mercoledì 4 Dicembre 2024

NSTEMI e Linee Guida ESC 2020: cosa è cambiato?

Sono state recentemente pubblicate le nuove Linee Guida ESC sulla gestione dei pazienti con NSTEMI, ma cosa c’è di nuovo rispetto alle precedenti del 2015?

Linee guida ESC NSTEMI

Nel lavoro vengono affrontati diversi items, dalla diagnosi alle strategie terapeutiche farmacologiche ed invasive. Analizzeremo i punti più significativi per la gestione in area di emergenza

DIAGNOSI

Come già noto la diagnosi si avvale dell’integrazione tra anamnesi, presentazione clinica, test di laboratorio ed esecuzione di ECG (da eseguire entro 10 minuti e con eventuale registrazione di derivazioni aggiuntive).

Le Linee Guida propongono 2 spunti nuovi nel percorso diagnostico, ossia:

Protocollo rapido troponina ad alta sensibilità

Viene proposto un rapido algoritmo per il rule in/rule out della sindrome coronarica acuta, nei pazienti emodinamicamente stabili che si presentano in area di emergenza, che si avvale del dosaggio della troponina ad alta sensibilità a 0 e 1 h (come già indicato nelle Linee Guida del 2015) o in alternativa a 0 e 2h (se il primo algoritmo non è validato).  In entrambi i protocolli i valori di sensibilità e il valore predittivo negativo sono molto alti superando il 99%, anche nei pazienti che si presentato in area di emergenza dopo meno di 2 h dall’insorgenza del dolore toracico.

Valori molto bassi di hs-cTn a tempo zero o un delta non significativo a 1 o 2 h permettono di escludere l’origine cardiaca del dolore. Viceversa valori marcatamente elevati a tempo 0 (intesi come un rialzo dei valori di oltre 5 volte il limite superiore di normalità) o un delta incrementato significativamente sono sufficienti per il rule in.

Resta l’indicazione a proseguire l’osservazione e a dosare a 3 h la troponina ad alta sensibilità e ad eseguire un ecocardiogramma nei casi dubbi in cui non sia possibile esprimere un giudizio rapidamente. Inoltre va considerato il dosaggio a 3h nei pazienti che si presentano in area di emergenza dopo meno di 1 h dall’insorgenza del dolore toracico.

Linee Guida ESC NSTEMI

A conferma dell’attendibilità dei protocolli proposti, riporto due lavori: il primo pubblicato su Circulation nel 2018 che compara i valori di sensibilità e specificità dell’algoritmo a 1h e 3h, il secondo pubblicato su Clinical Chemistry analizza l’algoritmo a 2 h.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29866778/
linee guida ESC NSTEMI

Utilizzo della cardioTC

E’ raccomandata l’esecuzione della cardioTC come alternativa all’angiografia per escludere la sindrome coronarica acuta nei pazienti con bassa o intermedia probabilità di malattia coronarica e quando il dosaggio della troponina e l’elettrocardiogramma sono nella norma o non conclusivi. Limiti al suo utilizzo comprendono: già nota coronaropatia, presenza di severe calcificazioni, elevata frequenza cardiaca o ritmo irregolare. Infine l’esame normalmente non è eseguibile h24.

Ad ogni modo l’esecuzione di una scansione TC con mdc nel setting diagnostico del dolore toracico permette di escludere altre eziologie ad elevata mortalità come l’embolia polmonare o la dissecazione aortica.

Restano le già note indicazioni ad eseguire le valutazioni funzionali tramite: ecocardiogramma (già in area di emergenza), stress test (da preferire ecostress), cardioRM e SPECT.

linee guida ESC NSTEMI

STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO

Biomarcatori

È raccomandato il dosaggio seriato della hs-cTn a scopo prognostico oltre che diagnostico.  Anche il dosaggio del BNP e del NT-proBNP può aggiungere informazioni circa la prognosi del paziente. Non è invece raccomandato il dosaggio di ulteriori marcatori come la copeptina o h-FABP.

Score clinici

Il più performante e per questo maggiormente utilizzato, è il GRACE risk score

linee guida ESC NSTEMI

Valutazione rischio emorragico ed ischemico

Eventuali sanguinamenti maggiori incidono sulla prognosi dei pazienti quanto le complicanze ischemiche spontanee. Pertanto è opportuno, tramite l’utilizzo di scores, bilanciare il rischio emorragico ed ischemico del singolo paziente in modo da massimizzare la protezione antiischemica a fronte del minor rischio emorragico possibile.

Per la stratificazione del rischio emorragico nei pazienti da sottoporre a PCI, due sono gli scores più usati: CRUSADE e ACUITY. Il primo tuttavia è quello maggiormente discriminante. Viceversa il PRECISE-DAPT valuta il rischio di complicanze emorragiche in pazienti sottoposti a posizionamento di stent coronarico e successiva duplice terapia antiaggregante piastrinica (aspirina più inibitori del recettore P2Y12)

TERAPIA ANTI-TROMBOTICA E ANTICOAGULANTE PERI PROCEDURALE

Antiaggreganti piastrinici

La somministrazione di aspirina è considerato il gold standard nell’inibizione del trombossano A2 che si esplica ad un dosaggio ≥75 mg/die. Il trattamento prevede una dose di carico (150-300 mg per os, 75-250 mg ev) seguita da una dose di mantenimento  di 75-100 mg die.

Sulla scorta dei risultati degli studi PLATO e TRITON-TIMI 38, la doppia antiaggregazione (DAPT) con aspirina e un inibitore del recettore P2Y12 (ticagrelor o prasugrel) rappresenta il trattamento standard raccomandato per i pazienti con NSTEMI. Il clopidogrel, che possiede una minore azione antiaggregante piastrinica, può essere utilizzato solo quando prasugrel o ticagrelor sono controindicati, non disponibili o non tollerati per l’elevato rischio emorragico o nel contesto di una de-escalation della DAPT.

ESC nelle attuali linee guida raccomanda l’utilizzo del prasugrel al posto del ticagrelor. Tuttavia sottolinea come non sia raccomandato pretrattare routinariamente con un inibitore del recettore P2Y12 i soggetti con NSTEMI di cui non si conosce l’anatomia coronarica e per i quali è prevista una strategia invasiva precoce.

Anticoagulazione peri procedurale

L’anticoagulazione parenterale è indicata per tutti i pazienti, in aggiunta al trattamento antipiastrinico, al momento della diagnosi e soprattutto durante la procedura di rivascolarizzazione bilanciando tra rischio ischemico ed emorragico. È raccomandato l’uso dell’eparina non frazionata (come bolo singolo  o in combinazione con un inibitore GP IIb/IIIa) o in alternativa la bivalirudina.

DURATA DELLA TERAPIA POST PCI

Fermo restando l’indicazione a proseguire la duplice antiaggregazione per 12 mesi dopo il posizionamento di stent coronarico, l’ESC prende in considerazione la possibilità di prolungare, ridurre o modificare la duplice terapia antiaggregante (de-escalation a clopidogrel) in alcuni casi selezionati sulla scorta del rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente.

E NEI PAZIENTI CON FIBRILLAZIONE ATRIALE?

Nella prima settimana dopo PCI è indicata la triplice terapia, preferibilmente NOAC + DAPT (aspirina + inibitore del recettore P2Y12). Nei mesi successivi verrà modificata in duplice terapia (NOAC + singolo antiaggregante) sino a mantenere, dopo un anno dalla procedura, solo la terapia anticoagulante.

TIMING DEL TRATTAMENTO INVASIVO

I pazienti vengono classificati in base alla classe di rischio in rischio molto elevato, rischio elevato e basso rischio. In base alla classe si modifica il timing del trattamento invasivo come segue:

KEY MESSAGES

In definitiva le principali raccomandazioni che possono modificare la gestione del pz con NSTEMI in Area di Emergenza riguardano:

  • Protocollo rapido troponina ad alta sensibilità (0-1h/ 0-2h).
  • Eventuale utilizzo della cardioTC nei pazienti a basso o intermedio rischio di coronaropatia anche nel setting dell’urgenza.
  • Evitare l’uso routinario della doppia antiaggregazione piastrinica pre PCI nei pazienti di cui non si conosce l’anatomia coronarica.
  • Riconoscimento dei patterns clinici ed elettrocardiografici di rischio molto alto che impongono il trattamento invasivo entro 2h (come nello STEMI).
Rossella Petrantoni
Rossella Petrantoni
Specialista in Medicina Interna Dirigente Medico MCAU Ospedale G. Giglio, Cefalù. Appassionata di tutto e in particolare di NIV, POCUS ed ecocardiografia @rossellapetran2

3 Commenti

  1. buongiorno,
    la parte più interessante riguarda la raccomandazione riguardo l’antiotac coronarica: una raccomandazione di classe IA implica una forte base di letteratura a supporto.
    La gran parte della letteratura al riguardo, invece (come da riferimenti anche nel testo delle linee guida), non è così netta e, al meglio, dimostra una riduzione nella lunghezza dell’osservazione in PS: va tenuto presente però che (come citato anche nel testo delle stesse linee guida) si tratta di studi che non utilizzavano test troponinici ad elevata sensibilità e che quando l’angiotac viene confrontata con test troponinici ad elevata sensibilità questo vantaggio temporale si perde.
    Quindi la riduzione dei tempi di osservazione per i pazienti sottoposti ad angiotac coronarica è un paragone non utile per chi utilizza hs-tp.
    Al lato pratico, un paziente con hs-tp ed ecg seriati negativi ha già una probabilità così bassa di avere una necrosi micardica che una angiotac coronarica in emergenza aggiunge niente alla stratificazione del rischio.
    Viene invece citata (ma secondo me senza dargli lo spazio adeguato) l’associazione tra angiotac coronarica in pazienti a basso rischio e l’aumento di utilizzo di procedure invasive (e verosimilmente delle complicanze ad esse associate, anche se su questo non esiste letteratura che io sappia).
    Esiste uno studio (smulders, 2019) che evidenzia l’associazione tra angiotac e RIDUZIONE di procedure invasive, naturalmente citato in queste linee guida, ma questo studio riguardava pazienti con diagnosi di NSTEMI (quindi pazienti con hs-tp ELEVATE, non il paziente in PS con hs-tp ed ecg seriati negativi). In questi pazienti in effetti l’utilizzo di angiotac coronarica riduce il ricorso a procedure invasive, ma questo è ovvio (una angiotac negetiva in questi pazienti con sente di individuare coloro che sviluppano ischemia miocardica pur non avendo lesioni coronariche) e non è applicabile ai “nostri” pazienti in PS classificati a basso rischio da hs-tp ed ecg seriati negativi.

    In definitiva, quindi, bisogna utilizzare molta cautela nel pensare
    1) che questa raccomandazione così forte rispecchi una letteratura chiara al riguardo (e questa discrepanza tra forza della raccomandazione e letteratura a supporto è frequente, sfortunatamente, sia in medicina d’urgenza che in altre specialità).
    2) che questa raccomandazione sia applicabile tout court a pazienti che giungono in PS per dolore toracico e che dimostrino hs-tp ed ECG seriati normali.
    Naturalmente queste sono solo mie opinioni.

    Grazie del lavoro, vi leggo sempre con piacere.

    Pietro

    • Grazie per il contributo, concordo sulle tue osservazioni. Indubbiamente non vi è un netto vantaggio nella riduzione della permanenza del pz a basso rischio in PS se si utilizza come alternativa un protocollo con troponina ultrasensibile. Può trovare spazio forse nei pazienti a rischio intermedio e in quelli il cui dosaggio enzimatico e l’elettrocardiogramma non risultano conclusivi e che quindi hanno indicazione ad eseguire indagini di II livello. Inoltre non è un esame disponibile h24 e nella mia realtà non è ancora fruibile nel setting dell’urgenza. Le linee guida lo propongono e come tutte le raccomandazioni va contestualizzato nelle singole realtà.

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