebbero mai essere tagliati in quanto mezzo cerotto non garantisce la somministrazione di metà dosaggio. Inoltre questi non andrebbero utilizzati per la titolazione poichè per raggiungere lo steady state la via transdermica impiega tra le 12 e le 24 ore (si cade spesso nell’errore di aumentare frettolosamente il dosaggio di un cerotto pensando non sia sufficiente quando in realtà il dosaggio che abbiamo appena “appiccicato” non è ancora effettivamente “in azione”; da qui il rischio di di trovarsi dopo qualche giorno in overdose…).

Gli altri oppioidi presenti in italia sono l’ossicodone (long acting e short acting solo però associato a paracetamolo, che ne limita la maneggevolezza), l’ idromorfone (solo long acting), la buprenorfina (agonista/antagonista con effetto tetto, in formulazione transdermica, fiale e cp sublinguali utilizzate soprattutto nei Sert). Ogni oppioide ha una dose equivalente rispetto alla morfina per os in base alla sua potenza

RELATIVE ANALGESIC RATIO STRENGTH OF THERECOMMENDATIONFOR USE
Oral morphine to oral oxycodone 1.5 – 2 : 1 Strong
Oral oxycodone to oral hydromorphone 4 : 1 Strong
Oral morphine to oral hydromorphone 5 : 1 Weak
Oral morphine to TD buprenorphine (*) 75 : 1 Weak
Oral morphine to TD fentanyl (**) 100 : 1 Strong

(*) Example: 60 mg oral morphine to 35 μg/h TD buprenorphine (equivalent to 0.8 mg per 24 h). (**) Example: 60 mg oral morphine to 25 μg/h TD fentanyl (equivalent to 0.6 mg per 24 h).

Il metadone è utilissimo nei dolori “difficili” con componente neuropatica, ma per il suo profilo farmacocinetico difficilmente prevedibile è utilizzabile solo da mani esperte.

4- Per “rotazione degli oppioidi” (switching) si intende il passaggio da un oppioide forte ad un altro oppure da una via di somministrazione ad un’altra. La rotazione può essere attuata perchè l’oppioide che stiamo usando non sta dando una ottimale copertura del dolore al costo di effetti collaterali eccessivi, oppure, più frequentemente, perchè la via di somministrazione fin qui utilizzata non è più praticabile.

5- Le vie alternative alla via orale sono la via transdermica (molto comoda al domicilio per l’ATC, non necessitando di microinfusori o elastomeri, ma con la limitazione di una scarsa affidabilità nell’assorbimento in pazienti cachettici, oppure in ambienti molto caldi o molto freddi per eccessiva sudorazione o vasocostrizione cutanea, tipica anche dell’end of life), la via endovenosa (la più immediata, ottima per la titolazione rapida, ma di difficile gestione al domicilio, soprattutto in assenza di accessi venosi stabili), dove non può inoltre essere utilizzata per terapia estemporanea dal caregiver. Altre vie alternative sono le vie peridurale e intratecale (utilizzate in ambito specialistico antalgico) e la via sottocutanea.

Quest’ultima via è la più indicata nel paziente in cure palliative  per la sua facilità di utilizzo soprattutto da parte del caregiver “laico” al domicilio, richiedendo solamente un breve e semplice training. Può essere utilizzata sia per la somministrazione della terapia ATC, soprattutto se in associazione ad altre terapie in continuo (benzodiazepine, antipsicotici, anticolinergici), sia per la gestione della terapia per sintomi attesi (per il dolore e anche per tutti gli altri sintomi tipici del paziente in end of life). Questa via inoltre permette, in mancanza di microinfusori od elastomeri, la somministrazione ad orario (ogni 4 ore in condizioni di funzionalità renale nella norma) di boli ripetuti di morfina da parte del caregiver. Per la comodità del paziente e del caregiver stesso, può essere inoltre posizionato un angioset sottocutaneo per evitare punture ripetute.

Gli unici oppioidi disponibili per via parenterale sono la morfina, il metadone, i tramadolo ed il fentanyl. Tra questi il più utilizzato in cure palliative è la morfina (in UK l’oppioide parenterale di scelta è la diamorfina, aka eroina…).

Per calcolare il dosaggio equianalgesico è necessario calcolare la dose equivalente a morfina orale che il paziente sta assumendo e dopodichè dividerla per 2 per ottenere la dose equivalente a morfina sottocutanea oppure dividerla per 3 per ottenere la dose equivalente a morfina endovenosa. Per il metadone la dose parenterale (ev o sc) è pari a 1/2 della dose per os. Le principali app mediche hanno tutte ormai uno strumento per calcolare le dosi equianalgesiche, tra i diversi calcolatori (come tra le differenti linee guida) possono riscontrarsi differenze di rapporto, specialmente per quello che riguarda l’ossicodone  (il cui rapporto con la morfina orale può variare da 1,5 a 2) e la morfina parenterale (per alcune scuole il rapporto è sempre di 1/2 rispetto alla morfina orale sia per l’endovena che per il sottocute).

Un’ultima accortezza al momento della rotazione è quella di ridurre sempre la dose equivalente del 20-25% per evitare il rischio di effetti collaterali da eccesso di oppioidi a causa del fenomeno della tolleranza crociata incompleta dei vari recettori oppioidi alle diverse molecole / vie di somministrazione.

Quindi, ad esempio, per un paziente in terapia con ossicodone a rilascio prolungato 40 mg x 2, nel momento in cui debba essere ruotato a morfina sottocutanea, il calcolo sarà: CALCOLATRICE HELLO 80 mg/die di ossicodone = 160 mg/die di morfina per os = 80 mg/die di morfina sottocute, da ridurre ulteriormente del 20-25% –> 60 mg/die di morfina sottocute. Questa terapia potrà essere somministrata in microinfusore sottocute o, in mancanza di questo, in boli ripetuti ogni 4 ore di 1/6 della dose. La terapia in caso di dolore incidente che potrà essere somministrata sarà pari ad 1/6 della dose totale, cioè morfina 10 mg sc, che, sempre considerando l’emivita della morfina parenterale (in funzionalità renale nella norma), sarà ripetibile dopo 4 ore.

E’ normale che in certi tipi di dolore (ad esempio dolore osseo da frattura al momento della mobilizzazione, dolore a livello di ulcere al momento della medicazione) sia necessario ricorrere più volte al giorno a terapia rescue. Possono esistere inoltre dolori episodici intensi, per definizione non prevedibili o prevenibili per i quali neppure l’incremento della terapia ATC ha successo, ma che richiedono invece l’utilizzo di formulazioni di oppioide a rapidissimo assorbimento, analogo alla somminitrazione endovenosa, come quelle di fentanyl transmucosale o intranasale. Questo tipo di dolore è stato definito come Breakthroug Cancer Pain (BTcP).

6- gli oppioidi deboli (oppioidi caraterizzati da una dose tetto, oltre la quale non aumenta la potenza anlgesica ma solo gli effetti collaterali; tramadolo e codeina in Italia, più il nuovo arrivato tapentadolo) possono essere bypassati nei dolori moderati e possono essere sostituiti direttamente da oppioidi forti a bassi dosaggi in titolazione, evitando così’ di sottoporre il paziente ad ulteriori rotazioni al  raggiungimento dell’effetto tetto.

7-  i farmaci adiuvanti sono farmaci non puramente analgesici che vengono associati al farmaco oppioide di base per potenziarne l’effetto, spesso indirizzati su uno specifico tipo di dolore. I più usati sono il gabapentin, il pregabalin e l’amiltriptilina per il dolore neuropatico, gli steroidi in dolori da compressione, gli antispastici nel dolore colico, le benzodiazepine per la loro funzione miorilassante e sulla componente ansiosa/anticipatoria di alcuni tipi di dolore. Anche i FANS possono essere utilizzati come adiuvanti, spesso sul dolore osseo, oltre ad avere un certo effetto sulla cachessia neoplastica. Da tenere d’occhio l’insufficienza renale e la  funzionalità epatica (tantissimi sono i pazienti in terapia per mesi con il famigerato 1 g x 3 di paracetamolo…).

8- infine attenzione alla stipsi, l’unico sempre presente effetto collaterale da oppioidi. Utile sempre prescrivere un lassativo insieme agli oppioidi (anche per le formulazioni associate al naloxone…). STIPSI

9- purtroppo il dolore non è l’unico sintomo o problema che il paziente in fase avanzata di malattia presenta, ma è spesso il primo sintomo che viene riferito al medico. Un buon controllo delle altre problematiche (campo in cui un vero servizio di Cure Palliative, per essere veramente utile,dovrebbe intervenire precocemente) porta inevitabilmente ad un miglior controllo del dolore e viceversa. E qui si apre il concetto di Dolore Totale, vera e propria sfida alla cooperazione e collaborazione tra professionisti diversi dell’intero sistema socio/sanitario…   DOLORE_GLOBALE

Fabrizio Motta
Fabrizio Motta
Dirigente Medico presso la SS Cure Palliative dell ASL CN1. Interessato alla Medicina d'Urgenza e a diffondere la filosofia delle cure palliative (aka #buon senso") nelle altre specialita'. #hpm #hpmglobal #hpminem @cinghio81 | + Fabrizio Motta

21 Commenti

    • grazie mille. lavori anche tu in cure palliative? noi siamo organizzati con hospice, ambulatori, day hospice e assistenza domiciliare, con le mille difficolta’ di essere pubblici, pochi e con una “provincia granda” da coprire…

  1. ciao Fabrizio. No, io sono un’anestesista che fra le tante cose faccio anche terapia antalgica . Talvolta capita di essere chiamati per decisioni di fine vita /accompagnamento, perché in questo c’e’ ancora mancanza di coraggio/obiettività di valutazione. Sul territorio prima erano in due colleghe, ora una sola (l’altra è in pensione) che si fa un mazzo enorme. Dopo un anno di richieste e insistenze, sembra che l’azienda si sia decisa: col prox anno usciremo a turno fuori l’H anche io , una collega internista con master in palliative e un’altra anestesista di altro H vicino . Non ho idea però come pensano di organizzare il tutto. Il primario radiologo ha richiesto un ecografo per fare procedure ecoguidate a domicilio e una macchina per fare rx sempre a domicilio , con il loro supporto. Sarebbe bellissimo! Si potrebbe fare paracentesi, toracentesi, mettere picc o cvc in casi estremi a casa, eventuali blocchi, ….insomma aiutare davvero questi malati. Ecco perché ti ho chiesto cone siete organizzati (a domicilio). -scusate, cancellate pure il mio commento se ritenuto off topic

    • E’ molto vedere che pian pianino le cose si stanno muovendo, vuol dire che le cure palliative iniziano ad essere non piu’ una “concessione” perche’ “siamo buoni”, ma un vero e’ proprio bisogno di salute avvertito dalla popolazione e, ancora piu’ importante, da noi stessi sanitari.
      Se vuoi contattami via email ([email protected]) o twitter per parlare della parte piu’ pratica/organizzativa.
      in bocca al lupo!

    • Non so se riuscirete a dare vita a questo progetto Arianna, ma mi auguro davvero che vada in porto. Credo che al di là della convenienza puramente logistica per i malati queste iniziative preservino la dignità dei pazienti spesso annullata dalla dinamica ordinaria degli ospedali e che rimane, purtroppo, l’unica incongrua risposta ancora per molti di loro.

  2. Fabrizio, grazie per il tuo contributo. Per me è estremamente utile. Sebbene sia molto sensibile al problema del dolore onestamente ho un gap culturale da colmare sulla gestione del dolore oltre la valutazione in PS e questo post mi è di stimolo a riconsiderare alcune abitudini.
    Ci solo due aspetti su cui ti chiedo un commento possibilmente. Il primo è sull’uso degli oppiacei. Differentemente dalla pandemia di prescrizioni che si fa negli USA la realtà italiana vista dalla mia postazione sembra molto diversa. Ho l’impressione che si sia piuttosto restii alla prescrizione di questi farmaci non solo nei pazienti oncologici ma anche per altre situazioni di dolore cronico. Sono diventato con il tempo più liberale nelle prescrizione di questi farmaci sebbene spesso mi trovi in difficoltà ad avviare terapie che non posso monitorare e che non so se sul territorio verranno poi seguite. Mi chiedo quanto sia sicuro dare al paziente delle istruzioni per gestire gli incrementi di terapia senza che, per ogni aggiustamento, si debba rivolgere al medico. Esiste letteratura a riguardo? Qual’è la tua esperienza?

    Il secondo aspetto è quello della costipazione da oppiacei. Non infrequentemente giungono in PS pazienti con stipsi ostinata da oppiacei talora con quadri franchi di occlusione. Ho letto dell’uso del naltrexone per via enterale e del metilntrexone per via sottocutanea come terapia acuta coadiuvante dei rimedi tradizionali. Mi piacerebbe sapere da te se li utilizzi e nel caso come.

    Benvenuto in Empills!

    • Ciao Mattia,

      grazie per il commento e per il benvenuto (anche se questo e’ il mio secondo post, il primo e’ stato a febbraio – http://empills.com/2014/02/vorrete-mica-farlo-morire-di-sete/ – ho fatto aspettare non poco Carlo per una replica…).
      L’utilizzo degli oppioidi anche nel dolore benigno e’ in aumento in Italia, anche grazie alla legge 38/2010 che ne ha facilitato la prescrizione e distribuzione.
      Il problema per chi come voi vede il paziente in maniera puntiforme in DEA sta nel seguire il paziente nella titolazione e valutazione degli effetti collaterali (ma questo vale anche per tutte le altre terapie). E qui e’ ovvio che il territorio deve fare la sua parte. Un paziente con dolore non controllato deve essere seguito nel tempo, anche perche’ il piu’ delle volte il dolore non e’ il suo unico sintomo/problema…
      Dal punto di vista pratico al paziente, e soprattutto al suo caregiver, lasciamo gestire la terapia rescue (“al bisogno”) con l’avvertenza di tenere un diario delle somministrazioni extra da far vedere al medico al controllo successivo per rimodulare la terapia ATC.
      No, a meno di avere davanti pazienti e caregiver gia’ “testati” e affidabili, la variazione della terapia ATC sta al medico. Non e’ necessario pero’ che questo medico sia lo specialista, al momento della prescrizione diamo noi indicazioni al MMG sulla titolazione (e qui si apre il dibattito relativo alla comunicazione DEA/ospedale/territorio di cui il precedente post di Alessandro Riccardi parlava).
      Detto questo non mi e’ mai capitato di vedere problematiche relative all’utilizzo per eccesso di questi farmaci, semmai il problema qui da noi e’ la tendenza dei pazienti a sottoutilizzare e ad automodificarsi per difetto la terapia, a “sopportare” il dolore, a “non prendere troppi farmaci”, salvo poi abusare di FANS piu’ o meno da banco…
      L’obiettivo sarebbe quello di avere una base di conoscenze uniforme ed evidence based riguardo l’utilizzo di questi farmaci al quale rifarsi per gestire “in prima battuta” il paziente non complicato, alla stessa stregua di quello che avviene per l’ipertensione, o il diabete.
      Penso che la soluzione stia nel fare formazione a chi si trova a prescrivere e gestire questi farmaci e soprattutto questi pazienti. Si dovrebbe partire dall’Universita’ (dallo zero assoluto su dolore e cure palliative di meno di dieci anni fa si sta pian piano iniziando almeno ad affrontare l’argomento) ed arrivare a coinvolgere le generazioni di colleghi formate con l’assioma “non usate la morfina perche’ deprime il respiro”…
      Per quanto riguarda la stipsi, il trattamento piu’ efficace e’ la prevenzione. E’ sempre bene prescrivere insieme a famaci oppiacei (compresa la formulazione di ossicodone associata a naloxone…) dei lassativi osmotici (lattulosio o meglio ancora macrogol – meno meteorismo) ed eventualmente in seconda battuta associare altri lassativi con diverso meccanismo d’azione (molto usata la senna). Importante e’ verificare la compliance del paziente (“ho smesso il lassativo perche’ andavo bene di corpo”). Dopo 4 o 5 giorni senza evacuazioni consigliamo dei microclismi o dei clisteri, fino ad arrivare a vere e proprie rettoclisi nei pazienti ricoverati. Il metilnaltrexone sottocute funziona molto bene come terapia “rescue”, ma ha il difetto di essere molto costoso. Non ho esperienza per quanto riguarda l’utilizzo del naltrexone.
      Nella nostra esperienza tra hospice e domicilio, avremo utilizzato il metilnaltrexone forse una o due volte dalla sua uscita in commercio: un buon monitoraggio ed educazione del paziente e caregiver sono piu’ che sufficienti nel controllare la stipsi da oppioidi.
      Spero di esserti stato d’aiuto
      Grazie ancora per l’interesse

  3. per studenti come me articoli così sono un toccasana.. non è prevista nell’architettura del blog la possibilità di stamparli o, meglio, di salvarli per benino come pdf? sono poche nozioni ma in grado di orientare chi ne è digiuno. questo come mille altri post che sarebbe bello avere con sé!

  4. Post interessantissimo e da studiare come si deve.
    Nella mia ‘semplicita’ di specializzando in PS, spesso sul paziente con dolore non controllaot mi limito a fare boli di morfina o a metterla in infusione, senza cambiare la terapia o dare indicazioni per altri farmaci eccetera. Credi che sia un approccio accettabile in attesa della consulenza di un ‘esperto’, o rischio di fare danni?

  5. C’è anche il moventig x la stipsi (naloxegol) che funziona bene. Soprattutto in chi non ha storia precedente di stipsi.

  6. Grazie Carlo per aver ri-pubblicato questo post di ormai 3 anni fa, vista la mia pigrizia a scriverne di nuovi (per la quale mi scuso..).
    Grazie anche per i nuovi commenti.
    In teoria la gestione della terapia del dolore (o degli altri sintomi in cure palliative) “di base” andrebbe considerata alla stessa stregua della gestione della terapia antipertensiva o della terapia del diabete di base: tutti dovrebbero essere in grado di prescriverla e bisognerebbe rivolgersi allo specialista solo per i casi piu’ complicati. Detto questo, in caso di dubbio, meglio prenotare il paziente dal DEA per una visita antalgica (o meglio di Cure Palliative se il problema non e’ il solo dolore) come follow up dopo l’accesso in DEA (oppure, se ne avete, contattare telefonicamente un collega palliativista – hahaha) nella speranza che cosi’ facendo si possano evitare ulteriori accessi (spesso impropri) in DEA…
    Per quanto riguarda il naloxegol, questo non era ancora uscito in commercio ai tempi del mio post, l’indicazione sarebbe per stipsi da oppioidi resistente ai lassativi convenzionali. Nella nostra esperienza (al di la del prezzo elevato) abbiamo avuto dei discreti risultati in stipsi ostinate, comunque pero’ sempre in associazione a macrogol ad alti dosaggi (8 buste/die…).

  7. Sì. … mi sono accorta dopo che il post era datato, sorry. …
    Nella nostra esperienza funziona bene da solo nella stipsi da oppioide “pura”… in chi aveva già una storia di stipsi un po’ meno. Ciao

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