domenica 6 Ottobre 2024

Non siamo eroi…

Mio papà usciva tutte le mattine alle ore 7.40: giacca e cravatta, borsa da medico ed all’interno il suo mantello bianco, un camice, di cui la mia giovane età mi faceva ignorare quanto fosse stropicciato. Lo vedevo uscire dalla porta bianca di casa, poi lo seguivo con lo sguardo dalla finestra del salone, lo vedevo attraversare la strada e poi rapido imboccava quella che lo portava all’ospedale del nostro piccolo paese.

Uscito dal mio campo visivo, iniziava la mia realtà in cui mio padre indossava il suo mantello ed iniziava il suo lavoro di supereroe fatto di nomi strani, antibiotici, di armi atipiche come il fonendoscopio e poi quella più terribile per un bambino: la supposta.

Ogni sera tornava, per me sempre vittorioso; alle ore 18.30, varcava l’ingresso del salone, posava il suo costume, abbracciava mia madre; a volte con lo sguardo più corrucciato del solito e con un velo di tristezza. Non ne davo peso o non volevo darne peso, costruendo la mia realtà in cui il mio supereroe sconfiggeva tutte le malattie e salvava tutti i suoi pazienti.

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Ho deciso allora di diventare medico, sull’onda della versione poetica e romantica di un padre esempio di dedizione e sacrificio a quello che più che un lavoro era un impegno ed una promessa.

Sono cresciuto con il mito della medicina infallibile e della voglia di guarirlo questo mondo. Nei lunghi pomeriggi di studio della medicina ho trovato e condiviso la stessa voglia e lo stesso entusiasmo con decine di altri medici in miniatura; ho tremato nel momento di indossare la prima volta il mio mantello e la mia arma, guardando con occhi stupiti il mio fonendoscopio e convinto di poter fare solo bene e del bene. Ho trascorso gli anni della mia specialità nel solco di medici assurti a mentori con la voglia di succhiare il sacro fuoco della conoscenza e del mestiere, per curarlo questo mondo, ed anche un pò di cambiarlo, perchè no?

Poi ho iniziato ad essere io il Dirigente Medico. Il cammino è iniziato proprio un anno fa. Dirigente: già il nome si scontrava un pò con la mia versione infantile e romantica dell’essere medico: può un supereroe essere un Dirigente? Avevo i miei dubbi che conservo tuttora.

Ricordo ancora il mio primo turno in DEA; meglio, ricordo l’attesa del mio primo turno, lo spogliatoio, il mio armadietto; il mio camice e il mio fonendoscopio che non sembravano più corazza così sicura o arma così invincibile.  Poi ricordo di essere entrato in Pronto Soccorso e di aver incrociato gli occhi del mio primo paziente che mi chiedeva aiuto, conforto, sollievo. Io allora vedevo solo l’obbligatorietà e la pretesa di una risposta certa al suo problema di salute.

Quei gesti li ho ripetuti centinaia di volte ormai, ogni volta ancora con la stessa paura, gli stessi timori e gli stessi fantasmi nella mente: la paura di sbagliare, la paura di non capire, la paura in definitiva di non essere abbastanza; la paura di deludere i miei sogni, il mio io bambino e forse il mio papà.

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Tuttavia è capitato: è capitato di non capire, è successo di sbagliare, è accaduto di non avere risposte; non solo una volta, non poche volte. Guardavo il mio fonendo ma non mi dava risposte; indossavo il mio camice ma non ero investito dal sacro fuoco della scienza. E ricordo i loro volti, i loro occhi e i loro nomi; mi ricordo ancora la vergogna, la sensazione di fiducia tradita, la voglia di nascondersi, di tornare nel mio salone di casa da bambino e guardare mio padre ed abbracciarlo. Pretese e nessuna risposta.

Poi un giorno non mi sono più nascosto. Ho tolto il camice, ho appeso il fonendo. Li ho guardati in faccia, ho fissato i loro occhi e preso le loro mani: mi hanno detto “Grazie”.

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Allora ho capito. Ho capito che anche un medico può sbagliare. Che anche un medico deve sbagliare. Ma può e deve sbagliare solo se ha preso il suo paziente per mano; solo se insieme sono dalla stessa parte. Con umiltà ed abnegazione.

Sbagliamo continumante; nel lavoro e nella vita. Ma ho meno paura adesso.

Sicuramente non ho più paura di dire: “ho sbagliato”. Se sbaglia l’essere umano sbaglia, non può non sbagliare l’essere uomo medico. Non temo più i miei sbagli: sono il modo migliore per poter diventare un medico migliore; non li nascondo più ai miei colleghi: sono il modo migliore per diventare un uomo migliore.

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“Avrò segnato 11 volte canestri vincenti sulla sirena, e altre 17 volte a meno di dieci secondi dalla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Nella vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”. Non lo diceva un medico; lo diceva Michael Jordan. Sicuramente lo ha capito prima di me.

Allora anche oggi mi metto il camice ed il fonendo, ma soprattutto indosso l’entusiasmo per poter ancora dire “incredibile”, l’abnegazione assoluta per poter sempre guardare in faccia i miei pazienti anche quando sbaglio, e l’umiltà per ammettere i miei errori e per saper ringraziare tutti i pazienti che me li fanno dolcemente e pazientemente notare.

 

 

 

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Davide Tizzani
Davide Tizzani
Specialista in Medicina Interna, ma specializzando ancora nell'anima. Esperto di Niente. Interessato a Tutto. Appassionato delle tre E: ecg, ega, ecografia. @DavideTizzani |

12 Commenti

  1. Da una specializzanda ancora al primo anno ancora alla ricerca di un mentore( se esiste?)o di una strada per far bene e crescere..GRAZIE

  2. Caro Davide,
    ho sempre pensato che i veri eroi fossero i nostri pz perché sopportano con dignità e senza una lacrima, di essere spogliati, visitati, monitorizzati, intubati…oggi però, leggendo il tuo post mi sono resa conto che, al contrario di ciò che afferma il titolo da te scelto, anche noi lo siamo…per il semplice fatto che, come insegna la migliore letteratura a fumetti, solo un eroe può salvarne un altro o, al contrario, che solo un eroe può comunicare ad un altro che ha perso per sempre il suo mantello perché chi doveva restituirglielo, forse perché ha cercato nei posti sbagliati, non è stato in grado di ritrovarlo.
    …grazie

  3. che bella emozione leggere le tu parole, una lettera scritta con il Cuore.
    Una lettera che tutti i padri vorrebbero leggere.
    nel caos quotidiano del nostro posto di lavoro sei un riferimento e sei un esempio per tutti

    grazie

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