mercoledì 22 Gennaio 2025

Nuovi farmaci, vecchi problemi: TAO e sanguinamenti

Il sig. Mario viene condotto in DEA in seguito a caduta accidentale e conseguente trauma cranio-faciale. Sul posto viene riferito un GCS di 14/15, parametri vitali stabili ed evidenti segni di trauma a livello cranico e della regione orbitaria sinistra.  La prima valutazione in Pronto Soccorso conferma questi dati, in particolare il paziente risulta vigile, ma non mnesico per l’evento e confuso. Si decide pertanto, assicurata la stabilità emodinamica, respiratoria e l’assenza di evidenti lesioni a carico di altri distretti (EcoFast negativa, RX torace-bacino-rachide in toto negativi per fratture), di procedere tempestivamente all’esecuzione della TC cranio. Durante il trasferimento in radiologia però il quadro neurologico si deteriora rapidamente e il paziente comincia dapprima a esprimersi con parole sconnesse e quindi con suoni incomprensibili, pur mantenendo intatta la funzione motoria. La prima TC cranio mostra la presenza di estesi ematomi delle parti molli, associati a focolai traumatici in sede frontale bilaterale, temporale e parietale sinistra; un quadro di iniziale inondamento ematico del sistema ventricolare, soffusione ematica lungo il tentorio, i solchi frontali bilateralmente e i solchi temporo-parietali a sinistra (figura 1).

 

tc prima

 

In seguito a un ulteriore peggioramento del quadro neurologico, comparsa di incoscienza e respiro russante, il paziente viene intubato e ventilato meccanicamente al rientro dalla TC. Da una prima anamnesi essenziale risultano ipertensione arteriosa, CAD e valvulopatia mitro-aortica non meglio specificate, vasculopatia cerebrale cronica (pregressi TIA e Ictus cerebri senza importanti reliquati alcuni anni prima), osteoporosi, artrite reumatoide, IPB, PTA bilaterale e una Fibrillazione Atriale Permanente in trattamento anticoagulante con Dabigatran 110 mg bid. Giungono i risultati dei primi Ematochimici: l’emocromo così come la funzionalità renale risultano di norma, i test coagulativi solo lievemente alterati in maniera aspecifica (INR 1.19, PT 75.4%, APTT 42.8 sec,  APTTratio 1.59).

La consulenza NCH che segue la prima TC non pone altre indicazioni se non la ripetizione di un esame TC a 6 ore. La seconda TC evidenzia un incremento del focolaio emorragico temporo-polare sinistro, dei focolai traumatici frontali e del sangue a livello delle cisterne perimesencefalica, vermiana superiore e subaracnoideo diffuso (figura 2).

 

tc seconda

 

Il caso pone un problema su tutti, l’atteggiamento da seguire in caso di complicanze emorragiche in pazienti trattati con nuovi anticoagulanti orali (NOACs). Penso sia esperienza comune l’aver dovuto trattare sanguinamenti intracranici in pazienti in TAO tradizionale (con cui intendo warfarin e acenocumarolo) o trattati con eparina (frazionata o non frazionata) e la letteratura in casi come questi fornisce indicazioni chiare. Meno chiaro ad oggi, ma inevitabilmente si tratta di un problema emergente, è l’atteggiamento da tenere nei confronti di pazienti che assumono farmaci di nuova generazione e recente immissione in commercio. La gestione del danno primario, in caso di sanguinamento intracranico, si basa su:

–  Management della pressione arteriosa

– Intervento chirurgico (quando indicato)

Correzione della coagulopatia

In questo post cerchiamo di fare un minimo di chiarezza su quest’ultimo punto, con particolare riferimento al reversal del trattamento con vecchi e soprattutto nuovi anticoagulanti.

 

EPARINA NON FRAZIONATA (ENF)

Si tratta di una miscela di glicosaminoglicani diversi estratti da polmone bovino o porcino. La struttura è una lunga catena (p.m. 3.000 – 30.000 Da) costituita da sequenze alternate di residui di acido uronico e glucosamina solforati con carica negativa. La sequenza elementare è un pentasaccaride che si lega con alta affinità all’ATIII. Catalizza l’azione dell’antitrombina, aumentandone di almeno 1.000 volte la velocità di reazione. Inibisce la trombina (fattore IIa) e  i fattori Xa, IXa, XIa, XIIa. Somministrata per via venosa il suo effetto è immediato; per via intramuscolare l’effetto si manifesta dopo circa 15 minuti.

Dopo un’iniezione endovenosa di 100, 400 e 800 U/Kg, l’emivita dell’attività anticoagulante è di circa 1, 2 e 3 ore, rispettivamente.

La protamina serve per la rapida neutralizzazione dell’attività dell’eparina (1 mg di protamina neutralizza 100 UI di eparina) in caso di sanguinamento per sovradosaggio. La quantità richiesta dipende dal tasso ematico di eparina somministrata e dal tempo intercorso dall’iniezione. La somministrazione di protamina deve essere fatta in infusione endovenosa lenta (2-3 ore).

 

EPARINE A BASSO PESO MOLECOLARE (EBPM)

Sono un gruppo di eparine (p.m. 1500 – 6500 Da) ottenute dal frazionamento dell’ENF con metodi chimici di depolimerizzazione diversi. Il meccanismo d’azione è l’inibizione selettiva di Fattore Xa (via legame con AtIII), ma l’effetto anticoagulante dipende anche da altri meccanismi. Le caratteristiche e i principali vantaggi pratici delle EBPM sono: biodisponibilità più elevata (via sottocutanea), emivita più lunga  (somministrazioni refratte, ogni 12-24 ore), cinetica prevedibile  (dosaggio fisso pro-kg), non necessitano di monitoraggio di laboratorio. Tutto ciò si traduce in termini clinici in una maggiore efficacia antitrombotica, un monitoraggio dell’aPTT non necessario, un minor rischio di sanguinamento, una mono e bi-somministrazione, un minor rischio di trombocitopenia. Le principali limitazioni all’utilizzo sono la necessità della somministrazione parenterale sottocutanea (possibili ematomi), la HIT, l’insufficienza renale grave, la grande obesità.

Nessuna EBPM è neutralizzata completamente dal solfato di protamina (l’enoxaparina lo è solo per il 30%, la dalteparina per il 40%, la tinzaparina per il 60%), in generale il dosaggio indicato è 1 mg di solfato di protamina per ogni mg di EBPM. L’attività anti-Xa si dimezza in 3 ore con tinzaparina , 4 ore con dalteparina, 4.5 ore con enoxaparina.

 

FONDAPARINUX (ARIXTRA)

Il Fondaparinux è un inibitore indiretto altamente selettivo del fattore Xa. E’ un pentasaccaride sintetico in grado di legare reversibilmente l’antitrombina III (ATIII) con una affinità maggiore rispetto all’eparina non frazionata e alle eparine a basso peso molecolare. Viene somministrato per via parenterale tramite iniezione sottocutanea, in monosomministrazione giornaliera; è necessario ridurne la dose per valori di clearance della creatinina compresi tra 20 e 30 ml/min, mentre il suo utilizzo non è approvato per valori inferiori a 20 ml/min.

Fondaparinux non determina una modificazione di aPTT, PT, INR e tempo di sanguinamento, pertanto non viene raccomandato un monitoraggio di routine dei parametri della coagulazione; in casi selezionati (gravidanza, grande obesità, insufficienza renale) il monitoraggio può essere effettuato tramite il dosaggio del fattore Xa residuo. Dal momento che Fondaparinux non interagisce con le piastrine, né con il fattore piastrinico 4, e non vi è evidenza che esso induca trombocitopenia, anche il monitoraggio routinario della conta piastrinica non viene raccomandato.

Fondaparinux trova indicazione nella prevenzione e nel trattamento del tromboembolismo venoso (TEV), sia in pazienti chirurgici che medici; nel trattamento della tromboembolia polmonare e nelle sindromi coronariche acute: il suo utilizzo è stato infatti validato nel trattamento dell’angina instabile e dell’infarto miocardico acuto STEMI e NSTEMI.

Non esiste ad oggi un antidoto validato specifico in grado di neutralizzare gli effetti di fondaparinux; a tal proposito il fattore VIIa ricombinante sembrerebbe essere un valido candidato; il ripristino di una emostasi efficace con complessi protrombinici attivati (aPCC) è stato dimostrato solo per modelli animali.

 

FARMACI ANTICOAGULANTI ORALI

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Questi farmaci agiscono bloccando, negli epatociti, la riduzione della Vitamina K-epossido a Vitamina K, mediante inibizione competitiva dell’enzima epossido-reduttasi. In questo modo viene impedita la gamma-carbossilazione dei fattori II, VII, IX,X, già sintetizzati dalle cellule epatiche, carbossilazione che è indispensabile per la loro attività biologica. Tale effetto è pro-porzionale alla dose di farmaco assunta. Le principali limitazioni degli anticoagulanti orali sono la sola assunzione orale, l’impossibilità di utilizzo in fase acuta, la finestra terapeutica ridotta e la necessità di monitoraggio laboratoristico (INR). Soltanto il 45% dei pazienti seguiti in centri TAO risulta essere costantemente in range terapeutico (PT-INR compreso tra 2 e 3); degli stessi pazienti il tempo realmente trascorso in range risulta essere il 60%. Lo scadente controllo dell’INR comporta un aumento del rischio sia trombotico che emorragico.

La gestione delle complicanza emorragiche si basa sulla sospensione del farmaco, la somministrazione di Vitamina K, plasma fresco congelato o complessi protrombinici attivati, come sintetizzato in figura.

 

fig 3                           Da Hartman S, Teruya J.  Disease-a-month. Vol. 58, Iss. 8, Aug 2012. (1)

 

Un recente studio francese ha valutato in pazienti anticoagulati con warfarin e complicanze emorragiche intracraniche l’utilizzo di complessi protrombinici attivati a diversi dosaggi.  Un dosaggio di PCC di 40 IU/kg corregge i valori di INR in maniera più efficace, rapida e duratura rispetto al dosaggio classico di 25 IU/kg, senza modificare però in maniera significativa il volume dell’ematoma o l’outcome clinico globale dei pazienti. Interessante notare però che l’occorrenza di eventi trombo-embolici, che molto faceva temere nell’utilizzo di alti dosaggi di PCC, è risultato sovrapponibile nei due gruppi di trattamento (2).

 

NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI (NOACs)

Le  caratteristiche di un anticoagulante ideale dovrebbero essere: un picco plasmatico rapido, una ampia finestra terapeutica, minimi effetti collaterali, una risposta il più possibile prevedibile e costante, l’assenza di interazione con altri farmaci, la presenza di un antidoto, un costo favorevole e una somministrazione orale. Negli ultimi anni la ricerca farmacologica si è soffermata sullo studio di farmaci attivi sul fattore Xa (Rivaroxaban, Apixaban) e sulla trombina/fattore IIa (Dabigatran).

fig. 4

 Da Knepper J, Horner D et al.  J Vasc Surg 2013; 1: 418-426. (3)

 

DABIGATRAN (PRADAXA)

Dabigatran è un potente e reversibile inibitore diretto della trombina, libera e legata al coagulo, dotato di un effetto anticoagulante decisamente più marcato rispetto agli altri inibitori della trombina finora disponibili.

I livelli plasmatici massimi del farmaco vengono raggiunti entro 2 ore dalla sua assunzione e, per questo motivo, non necessita della classica embricazione con eparina. Dabigatran è dotato inoltre di una farmacocinetica prevedibile e non richiede il monitoraggio della coagulazione; ha una emivita è di circa 12-14 ore e deve quindi essere assunto 2 volte al giorno. Dabigatran viene escreto per l’80% per via renale e richiede quindi qualche cautela nei pazienti con insufficienza renale.

Lo sviluppo clinico del farmaco ha previsto tutta una serie di studi in diversi ambiti clinici: ad oggi Dabigatran è registrato in Italia per la prevenzione del tromboembolismo venoso nei pazienti sottoposti a chirurgia sostitutiva elettiva di ginocchio ed anca e per la profilassi del cardioembolismo in pazienti con FA non valvolare.

Nel 2009 è stato pubblicato lo studio RE-LY (4), che valuta sicurezza ed efficacia di Dabigatran nei pazienti con FA. Sono sati arruolati circa 18000 pazienti affetti da FA non valvolare documentata e da almeno un fattore di rischio aggiuntivo per ictus, con una mediana di follow-up di 2 anni. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere Warfarin a dose variabile (INR tra 2 e 3), Dabigatran 110 mg bid oppure Dabigatran 150 mg bid. L’obiettivo primario dello studio era quello di stabilire la non-inferiorità di Dabigatran nei confronti di Warfarin, nella prevenzione del tromboembolismo cerebrale in FA e, superata questa, di testarne la superiorità.

Le conclusioni dello studio:

  • Dabigatran 150 mg bid riduce significativamente l’incidenza di stroke nei pazienti con FA, con eventi di sanguinamento comparabili a quelli osservabili con Warfarin;
  • Dabigatran 110 mg bid riduce gli eventi tromboembolici in maniera comparabile Warfarin, con significativa riduzione dei sanguinamenti maggiori;
  • Entrambi i dosaggi riducono marcatamente le emorragie intracraniche.

 

RIVAROXABAN (XARELTO)

Rivaroxaban è un inibitore orale diretto del fattore Xa altamente selettivo. Ha caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche prevedibili. Viene metabolizzato a livello epatico, l’emivita è di 5-9 ore (ma fino a 11-13 ore nei soggetti anziani).  L’inibizione del fattore Xa è altamente dipendente dalle concentrazioni del farmaco.

Diversi trial clinici di fase III di non-inferiorità hanno valutato l’efficacia di Rivaroxaban nella profilassi (Studi RECORD) (5-8) e nel trattamento (EINSTEIN) (9) del tromboemblismo venoso nella chirurgia protesica di ginocchio e anca, nella prevenzione dello stroke ischemico e dell’embolismo sistemico nei pazienti affetti da fibrillazione ariale (ROCKETAF) (10).

Lo Studio ROCKETAF è uno studio randomizzato controllato che ha confrontato Rivaroxaban con warfarin in pazienti affetti da FA. Lo studio ha incluso circa 14000 pazienti con almeno due fattori di rischio per eventi embolici (CHADS2 medio di 2,9).  I risultati hanno dimostrato la non inferiorità di Rivaroxaban rispetto a Warfarin nella prevenzione dello stroke ischemico e dell’embolismo sistemico , a fronte di uno stesso rischio di eventi emorragici maggiori, ma una riduzione del rischio di emorragie intracraniche ed eventi emorragici fatali.

Rivaroxaban non richiede alcun aggiustamento della dose in pazienti  con insufficienza renale lieve (clearance creatinina 50-80 ml/min) o moderata ( clearance della creatinina 30-49 ml/min); non è approvato nei pazienti affetti da insufficienza renale severa.

 

APIXABAN (ELIQUIS)

L’Apixaban è la molecola di più recente approvazione in Italia.

Si tratta di un inibitore diretto del fattore Xa, con rapido assorbimento. L’emivita plasmatica è di circa 12 ore, con un picco d’azione a tre-quattro ore. Il farmaco è escreto per il 25% circa per via renale, il restante 75% ha metabolismo epatico. Quest’ultima caratteristica lo renderebbe, rispetto ai precedenti farmaci anticoagulanti orali, maggiormente sicuro nei pazienti con insufficienza renale.

Lo Studio AVERROES (11): è un trials di fase III che ha confrontato efficacia e sicurezza di Apixaban vs ASA nella prevenzione dell’ictus in pazienti con FA non adatti all’utilizzo di Wafarin. Apixaban si è dimostrato superiore per l’end point primario rappresentato da riduzione di stroke ed embolia sistemica. La riduzione del rischio relativo è stata del 55% con tassi annuali di eventi dell’1.6% per apixaban contro il 3.7% di aspirina. I risultati di Averroes hanno dimostrato che non vi sono significative differenze per Apixaban rispetto ad Aspirina per quanto riguarda i casi di sanguinamento maggiore, emorragia fatale e sanguinamenti intracranici.

Lo Studio ARISTOTLE (12) è un trial randomizzato in doppio cieco di confronto tra Apixaban e Warfarin in pazienti con fibrillazione atriale o flutter ed almeno un ulteriore fattore di rischio per stroke. Apixaban è superiore a Warfarin nel prevenire stroke/embolie sistemiche e causa meno sanguinamenti; tutto questo risulterebbe quindi in una riduzione della mortalità.

 

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MONITORAGGIO

Il profilo farmacologico prevedibile dei nuovi anticoaugulanti orali consente la loro somministrazione a dosi fisse senza la necessità di monitoraggio costante con esami di laboratorio o aggiustamenti di dose.

Tuttavia in caso di sovradosaggio, evento emorragico inaspettato, necessità di valutazione della compliance al trattamento, necessità di valutazione di accumulo del farmaco per brusco peggioramento della funzionalità renale o epatica e nel peri-operatorio, attualmente non esistono test validati per valutare il livello di anticoagulazione.

Infatti nonostante il prevedibile effetto dose-dipendente sui test coagulativi, non esistono range terapeutici codificati e validati e va considerato che l’effetto del farmaco sui fattori della coagulazione è transitorio. Ogni farmaco ha un effetto specifico, come si osserva in tabella, ma sensibilità e specificità di tali determinazioni risultano essere limitate e non applicabili in maniera standardizzata alla pratica clinica (come avviene invece per il warfarin).

monitoraggio

PT: Tempo di Protrombina; aPTT: Tempo Tromboplastina Attivata Parziale; TCT: Thrombin clotting time;  ECT: Ecarin clotting time.

 

La ricerca scientifica sta sviluppando metodiche (o tentando di applicarne di già conosciute) da utilizzare per la valutazione dei livelli di anticoagulazione in pazienti in trattamento con NOACs. Al momento, seppure i risultati siano in alcuni casi promettenti, nessuna di queste risulta validata per un utilizzo in clinica.

– L’Hemoclot® Thrombin Inhibitor assay (HYPHEN BioMed, France)  è un test che viene raccomandato per il monitoraggio nelle urgenze emorragiche. E’ un saggio cronometrico proposto per la determinazione quantitativa degli inibitori della trombina nel plasma. E’ stato testato da alcuni autori su Dabigatran (20) tuttavia, poiché sicuramente più noto alla classe medica, continua ad essere utilizzato come test di riferimento l’aPTT (14).

– Dati incoraggianti provengono dall’utilizzo di metodiche di tromboelastometria point-of-care, in particolare il ROTEM, che ha dimostrato correlare significativamente in vitro con concentrazioni terapeutiche e sovra-terapeutiche di Dabigatran, Rivaroxaban e Dabigatran. Mancano al momento conferme di questo nella pratica clinica (15).

–  Alcuni ricercatori hanno sviluppato infine metodiche di rilevazione urinaria di dabigatran e rivaroxaban in pazienti con sovradosaggio, anche questi sono però da correlare a dati clinici (16).

REVERSAL DEI FARMACI

Ad oggi nessuno dei nuovi farmaci anticoagulanti orali dispone di un antidoto specifico. Le complicanze emorragiche, seppure meno frequenti che in pazienti trattati con warfarin, possono essere drammatiche (il caso iniziale ne è un esempio), pertanto occorre fare il possibile per inibirne l’effetto con tempestività.

In assenza di indicazioni precise, si ricorre alla terapia di supporto, ovvero i comuni rimedi utilizzati in caso di intossicazione da farmaci, in particolare sospensione del farmaco, monitoraggio dei parametri vitali ed emocoagulativi, correzione dei fattori precipitanti l’ipercoagulabilità (ipotermia, acidosi metabolica, disionie), eventuale monitoraggio in Terapia Intensiva e attivazione di specifiche competenze specialistiche (17).

Per quanto concerne tecniche di rimozione del farmaco (dialisi) terapie o basate su agenti emostatici non specifici (Plasma fresco congelato, Antifibrinolitici, ad es. acido tranexamico, DDAVP, rFVII, PCC) occorre tenere conto che  il loro impiego non è validato e che possono avere un effetto pro-trombotico; l’esperienza accumulata ad oggi sull’utilizzo di questi presidi è basata su studi in vitro o animali (solo pochissimi lavori su volontari sani), ma l’applicazione nel contesto clinico reale è ad oggi limitata a pochi case reports (18,19).

È stato suggerito l’utilizzo del carbone vegetale attivato, ma come è ovvio l’assunzione del farmaco deve essere stata recente (almeno nelle due ore precedenti); i dati inoltre sono unicamente sperimentali e verificati per il solo dabigatran (20).

Per quanto concerne le tecniche di rimozione dialitiche: a causa dell’elevato binding alle proteine plasmatiche Rivaroxaban non può essere efficacemente dializzabile, è stata invece dimostrata per Dabigatran una rimozione del 62% delle concentrazioni di farmaco a 2 ore e del 68% a 4 ore in pazienti dializzati cronicamente per insufficienza renale terminale (21); i casi di applicazione della metodica in pazienti con sanguinamenti maggiori è tuttavia ad oggi ancora aneddotica.

Un recente studio pubblicato su Circulation ha valutato 40 volontari sani, 20 volontari trattati con Rivaroxaban e 20 con Dabigatran ad un dosaggio maggiore della dose terapeutica per valutarne la reversibilità dell’effetto dopo somministrazione di aPCC  Lo studio ha evidenziato come aPCC possa annullare l’effetto di Rivaroxaban ma non di Dabigatran (22). Studi preliminari sono stati effettuati inoltre per valutare l’effetto  ricoagulante del fattore VIIa, ma in pazienti non emofilici l’utilizzo di questo presidio pare aumentare in maniera non accettabile il rischio trombotico (in particolare trombosi arteriose), senza un reale beneficio sulla diatesi emorragica (23). L’utilizzo del plasma fresco congelato (FFP) non è stato testato sull’uomo, gli esperti tuttavia ne sconsigliano l’utilizzo per le elevate dosi da utilizzare e per il fatto che dal punto di vista fisiopatologico non sarebbe sufficiente sostituire i fattori mancanti (IIa e Xa), ma superarne l’effetto di inibizione, cosa che è alquanto improbabile che accada (24).

Sulla base delle evidenze disponibili (ad oggi purtroppo scarse e basate per lo più su studi in vitro o con scarso numero di pazienti arruolati) le varie società scientifiche sono al lavoro per stilare linee guida e criteri di comportamento per il medico che si trovi ad affrontare emergenze emorragiche in pazienti con NOACs. Interessante a mio parere questo lavoro, pubblicato di recente su Emergency Medicine Journal, che fornisce delle utili flow-chart per i pazienti trattati con dabigatran (il farmaco ad oggi con maggiore diffusione in Italia) suddividendo in: sovradosaggio, sanguinamento attivo maggiore e necessità urgente di intervento chirurgico (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23435652) (25).

Vista la portata del problema, la ricerca scientifica è estremamente attiva in questo ambito. È di poche settimane fa la pubblicazione di uno studio che testa in modelli animali il profilo di sicurezza e l’efficacia di un anticorpo anti-dabigatran nell’inibirne gli effetti sulla coagulaizione plasmatica. I dati sperimentali sono promettenti e si osserverebbe una normalizzazione di tutti i test coagulativi dopo reversal di dosi sovraterapeutiche di dabigatran con l’anticorpo (26). Restiamo a vedere.

copertina

 

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BIBLIOGRAFIA

1 Hartman S, Teruya J. Practice guidance for reversal of new and old anticoagulants. Disease-a-month. Vol. 58, Iss. 8, Aug 2012.

2 Kerebel D, Luc-Marie J et al. A French multicenter randomized trial comparing two dose-regimens of prothrombin complex concentrates in urgent anticoagulation reversal. Critical Care 2013, 17: R4.

3 Knepper J, Horner D et al. A systemic update on the state of novel anticoagulants and a primer on reversal and bridging. J Vasc Surg 2013; 1: 418-426.

4 Connolly SJ, Ezekowitz MD et al. Dabigatran versus Warfarin in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med. 2009 Sep 17;361(12):1139-51.

5 Eriksson BI, Borris LC, Friedman RJ, et al; RECORD1 Study Group. Rivaroxaban versus enoxaparin for throm- boprophylaxis after hip arthroplasty. N Engl J Med. 2008; 358(26):2765-2775.

6 Kakkar AK, Brenner B, Dahl OE, et al; RECORD2 Inves- tigators. Extended duration rivaroxaban versus short-term enoxaparin for the prevention of venous thromboembolism after total hip arthroplasty: a double-blind, randomised con- trolled trial. Lancet. 2008;372(9632):31-39.

7 Lassen MR, Ageno W, Borris LC, et al; RECORD3 Inves- tigators. Rivaroxaban versus enoxaparin for thrombopro- phylaxis after total knee arthroplasty. N Engl J Med. 2008; 358(26):2776-2786.

8 Turpie AG, Lassen MR, Davidson BL, et al; RECORD4 Investigators. Rivaroxaban versus enoxaparin for thrombo- prophylaxis after total knee arthroplasty (RECORD4): a randomised trial. Lancet. 2009;373(9676):1673-1680.

9 Bauersachs R, Berkowitz SD, Brenner B, et al; EINSTEIN Investigators. Oral rivaroxaban for symptomatic venous thromboembolism. N Engl J Med. 2010;363(26):2499-2510.

10 Patel MR, Mahaffey KW, Garg J, et al; ROCKET AF Investigators. Rivaroxaban versus warfarin in nonvalvular atrial fibrillation. N Engl J Med. 2011;365(10):883-891.

11 Eikelboom JW, O’Donnell M, Yusuf S, Rationale and design of AVERROES: apixaban versus acetylsalicylic acid to prevent stroke in atrial fibrillation patients who have failed or are unsuitable for vitamin K antagonist treatment. Am Heart J. 2010 Mar;159(3):348-353.e1.

12 Lopes RD, Alexander JH, Al-Khatib SM, Apixaban for reduction of stroke and other thromboemboLic events in atrial fibrillation (ARISTOTLE) trial: design and rationale. ARISTOTLE Investigators. Am Heart J 2010 Jun;159(6):1162

13 Ruff TC, Giugliano RC et al. Comparison of the efficacy and safety of new oral anticoagulants and warfarin in patients with atrial fibrillation; a meta-analysis of randomised trials. Lancet December 4 2013.

14 Stangier J, Feuring M. Using the HEMOCLOT direct thrombin inhibitor assay to determine plasma concentrations of dabigatran. Blood coagulation and fibrinolysis 2012, 23: 138-143.

15 Eller T, Busse J et al. Dabigatran, rivaroxaban, apixaban, argatroban and fondaparinux and their effect on coagulation POC and platelet function tests. Clin Chem Lab Med 2014; aop.

16 Harenberg J, Kraemer R. PL-23 measurement of the new anticoagulants. Thrombosis research 129, Supplement 1 (2012) S106-113.

17 Majeed A and Shulman S. Bleeding and antidotes in new oral anticoagulants. Best practice & research Clinical Haematology. 26 (2013) 191-202.

18 Kaatz S, Kouides PA et al. Guidance on the emergent reversal of oral thrombin and factor Xa inhibitors. Am J Hematol 87: S141-S145 2012.

19 Awad AJ, Walcott BP et al. Dabigatran, intracranial hemorrhage and the neurosurgeon. Neurosurg Focus 34 (5): E7 2013.

20 van Ryn J, Sieger P, Kink-Eiband M, et al. Adsorption of Dabigatran etexilate in water or Dabigatran in pooled human plasma by activated charcoal in vitro. 51st ASH Annual Meeting and Exposition. New Orleans, LA; 2009.

21 Stangier J, Rathgen K, Stahle H, et al. Influence of renal impairment on the pharmacokinetics and pharmacodynamics of oral dabigatran etexilate: An open-label, parallel-group, single-centre study. Clin Pharmacokinet 2010;49: 259–268.

22 Eerenberg ES et al. Reversal of Rivaroxaban and Dabigatran by Prothrombin Complex Concentrate. A Randomized, Placebo-Controlled, Crossover Study in Healthy Subjects. Circulation 2011;124:1573-1579.

23 Levi M, Levy JH, Andersen HF, et al. Safety of recombinant activated factor VII in randomized clinical trials. N Engl J Med 2010;363:1791–1800.

24 Zhou W, Schwarting S, Illanes S, et al. Hemostatic therapy in experimental intracerebral hemorrhage associated with the direct thrombin inhibitor dabigatran. Stroke 2011;42:3594–3599.

25 Alikhan R, Rayment R et al. The acute management of haemorrhage, surgery and overdose in patients receiving dabigatran. Emerg Med J 2014;31:163–168.

26 Grottke O, van Ryn J et al. Prothrombin complex concentrates and a specific antidote to dabigatran are effective ex-vivo in reversing the effects of dabigatran in an anticoagulation/liver trauma experimental model. Critical Care 2014, 18: R27.

 

 

 

Marco Ulla
Marco Ulla
Urgentista, per un po' 118ttista, tra un po' magari intensivista Università di Torino Main research focuses: sepsis/trauma/acute coagulopathy @marcoulla | + Marco Ulla | <a

8 Commenti

  1. Cooooomplimenti davvero!! Articolo interessante, ben scritto ed esaustivo! I problemi con i TAO, soprattutto in urgenza, sono tutt’altro che rari e rimanere sempre aggiornati (o anche solo avere una rinfrescatina di memoria) fa solo bene! Complimenti anche per le numerose fonti che hai citato nell’articolo, è così che tutti (soprattutto noi infermieri testoni di cui faccio parte!!!) dovremmo fare!
    A costo di essere ripetitivo, bravo! Bellissimo articolo!

    • Caro Filippo, ti ringrazio per i tuoi lusinghieri complimenti; il tema è di grandissssssima attualità e credo nel prossimo futuro sempre più scottante…meglio partire preparati e seguire (col poco tempo che tutti abbiamo) le novità della letteratura in merito. Un caro saluto!

  2. Complimenti per la precisione della trattazione…mi chiedevo dove fosse stato ricoverato il pz e se realmente non avesse meritato un’osservazione NCH..anche se esula dall’argomento della trattazione,d.ata l’evolutivita’delle lesioni..tanti spunti,ancora complimenti!

    • Cara Concetta: il pz è stato trattenuto in osservazione in DEA per circa 24h, quindi trasferito in TI. L’esito purtroppo non è stato favorevole. Nel nostro ospedale sono presenti i Neuro, che comunque hanno confermato la non indicazione chirurgica (anche viste età, comorbilità e situazione neurologica). Sono stati interpellati anche i nefrologi, ma data la breve emivita del farmaco e la buona funzionalità renale del soggetto, si è deciso di non intraprendere trattamento dialitico. Grazie per i complimenti! A presto!

  3. Concordo articolo molto interessante e di estrema attualità. I NAO sono molto efficaci e per tale motivo “pericolosi”. Mi permetto di sottolineare di avere estrema cautela nei pazienti con riduzione del filtrato. Ricordiamoci che pressapoco avere 2 di creatinemia equivale ad avere 30 di VFG. E che i valori sono mutevoli e suscettibili di variazioni.
    Sulla dialisi in caso di sanguinamento da nefrologo vedo delle limitazioni legate al timing e al posizionamento del CVC in un paziente scoagulato.

    • Grazie, note estremamente puntuali e su cui concordo in pieno. La dialisi – venduta come trattamento salvavita in pazienti con emorragia grave da dabigatran – è stata validata in uno studio su pazienti con IRC terminale (circa 10 peraltro) che però non stavano sanguinando (e che appunto avevano già di sicuro un accesso vascolare, che come dici giustamente dovrebbe altrimenti essere posizionato in urgenza con rischi annessi e connessi..).
      I case reports di utilizzo della dialisi in emergenza per pazienti con sanguinamento grave da dabigatran sono (a mia conoscenza) tre (tre!!), di cui uno (uno!!) è andato più o meno bene…quindi prima di dire “tranquilli al massimo dializziamo” ci penserei un attimo.. Grazie del feedback!

  4. Ottima trattazione di un argomento estremamente interessante! Grazie mille!! Fa sempre comodo un riassunto “non interessato” sui rischi e benefici delle novità che ci troviamo davanti..

  5. Ciao, articolo veramente interessante ed attuale!
    Da giovane specializzando in Rianimazione ne sto vedendo parecchi di casi simili e anche i vari casi in cui i NCH sono intervenuti i risultati non sono stati spesso brillanti ( vuoi per la scoagulazione, vuoi per i danni già creatisi) questo per sottolineare come l’intervento chirurgico non implichi la risoluzione totale del problema.
    Visti i Tia ricorrenti e visto il rischio di cadute del paziente in questione siamo sicuri che un NOACs sia stata una corretta scelta terapeutica per l’ FA?

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