Oggi risponderemo alla domanda: può l’infermiere sostituire il medico nel ruolo di team leader nel corso della gestione di un arresto cardio-respiratorio?
Questa storia ha inizio dalla terra dei Vichinghi
Gli inglesi, gran popolo di colonizzatori, hanno sempre avuto l’abilità di influenzare la società su base internazionale; sulla scia di questo fenomeno, l’ambito medico-infermieristico ne ha spesso tratto beneficio. Basti considerare lo sviluppo che la professione dell’infermiere ha avuto in Italia: se oggi godiamo di figure infermieristiche specializzate – dal diabete alle stomie, passando per i PICC line – è perché abbiamo avuto l’intelligenza di guardare oltremanica e sviluppare il significato del ruolo infermieristico in Italia, modellandolo sulla base della legislazione e delle nostre necessità.
La mia realtà
Provengo da un pronto soccorso piuttosto impegnativo; in un post precedente avevo descritto gli sviluppi che il Covid-19 ha comportato in termini infrastrutturali e di gestione del personale. Vi riporto l’esempio della creazione di team ad hoc al fine di intervenire e gestire le nuove richieste che il Covid-19 ha imposto sul microcosmo che è il nostro ospedale.
Gli specialist nurses
L’integrazione dell’infermiere in team specialistici è tutt’altro che un fenomeno nuovo per il sistema inglese. Ricordo la meraviglia dei miei primi tempi qui in cui avevo l’impressione che avessimo specialist nurses per qualsiasi ambito: stroke nurse, sepsis nurse, cancer nurse, CCOT (Critical Care Outreach Team) e così via. Li contattiamo per discutere casi e chiedere suggerimenti, oppure affinché possano venire per valutare e trattare i pazienti che riferiamo loro.
Un ruolo a 360°
Si tratta di un ruolo dinamico e duttile. Uno degli esempi più immediati potrebbe essere quello dello stroke nurse, attivo 24/24 e 7/7. Una volta completato il triage, qualora il caso rientrasse nella categoria stroke, contattiamo immediatamente lo stroke nurse così che venga a valutare il paziente, richieda la TAC cranio qualora incontri i criteri e gestisca le relazioni con la radiologia, il primario di riferimento e il reparto. Le nostre stroke nurse sono poi eccellenti anche nel supportare il carico di lavoro del pronto soccorso, e spesso trasferiscono loro stesse i pazienti così che nessuno di noi dell’ED (Emergency Department) debba allontanarsi dal dipartimento.
Ma giungiamo a noi!
Qualche giorno fa mi è stata suggerita la lettura di un articolo: Cardiac Arrest Nurse Leadership (CANLEAD) trial: a simulation-based randomised controlled trial implementation of a new cardiac arrest role to facilitate cognitive offload for medical team leaders [1]. Potete immaginare come la mia reazione sia stata positiva, facendo forza sulla mia esperienza diretta.
In Italia?
Da quanto possa ricordare dai miei anni in Italia, il dualismo medico versus infermiere è ancora piuttosto forte in termini culturali. La società crede ancora grossolanamente che gli infermieri siano, come Eva per Adamo, una costola distaccata, di ridotta capacità pratica e conoscenza teorica.
La verità è che si tratta di due figure professionali con finalità specifiche profondamente differenziate e ruoli strettamente intrecciati.
L’infermiere guarda alla persona assistita in termini di autonomia; del medico, invece, si può dire che si focalizzi sulla patologia.
Scendiamo nei dettagli
Nell’articolo, gli autori suggeriscono che, in caso di arresto cardio-respiratorio, l’infermiere sostituisca il medico nel ruolo di team leader.
L’ipotesi sostenuta dagli autori è quella per cui sia possibile ridefinire alcuni dei ruoli all’interno del cardiac arrest team. Nello specifico: sollevare il medico dal ruolo di team leader e trasferire questo compito ad un infermiere. L’obiettivo è quello di preservare tempo e concentrazione per il medico – ora non più team leader -, conferendo all’infermiere le responsabilità della gestione dell’arresto cardio-respiratorio.
I risultati analizzati dagli autori sono i seguenti: valutazione della presenza di polso centrale a intervalli regolari, corretta sequenza nell’algoritmo di trattamento (ALS), valutazione del ritmo ECG e cardioversione elettrica se richiesta, valutazione e conseguente gestione delle vie aeree, corretta tecnica d’esecuzione delle compressioni cardio-toraciche ed eventuale correzione.
Ok, quindi?
I risultati di questo studio sono positivi.
Tra quanto analizzato in fase di debriefing, è emerso che il passaggio di ruolo di team leader dal medico all’infermiere ha beneficiato tre macro-categorie come dipinto nella seguente tabella.
Nulla può essere perfetto
Gli autori riconoscono le limitazioni di questo studio. Le implicazioni etiche hanno comportato l’inevitabilità di dover condurre degli scenari simulati; sono stati ricercati strumenti oggettivi per analizzare i dati in termini quantitativi; hanno impostato lo studio prestando attenzione a ridurre o annullare i bias.
Qualche numero?
Sono stati ottenuti diversi risultati statisticamente significativi. Tra questi evidenzio l’intervallo di tempo impiegato dalla identificazione dell’arresto cardio-respiratorio al momento in cui il medico inizia a considerare le possibili cause reversibili (p value 0.002).
Tale risultato sostiene la legittimità del passaggio di ruolo di team leader dal medico all’infermiere: conferma l’ipotesi per cui la presa in carico infermieristica della gestione dell’ALS garantisce maggiore concentrazione e perciò una più rapida risposta in termini di trattamento da parte del medico.
In UK la carriera è verticale
Credo nella gerarchizzazione della figura infermieristica di derivazione anglosassone. In queste terre, la progressione di carriera per gli infermieri è definibile “verticale” essendoci 5 livelli di responsabilità riconoscibili in termini contrattuali. La progressione può essere sia in direzione clinica che di leadership e management.
Questo è permeato nella cultura: il ruolo e la divisa con cui ci si presenta hanno un impatto di immediato riconoscimento da parte della società e dei colleghi.
Verosimilmente ogni infermiere che in questi anni ho assistito progredire ha confermato che il solo presentarsi in turno con una divisa di colore differente una volta ottenuta la promozione ha fatto sì che si sentissero presi in considerazione in maniera diversa (come dire: l’abito fa il monaco sì, eccome!).
Un buon leader non necessariamente è ricco
Ritengo che il successo di una gestione ottimale di un arresto cardio-respiratorio (attenzione: ottimale non significa che debba necessariamente concludersi con la sopravvivenza della persona assistita) non dipenda dalla professione nominale del team leader: non vi è differenza se il ruolo è svolto da un medico o un infermiere. La gestione efficace di situazioni critiche dipende dall’abilità pratica e dalle competenze in termini di leadership. Sarete d’accordo con me che entrambi questi fattori non sono direttamente influenzabili dalla busta paga dei professionisti coinvolti.
La proverbiale goccia nell’oceano
Sono forte sostenitrice del principio di collaborazione interprofessionale: ho sempre apprezzato quel dire in psicologia per cui il valore di un team non è la semplice somma del valore di ogni singolo componente, bensì qualcosa di più.
Fatevi travolgere dall’innovazione!
Vi abbiamo offerto una prima evidenza scientifica per la quale il passaggio di ruolo di team leader dal medico all’infermiere nella gestione di un arresto cardio-respiratorio ha contribuito al raggiungimento di risultati positivi, tanto in termini pratici per la persona assistita quanto psicologici per i componenti del team.
Ora sta a voi confermare con ulteriori studi la veridicità di quanto presentato. D’altra parte non ditemi che non desiderate far parte di gruppi di lavoro efficienti e resilienti, capaci di lavorare in maniera armoniosa, sincronizzata e non caotica pur nei contesti più critici e travolgenti!
Sitografia
[1] Pallas JD, Smiles JP, Zhang M. Cardiac Arrest Nurse Leadership (CANLEAD) trial: a simulation-based randomised controlled trial implementation of a new cardiac arrest role to facilitate cognitive offload for medical team leaders. Emerg Med J. 2021 Jan 26:emermed-2019-209298. doi: 10.1136/emermed-2019-209298. Epub ahead of print. PMID: 33500268.
In Italia non so’ se questa visione sia pronta ad essere accettata serenamente nel senso anche per una mera questione medico legale dove i medici sono ancora parte debole… E gli infermieri sono pronti ad assumersi responsabilità più elevate a fronte di uno stipendio non così lusinghiero? Come la mettiamo se poi (anche se sono situazioni ormai rare) ci sono rivendicazioni sull’operato? Risponde l’infermiere? Lo so’ che non sono questioni prettamente scientifiche ed operative, e con dovrebbero influenzarci ma come dice il buon Fabri,
In Italia….
Ciao Filippo. Ti ringrazio per questo commento che porta l’attenzione su un tema di innegabile rilevanza. Per legge, l’infermiere è già pienamente responsabile del processo decisionale e delle conseguenti azioni compiute. Un esempio più scontato può essere la responsabilità professionale di fronte a un paziente che cade dal letto. Un altro esempio, forse meno ovvio, che posso offrire è legato al processo di somministrazione di farmaci. L’infermiere ha piena responsabilità in caso di somministrazione erronea (es. dosaggio sbagliato, farmaco a cui il paziente è allergico, etc).
Questo per dire che, per come la vedo io, non ci sarebbero differenze. Considera, inoltre, che l’algoritmo di rianimazione cardio-respiratoria è universale: ogni componente del team è tenuto conoscerlo e agire armoniosamente con esso. Fa davvero differenza il titolo di studio a questo punto? Un leader non è necessariamente la persona con più qualifiche, bensì colui che ha del talento nel gestire gruppi di persone in situazioni di criticità. Questa, comunque, è la mia opinione.
Francesca un piacere leggerti, per quanto sopra e in forza a mie esperienze di emergenza urgenza come Volontario CRI sono in linea per principio all’intenzione del tuo quesito (senza entrare in ambiti Professionali e legali vigenti in italia), ritengo che il confronto possa partire da quanto tu hai riportato nel tuo articolo assolutamente condivisibile: “L’infermiere guarda alla persona assistita in termini di autonomia; del medico, invece, si può dire che si focalizzi sulla patologia.”
Un grazie per la vostra azione di: sempre, durante il COVID e per l’avvenire.
Ciao Gianpaolo. Ti ringrazio per il tuo commento e il tuo supporto.
Conosco il mondo del volontariato 118 in Italia – che, come saprai, è un fenomeno tutto italiano – e gliene sono grata. Perciò ringrazio te per il tempo che dedichi alla comunità.
Hai colto uno degli insegnamenti più importanti che ho assorbito nel corso dei miei anni universitari. Ancora oggi, quando lavoro, sfrutto il filtro dell’autonomia individuale per comprendere la situazione e agire di conseguenza secondo le priorità stabilite.
Nella tranquillità delle ferie,come succede ogni anno passo da questo sito (ringrazio ogni autore per i loro lavori ed i buon Felix,Carlo e Fra e tutti gli altri che si occupano di medicina di urgenza) con la certezza di trovare qualcosa che mi spinga a scrivere.Quest anno leggo di cosa succede in Inghilterra e di come siamo lontani anni luce (50 o 60 anni!) rispetto ad altri stati che peraltro,hanno infermieri italiani nel loro sistema.
Inutile fare polemica… è sotto gli occhi di tutti ciò che ha scatenato un ordine dei medici contro un collega colpevole di autorizzare gli infermieri a eseguire le LG internazionali.Il paradosso italiano….il titolo vale più della competenza (ergo meglio un medico incompetente che un infermiere competente),é impossibile da sradicare.I motivi?Personalmente ne trovo due….lauti guadagni perché,oggi lo dimostra,la riduzione dei medici di EU sul territorio porta a chiedere ore ed ore in plus pagate 3 volte tanto,e la paura di perdere uno status secolare.Il fatto che non è stato fatto (ne voluto) un progetto,porta a dire ciò che ho sentito telefonicamente da un mmg,durante un intervento territoriale sulla morte di una donna di 102 anni.Attaccato il monitor,asistolia,con il consenso del medico di centrale del mio 118,lo contatto e le dico la situazione,per invitarla a recarsi sul luoghi per la constatazione.Esaa mi dice Beh…rispondo che apparte l’ assenza totale dei segni di circolo,il monitoraggio mostra una linea davvero infraintendibile, aggiungendo che se riconosco un acr da rianimare,posso riconoscere una morte.A quel punto sbotto,le chiedo la legge che lo impone,le chiedo la sua specializzazione e se,secondo lei,é plausibile che debba rianimare una donna di 102 anni,trattandola con la sufficienza a me mostrata ma in maniera molto “marcata”,aspettandola dove vuole per parlare di mesicina di emergenza.Al suo ho risposto
Quindi….ancora non siamo tollerati dai medici,per cui é impossibile riuscire ad affermare la nostra professione,in un posto dove un ex I ministro,affermava che chiunque avesse avuto una borsina coi cerotti poteva fare l’infermiere,invitando alle sue cene “allegre ragazze”travestite da colleghe.
Grazie,saluti.
Massimo
Scusate…ho visto la mancanza di alcuni virgolettati…riprovo
Nella tranquillità delle ferie,come succede ogni anno passo da questo sito (ringrazio ogni autore per i loro lavori ed i buon Felix,Carlo e Fra e tutti gli altri che si occupano di medicina di urgenza) con la certezza di trovare qualcosa che mi spinga a scrivere.Quest anno leggo di cosa succede in Inghilterra e di come siamo lontani anni luce (50 o 60 anni!) rispetto ad altri stati che peraltro,hanno infermieri italiani nel loro sistema.
Inutile fare polemica… è sotto gli occhi di tutti ciò che ha scatenato un ordine dei medici contro un collega colpevole di autorizzare gli infermieri a eseguire le LG internazionali.Il paradosso italiano….il titolo vale più della competenza (ergo meglio un medico incompetente che un infermiere competente),é impossibile da sradicare.I motivi?Personalmente ne trovo due….lauti guadagni perché,oggi lo dimostra,la riduzione dei medici di EU sul territorio porta a chiedere ore ed ore in plus pagate 3 volte tanto,e la paura di perdere uno status secolare.Il fatto che non è stato fatto (ne voluto) un progetto,porta a dire ciò che ho sentito telefonicamente da un mmg,durante un intervento territoriale sulla morte di una donna di 102 anni.Attaccato il monitor,asistolia,con il consenso del medico di centrale del mio 118,lo contatto e le dico la situazione,per invitarla a recarsi sul luoghi per la constatazione.Essa mi dice “Lei è sicuro,in quanto infermiere,che la pz é morta?”Beh…rispondo che apparte l’ assenza totale dei segni di circolo,il monitoraggio mostra una linea davvero infraintendibile, aggiungendo che se riconosco un acr da rianimare,posso riconoscere una morte.”Ma ha tenuto il monitoraggio per 30 minuti?”A quel punto sbotto,le chiedo la legge che lo impone,le chiedo la sua specializzazione e se,secondo lei,é plausibile che debba rianimare una donna di 102 anni,trattandola con la sufficienza a me mostrata ma in maniera molto “marcata”,aspettandola dove vuole per parlare di mesicina di emergenza.Al suo “Lei é un cafone” ho risposto “e lei un incompetente titolata”
Quindi….ancora non siamo tollerati dai medici,per cui é impossibile riuscire ad affermare la nostra professione,in un posto dove un ex I ministro,affermava che chiunque avesse avuto una borsina coi cerotti poteva fare l’infermiere,invitando alle sue cene “allegre ragazze”travestite da colleghe.
Grazie,saluti.
Massimo
Ciao Massimo, ti ringrazio per avere un pensiero per il blog nel tuo periodo di ferie. Sappiamo bene come la vita personale e professionale assorba così molto tempo che spesso si rende complesso riuscire a seguire ogni interesse.
Quanto descrivi tu è senza dubbio molto frustrante. Non voglio tessere le lodi del sistema inglese in toto, poiché ti assicuro che è colmo di moltissimi problemi talvolta grotteschi, eppure non ti nascondo che più mi confronto con colleghi italiani, più sento che la professione infermieristica in Italia non venga valorizzata quanto meriterebbe.
Posso dirti per certo che non è il titolo, nè tantomeno la nazione presso cui si segue il proprio percorso di studi a determinare la competenza di un professionista. Vivo in un sistema talmente eterogeneo che ho compreso come, in fondo, è la specificità di ciascuna persona a fare la differenza. L’interesse e la passione nel fare il proprio meglio ci portano a studiare, aggiornarci e garantire il più alto livello di assistenza.
Probabilmente ti interesserà leggere l’intervista a una mia collega, prossima Advanced Nurse Practitioner, che ho pubblicato in occasione della Giornata Internazionale dell’Infermiere 2021 per restare in tema di competenze professionali non strettamente legate alla dicotomia medico/infermiere. Lo trovi a questo link Vi presento Harriet, Advanced Nurse Practitioner (ANP).