mercoledì 15 Gennaio 2025

Oltre il protocollo

La giornata volge al termine quando arriva la telefonata del 118: “Codice Rosso; scarica ripetuta di ICD”. Il tempo di recuperare il magnete dalla borsa e siamo sul posto, ma non appena svoltiamo l’angolo e vediamo l’agitazione delle persone che abitano questa piccola contrada su per le montagne capiamo che le cose non saranno semplici. Il nostro paziente ha 56 anni, è marcatamente obeso, ed è steso a terra in un microscopico bagno, in arresto; soffre di una miocardiopatia dilatativa e circa un anno prima gli era stato posizionato un ICD. Questa sera aveva per la prima volta avvertito la scarica del dispositivo, scarica che si era ripetuta più volte anche dopo la chiamata al 118; ad un certo punto era collassato in bagno, pochi istanti prima del nostro arrivo.

Al monitor è presente FV, che scarichiamo immediatamente; Paolo, l’autista, comincia il massaggio mentre io posiziono una LMA. Stefano, l’infermiere, cerca di reperire un accesso venoso periferico senza successo e posiziona allora un’intraossea. Al secondo minuto di RCP rivalutiamo il ritmo, che risulta essere sempre FV. A questo punto entriamo nel ben noto loop dell’ACLS: scarica, RCP, adrenalina, altra scarica, RCP, amiodarone… ma la situazione resta immutata. Ad ogni controllo del ritmo persiste una FV grossolana, che non risponde alla terapia elettrica: siamo ormai arrivati a 10 shock. Ci troviamo di fronte ad un quadro di FV refrattaria (ovvero non responsiva alla terapia elettrica, caso diverso dalla più comune FV recidivante in cui l’aritmia viene convertita efficacemente dalla defibrillazione ma poi recidiva nel periodo immediatamente successivo). Che fare? Il protocollo ACLS a questo punto prevede di continuare con defibrillazione ed RCP, soministrando adrenalina a cicli alterni. Tuttavia viene da chiedersi quali siano le probabilità che un’aritmia ventricolare che non ha risposto finora possa improvvisamente rispondere ad uno shock elettrico senza qualcosa che aiuti ad abbassare la soglia di defibrillazione.

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Quali sono gli interventi che possono aiutarci ad aumentare il successo della defibrillazione in un quadro di FV refrattaria?

I primi accorgimenti, che magari possono sembrare scontati, sono quelli di rivalutare la qualità della rianimazione che stiamo svolgendo ed assicurarsi di garantire, possibilmente mediante il monitoraggio capnografico, un massaggio cardiaco di alta qualità ed una ventilazione ottimale.

Una volta assicuratisi di questo tuttavia le possibilità non sono numerose e soprattutto hanno un livello di evidenza piuttosto basso, anche perché quasi completamente basate su dati aneddotici. D’altra parte la situazione è di per sé così poco frequente ed accompagnata da una mortalità così elevata che qualsiasi tipo di studio randomizzato è difficilmente contemplabile, anche in un’ottica multicentrica. Andiamo dunque a vedere cosa propone la letteratura:

  1. DUPLICE SHOCK SIMULTANEO: forse l’approccio che, incredibilmente, ha un maggiore numero di report. Prevede l’applicazione di un secondo set di placche collegate ad un secondo defibrillatore manuale così da erogare simultaneamente uno shock da parte di entrambi i defibrillatori, raggiungendo un’energia pari a 400 Joule(1). Questo approccio, descritto in numerosi case report, ha consentito di risolvere FV altrimenti resistenti alla terapia elettrica, in particolare in pazienti di grossa taglia; tuttavia necessita ovviamente della disponibilità di due defibrillatori manuali(2-4).
  1. ESMOLOLO: sull’utilizzo dei betabloccanti, ed in particolare dell’esmololo data la sua breve emivita, sia nella FV refrattaria sia nella FV recidivante si è concentrato recentemente molto interesse(5, 6). Studi su modelli animali hanno dimostrato la capacità di terminare episodi di FV da parte di esmololo e propranololo(7); sono documentate anche esperienze su pazienti umani, la maggior parte delle quali tuttavia relative a quadri di electric storm più che a casi di pazienti in arresto cardiaco da FV refrattaria vera e propria(8). Recentemente un’analisi retrospettiva pubblicata su Resuscitation ha aggiunto un po’ di qualità a queste evidenze(9): in un gruppo di pazienti con FV refrattaria non responsivi a numerosi tentativi di defibrillazione (in media 6) ed alla terapia ACLS standard (amiodarone 300+150 mg ed adrenalina 1 mg a cicli alterni) sono stati messi a confronto quelli nei quali era stata somminstrata una dose di carico di esmololo di 500 mcg/kg, cui seguiva eventualmente un’infusione continua a 100 mcg/kg/min, con quelli trattati in modo standard. I pazienti trattati con esmololo hanno dimostrato un trend verso un maggior numero di ROSC ed un miglior stato neurologico alla dimissione, senza tuttavia raggiungere un livello significativo. C’è tuttavia da considerare che i numeri in questo caso erano davvero piccoli: i pazienti trattati con esmololo sono stati in tutto solamente 6!!
  1. LIDOCAINA NELL’ERA DELL’AMIODARONE: l’uso della lidocaina è stato ormai soppiantato dall’uso dell’amiodarone che da farmaco buono per tutte le stagioni presenta caratteristiche proprie di tre classi di antiaritmico (I, II, III). Ma cosa succede aggiungendo anche una antiaritmico puro di classe I? Un team di cardiologi giapponesi ha studiato l’efficacia della lidocaina, sia in monoterapia sia in associazione all’amiodarone, nel terminare aritmie ventricolari refrattarie alla terapia standard; tra questi erano presenti anche 6 pazienti in FV(10). La lidocaina ha dimostrato un trend di efficacia nella risoluzione delle aritmie ventricolari refrattarie, specialmente in quei pazienti in cui era già stato somministrato un adeguato carico di amiodarone. Va sottolineato però che si tratta di uno studio retrospettivo con una numerosità anche in questo caso esigua (42 pazienti totali) e monocentrico; parliamo quindi di evidenze di qualità molto bassa.
  1. E il MAGNESIO? Il ruolo del magnesio nella gestione della torsione di punta è ben noto. Tuttavia per quanto riguarda la fibrillazione ventricolare i due studi randomizzati attualmente disponibili (11, 12) (entrambi eseguiti in ambito preospedaliero) non sono riusciti a dimostrare un miglioramento dell’outcome (sia inteso come ROSC all’arrivo in ospedale sia come dimissione dall’ospedale). Uno dei due studi ha dimostrato un trend positivo nel gruppo trattato con magnesio, che tuttavia non ha raggiunto la significatività(12). C’è peraltro da dire che questi studi sono datati (2001 e 2002) e che di conseguenza si riferiscono ad un modo di condurre la rianimazione che non corrisponde del tutto alla pratica attuale.

 

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Rimane infine il tentativo di correggere la causa scatenante l’aritmia: questo può essere relativamente semplice come nel caso di una disionia (posto di aver modo di diagnosticarla), oppure estremamente difficile come nel caso di una SCA o di una miocardite.

Dal punto di vista della sindrome coronarica acuta in particolare, la rivascolarizzazione della coronaria interessata si è dimostrata consistentemente utile nel risolvere le aritmie ventricolari refrattarie, compresa la FV. Sono peraltro presenti case series che illustrano il ROSC di pazienti in FV refrattaria che sono stati sottoposti, mentre erano in arresto cardiaco, ad angioplastica primaria (13) o a trombolisi sistemica (14, 15).

Sulla trombolisi sistemica nei pazienti in arresto cardiaco lo studio TROIKA rappresenta attualmente (ma probabilmente anche per il futuro) l’evidenza migliore a disposizione: randomizzato, multicentrico, 1050 pazienti arruolati(16). Lo studio non riuscì a dimostrare un aumento di sopravvivenza in pazienti in arresto cardiaco da causa indifferenziata non traumatica  sottoposti, oltre al trattamento standard, a trombolisi con tenecteplase. Tuttavia leggendo i numeri “grezzi” ed in particolare confrontando il gruppo dei pazienti trovati in FV con quello dei pazienti trovati in PEA o asistole non si può che notare l’enorme differenza del rischio relativo rispetto all’outcome primario (ovvero il “rischio” di essere vivo a 30 giorni) tra i due gruppi: 0,59-1,05 per il gruppo della FV rispetto a 0,44-2,46 per il gruppo dei non defibrillabili. Una differenza che fa pensare, e che può sostenere l’idea di fare un tentativo con la trombolisi nelle FV “ischemiche”, specialmente quando la situazione è tale da non avere più niente da perdere.

La metodica migliore e più sicura sembrerebbe essere l’angioplastica primaria, che porta però con sé una serie di difficoltà concettuali (non molti emodinamisti sono disposti a portare un “morto” in sala) e logistiche (come garantire una RCP di alta qualità nei trasferimenti ed in sala di emodinamica?). Da quest’ultimo punto di vista l’utilizzo dei massaggiatori meccanici potrebbe rappresentare la chiave di volta.

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Ed infine non si può parlare di arresto cardiaco refrattario senza accennare all’ECMO, che può permettere di portare in sicurezza il paziente in emodinamica oppure di stabilizzarlo il tempo necessario perché il processo patologico regredisca (vedi miocarditi, ipotermia severa o intossicazioni da farmaci) (17, 18). Certo a patto di avere la logistica e l’expertise adeguato, ma di questo si è già parlato in passato (link).

Per quanto riguarda il nostro paziente, dopo quasi un’ora di FV persistente ed un totale di 17 scariche abbiamo ottenuto un ROSC. E’ stato conseguentemente posto in ipotermia terapeutica; purtroppo una volta riscaldato l’outcome neurologico non è stato favorevole. Nel mio caso avevo solo somministrato, oltre alla terapia standard, due grammi di magnesio (senza alcun solido fondamento scientifico, come avrei appurato dopo) ma penso che per il futuro, almeno per quanto mi riguarda, l’esmololo avrà un ruolo nella gestione di questi pazienti.

E voi che ne pensate?

  BIBLIOGRAFIA

  1. Hoch DH, Batsford WP, Greenberg SM, McPherson CM, Rosenfeld LE, Marieb M, Levine JH. Double sequential external shocks for refractory ventricular fibrillation. J Am Coll Cardiol 1994 Apr;23(5):1141-5 (link)
  2. Cabanas JG, Myers JB, Williams JG, De Maio VJ, Bachman MW. Double sequential external defibrillation in out-of-hospital refractory ventricular fibrillation: A report of ten cases. Prehosp Emerg Care 2014 Sep 22
  3. Leacock BW. Double simultaneous defibrillators for refractory ventricular fibrillation. J Emerg Med 2014 Apr;46(4):472-4 (link)
  4. Fender E, Tripuraneni A, Henrikson CA. Dual defibrillation for refractory ventricular fibrillation in a patient with a left ventricular assist device. J Heart Lung Transplant 2013 Nov;32(11):1144-5 (link)
  5. Bassiakou E, Xanthos T, Papadimitriou L. The potential beneficial effects of beta adrenergic blockade in the treatment of ventricular fibrillation. Eur J Pharmacol 2009 Aug 15;616(1-3):1-6 (link)
  6. Bourque D, Daoust R, Huard V, Charneux M. Beta-blockers for the treatment of cardiac arrest from ventricular fibrillation? Resuscitation 2007 Dec;75(3):434-44
  7. Wallis DE, Wedel VA, Scanlon PJ, Euler DE. Effect of esmolol on the ventricular fibrillation threshold. Pharmacology 1988;36(1):9-15 (link)
  8. de Oliveira FC, Feitosa-Filho GS, Ritt LE. Use of beta-blockers for the treatment of cardiac arrest due to ventricular fibrillation/pulseless ventricular tachycardia: A systematic review. Resuscitation 2012 Jun;83(6):674-83 (link)
  9. Driver BE, Debaty G, Plummer DW, Smith SW. Use of esmolol after failure of standard cardiopulmonary resuscitation to treat patients with refractory ventricular fibrillation. Resuscitation 2014 Oct;85(10):1337-41 (link)
  10. Yoshie K, Tomita T, Takeuchi T, Okada A, Miura T, Motoki H, Ikeda U. Renewed impact of lidocaine on refractory ventricular arrhythmias in the amiodarone era. Int J Cardiol 2014 Oct 20;176(3):936-40 (link)
  11. Allegra J, Lavery R, Cody R, Birnbaum G, Brennan J, Hartman A, Horowitz M, Nashed A, Yablonski M. Magnesium sulfate in the treatment of refractory ventricular fibrillation in the prehospital setting. Resuscitation 2001 Jun;49(3):245-9 (link)
  12. Hassan TB, Jagger C, Barnett DB. A randomised trial to investigate the efficacy of magnesium sulphate for refractory ventricular fibrillation. Emerg Med J 2002 Jan;19(1):57-62 (link)
  13. Clayton BJ, Gribbin GM, Taggu W. Primary percutaneous coronary intervention for refractory cardiac arrest. Ann Emerg Med 2014 Aug;64(2):192-4 (link)
  14. Pistollato E, Zorzi A, ElMaghawry M, Gasparetto N, Cacciavillani L, Bortoluzzi A. Thrombolysis during resuscitation: Should we focus on sudden cardiac arrest after myocardial infarction? Resuscitation 2012 Sep;83(9):e189-90 (link)
  15. Duchateau FX, Preiss V, Ricard-Hibon A, Chollet C, Marty J. Out-of-hospital thrombolytic therapy during cardiopulmonary resuscitation in refractory cardiac arrest due to acute myocardial infarction. Eur J Emerg Med 2001 Sep;8(3):241-3  (link)
  16. Böttiger BW, Arntz H, Chamberlain DA, Bluhmki E, Belmans A, Danays T, Carli PA, Adgey JA, Bode C, Wenzel V. Thrombolysis during resuscitation for out-of-hospital cardiac arrest. N Engl J Med 2008 12/18; 2015/03;359(25):2651-62 (link)
  17. Chung JW, Chang WH, Hyon MS, Youm W. Extracorporeal life support after prolonged resuscitation for in-hospital cardiac arrest due to refractory ventricular fibrillation: Two cases resulting in a full recovery. Korean Circ J 2012 Jun;42(6):423-6 (link)
  18. Chiu CC, Chiu CW, Chen YC, Siao FY. Cardiac arrest with refractory ventricular fibrillation: A successful resuscitation using extracorporeal membrane oxygenation. Am J Emerg Med 2013 Jan;31(1):264.e1,264.e2 (link)
Giacomo Magagnotti
Giacomo Magagnotti
Specialista in Medicina d'Emergenza-Urgenza C.O.P. SUEM 118 Mestre-Venezia Twitter @docjmaga Google+: + Giacomo Magagnotti

26 Commenti

  1. Davvero articolo interessantissimo, soprattutto la parte inerente la risposta ai betabloccanti e la possibilita’ di rosc e buon outcome dei pazienti. Sono convinto che a breve vedremo ampliati i protocolli acls a risultato di evidenze cliniche a numero di pazienti trattato maggiore.

    • Grazie per i complimentii Felix.
      In effetti penso che le evidenze circa il ruolo dell’esmololo comincino ad essere “mature” per essere inserite nelle linee guida, anche se dubito potranno avere una raccomandazione di classe elevata se non altro perché obiettivamente parliamo di studi monocentrici con numerosità bassissima.

  2. Ad Ottobre usciranno le nuove guidelines ERC. Forse ci sarà qualche cambiamento in questo senso nell’ACLS che verrà?
    Intanto quindi l’utilizzo di esmololo va considerato “off label” giusto?

    Articolo scritto molto bene e molto interessante!
    Grazie Jack

    • Ciao Federico,
      sinceramente dubito che l’esmololo sarà inserito nei prossimi protocolli ACLS/ALS, se non altro perché essi si focalizzano -giustamente- sulla gestione degli arresti “ordinari” mentre una situazione di FV persistente è sicuramente un’occorrenza relativamente rara e straordinaria.

      Per quanto riguarda l’indicazione terapeutica registrata all’AIFA l’uso dell’esmololo in questo senso è sicuramente off-label, così come avviene in tanti altri farmaci che usiamo comunemente.

  3. Ogni volta che ci arriva in TI un paziente da casa con un ROSC dopo 30-40-60 minuti + il tempo tra arresto e arrivo 118 , ci chiediamo sempre il perché di queste prolungate rianimazioni. Un ROSC dopo 1 ora lo trovo , scusate non voglio offendere ma solo far riflettere, folle. È ovvio che il cervello che ottieni poi è , come diciamo noi,” in pappa”. Forse il motivo di queste RCP così lunghe è semplicemente dovuto al fatto che molte volte chi rianima in strada non ha idea del prosieguo del dramma di quel paz, e dei suoi cari che , se va male (cioè se non muore in poco tempo e rimane uno stato vegetativo permanente) , vivranno per mesi e mesi con grande angoscia prima di dover successivamente in qualche modo sistemarlo in una struttura adeguata – sempre che esista nelle vicinanze. Un lutto , un calvario, una tragedia, molte spese senza fine (o meglio fino al decesso che può sopraggiungere anche dopo anni). A che pro? Davvero non capisco. Forse prima di chiedersi quale farmaco provare la prossima volta , bisognerebbe pensare che “mostro” crei dopo un ROSC di 1 ora e avere la saggezza e il coraggio di fermarsi prima. Non ho poi capito il razionale della maschera laringea, soprattutto in un RCP di 1 ora, ma non vado oltre, non ha senso. Non è qs il focus del mio commento

    • La decisione sul corretto timing di sospensione delle manovre di rianimazione è un argomento ancora molto dibattuto, ed anzi potrebbe avere la dignità di un proprio post. Almeno personalmente sono ben consapevole dell’iter successivo e di quanto pesino, dal punto di vista sia psicologico sia dei costi sociali, gli esiti di rianimazioni protratte e mi chiedo spesso, durante una rianimazione che si comincia a prolungare, se valga la pena correre il “rischio” di insistere. D’altra parte nella mia relativamente breve esperienza professionale ho avuto la grande fortuna di vedere due pazienti tornare a casa sulle loro gambe dopo arresti prolungati (entrambi di circa un’ora) e anche questo tipo di esperienza ha un peso nei miei percorsi decisionali. Credo che siano sbagliati tutti gli estremismi, sia di chi ritiene che ogni rianimazione prolungata debba per forza produrre un vegetale sia di chi rianima fino allo stremo tutto e tutti, anche chi avrebbe ormai diritto di riposare in pace; credo che la risposta stia nel decidere caso per caso, perché non tutti gli arresti sono uguali e nemmeno tutti i pazienti. Per approfondire questo aspetto rimando ad un bell’articolo su LIFT: http://lifeinthefastlane.com/ccc/cessation-of-cpr/

      Per quanto riguarda la giusta osservazione sulla laringea penso che il razionale di questa scelta iniziale lo si possa comprendere leggendo con attenzione la scena: paziente obeso in un bagno microscopico. Detta in altri termini, non avevo lo spazio fisico per mettermi alla testa e procedere ad un’intubazione e pertanto ho deciso di posizionare la laringea. Nel corso dell’arresto, una volta spostato il paziente in un luogo un po’ più ampio, abbiamo sostituito la LMA con un tubo endotracheale.

    • Beh, credo sia anche legittimo cercare di comprendere le possibili strade per superare certi limiti. La scienza è per definizione una evoluzione continua. Penso che Kouwenhoven, Jude e Knickerbocker storcerebbero il naso leggendo questo commento.

  4. Bellissimo post. Premesso che in un paziente come questo probabilmente le aritmie ripetute potevano essere espressione di un cuore arrivato a “fine corsa”, è importante sottolineare come gli shock ripetuti entrino di per se in un circolo vizioso proaritmico dal quale spesso è difficile uscire. L’unica evidenza nota è che gli shock di per se aumentano la mortalità. Personalmente sono favorevole all’utilizzo di magnesio, lidocaina e beta-bloccanti (oltre che alla sedazione dove ci sia coscienza) ed esistono molti studi al riguardo: c’è poca evidenza perché i pazienti con queste caratteristiche non sono molti, la gestione dello storm elettrico va spesso individualizzata e studi prospettici difficili da mettere in atto. Il ragionamento è più che altro fisiopatologico. Utile ricordare che in caso di pazienti con aritmie ereditarie (Brugada, LQt, Cpvt, ER) vanno usati protocolli specifici e diversi da quelli utilizzati nell’acls (che in alcuni casi possono essere dannosi) naturalmente si tratta di casi rarissimi ma valeva la pena ricordarlo.. Buon lavoro

    • Grazie per i complimenti Francesca.
      Penso che sia difficile discriminare se l’associazione tra il numero di shock e la mortalità esprima un rapporto causale o non sia, appunto, solo un’associazione. Certo man mano che la fibrillazione ventricolare si prolunga può essere sensato cominciare ad aumentare un po’ più il tempo tra uno shock e l’altro così come penso si debba assolutamente rallentare il ritmo delle adrenaline (se non addirittura smettere di somministrarle dopo le prime dosi); purtroppo come dici tu è praticamente impossibile immaginare degli studi metodologicamente solidi in questo ambito.

  5. Complimenti per il bellissimo post, che offre molti spunti di riflessione. Mi ricollego a quanto scritto da Arianna: se anche io sono dubbioso su certe RCP prolungate, credo però che in un caso simile sia inevitabile. Perché un conto è l’asistolia e un conto è un ritmo defibrillabile, di fronte al quale non si può sospendere la terapia. E credo che alcune considerazioni che in ospedale si possono affrontare, sul territorio siano più “difficili”. Senza una norma forte sul testamento biologico non andremo lontano

    • Grazie Alessandro.
      Centri in pieno alcuni degli elementi a mio parere fondamentali nella decisione sul proseguire la rianimazione oppure no: tipo di ritmo, ma anche tempo di no-flow (in questo caso l’arresto era avvenuto letteralmente pochi secondi prima) e condizioni di base del paziente per dirne alcuni. Esiste anche un po’ di letteratura che ci aiuta a questo riguardo. Al tempo stesso penso che quello che ci manchi sono studi che ci aiutino ad individuare elementi che correlino con una prognosi NEUROLOGICA favorevole: qualcosa cioè che ci aiuti non solo a stimare la probabilità che il cuore riparta ma anche a capire quali chance di un outcome neurologico soddisfacente ci siano. Elementi quali la qualità del massaggio, il tempo di no flow prima dell’inizio della rianimazione (Arianna giustamente scrive “ROSC dopo 30-40-60 minuti + il tempo tra arresto e arrivo 118”) ed altri fattori che magari ci sfuggono che ci possano aiutare a dire che no, anche se il cuore potrebbe ancora riprendersi il cervello non ha più chance e quindi è ora di sospendere i nostri sforzi.
      Per quanto riguarda il testamento biologico mi trovi fortemente d’accordo, anche se penso che in alcuni quadri clinici la decisione di non iniziare nemmeno le manovre rianimatorie possa (debba) essere messa in atto dal medico a prescindere da qualsiasi norma o testamento, semplicemente per buona scienza e coscienza. Ma qui scivoliamo in un altro discorso che non è il caso di affrontare in questo post 🙂

  6. Sono cresciuto, professionalmente, nel mito dello stay and play dell’ACR preospedaliero perché quello che facciamo fuori è il massimo e, avendolo vissuto da entrambi i lati della berricata lo posso dire, fatto meglio da professionisti abituati a gestire il ritmo caotico di una rianimazione cardiopolmonare. Oggi penso che con l’avvento della circolazione extracorporea dare una finestra dianostico-terapeutica di secondo livello(compresa la possibilità di un trapianto) a pazienti con prospettive di outcome neurologico favorevole, come quello da te menzionato, sia un dovere.
    Sono un profondo sostenitore dell’ECLS a fine terapeutico, ma anche, nei casi meno fausti al fine della donazione. Quindi ben venga il load and go garantendo una rcp di buona qualità in itinere (con i massaggiatori meccanici ora si può) fino all’arrivo al centro ECMO per avviare ricerca ed eventuale trattamento delle cause potenzialmente reversibili. Vista la fondamentale inutilità degli interventi. sia farmacologici che non, previsti alle attuali linee guida ACLS,lo ritengo l’unico modo per far fare un vero salto di qualità al trattamento dell’ACR. Steven Bernard ed il sup gruppo ha pubblicato i primi risultati del CHEER trial (Refractory cardiac arrest treated with mechanical CPR, hypothermia, ECMO and early reperfusion ) che sembrano molto interessanti, ed anche da noi qualcosa si sta muovendo. Speriamo di avere buone notizie presto.
    Grazie e complimenti per l’articolo e la scelta dell’argomento.
    Mario Rugna.

    • In effetti l’uso dell’ECMO può essere davvero il salto di qualità per gestire gli arresti in un modo diverso. I problemi che vedo per un uso generalizzato sono due: innanzitutto la variabilità dell’expertise e della logistica nei PS e SUEM della nostra nazione è estrema. Dove lavoravo al momento di questo evento facendo sia PS sia SUEM non avevo né massaggiatore meccanico né possibilità di un centro ECMO (né nel mio ospedale spoke né al centro HUB). Dove faccio ora PS abbiamo la possibilità (e lo facciamo) di mettere gli arresti in ECMO ma il SUEM non ha un massaggiatore meccanico e di conseguenza le indicazioni finiscono per restringersi quasi esclusivamente ai pazienti che vanno in arresto intraospedaliero o subito prima di arrivare in PS; invece nella provincia accanto dove faccio SUEM abbiamo un LUCAS ma non ci sono percorsi per mettere in ECMO i pazienti in arresto. Insomma è un gran casino…. Altro punto da considerare è il costo (in termini di personale oltre che di materiale) di mettere in ECMO tutti i pazienti, oltre alla logistica necessaria a far affluire un numero consistente degli ACC ad un centro HUB, con la conseguente necessità di adeguare organici e strutture. Temo che la strada in questo senso sia ancora molto lunga….

  7. Caro Giacomo,
    bellissimo post!
    Ho provato il doppio shock in passato dopo avere percorso tutto l’algoritmo ACLS. Nella mia ultra limitata e aneddotica esperienza non ha funzionato e per quanto banale possa sembrare richiede decisamente coordinazione e mezzi rendendolo difficilmente praticabile nel preospedaliero.

    Sulla LMA al di là dei motivi contingenti del caso credo sia una scelta comunque razionale se il principale obiettivo è quello di minimizzare le interruzioni delle compressioni. Parimenti andrebbe valutato in modo più sistematico l’uso del ventilatore anche durante la RCP con appropriati settaggi (bassi volumi, bassa FR e no peep). Liberare le mani degli operatori permette di concentrare l’attenzione sulle cause nell’ottica di un futuro non lontano in cui le 5H e 5T siano indagate con l’eco anche nel preospedaliero.

    Ancora Complimenti!

    • Grazie per i complimenti Mattia!
      Personalmente non ho mai avuto modo di provare il doppio shock, anche se penso che potrebbe aver senso in particolare negli obesi in cui la dispersione di corrente è maggiore. In effetti necessitando di due defibrillatori non è attuabile quando è presente un solo equipaggio, ma nei sistemi che usano ambulanza ed automedica è una strategia possibile.
      Per quanto riguarda il ventilarore sicuramente il suo uso permetterebbe di evitare tanti danni da ventilazione che ancora, secondo me, spesso ci sono; dal punto di vista logistico però questo vuol dire un altro pezzo di equipaggiamento da portarsi dietro, con un peso non indifferente. Magari con la diffusione di presidi come l’Oxylator si supererà questo problema.

  8. Se la LMA non è messa perfettamente non ventili bene e se non hai il ventilatore attaccato non ti accorgi perché non hai un riscontro numerico dei volumi e pressioni. Non è un presidio di ventilazione routinaria , e andrebbe messa come Rescue nelle iot impossibili, secondo quanto previsto nel suddetto ‘algoritmo Non dovrebbe sostituire L’intubazione, almeno che chi rianima non sa intubare e sa mettere un presidio sovraglottico. . Ogni ambulanza dovrebbe avere un ventilatore e va usato , appunto per liberarsi le mani.

    • Arianna, se permetti ti porrei una domanda, visto che di sicuro hai più know-how di quanto ne abbia io.
      L’argomento è LMA vs IOT; l’ACLS cita testualmente ” La maschera laringea (LMA) è una via aerea avanzata alternativa alla intubazione endotracheale e fornisce ventilazioni comparabili. E’ accettabile utilizzare una LMA come alternativa alla IOT per la gestione delle vie aeree nell’arresto cardiaco”.
      Secondo la tua esperienza ritieni quindi che l’utilizzo di una LMA possa condurre più spesso in errore, e magari in errore misconosciuto?

      Io penso che durante la CPR, essendo la qualità delle compressioni la cosa più importante (assieme alla defibrillazione precoce) per l’ottenimento del ROSC, sarebbe più consigliato utilizzare un presidio sovraglottico che mi permette di non interrompere le compressioni, riservando la IOT alla comparsa di ROSC oppure a quei casi in cui l’inserimento di un sovraglottico non mi permette di effettuare ventilazioni soddisfacienti.

      Mi sbaglio??

      Grazie

      • Caro Federico, io credo che le linee guida ACLS abbiano validato l’utilizzo della LMA nelle manovre rianimatorie di un arresto cardiaco perchè forse hanno tenuto conto del fatto che negli eventi pre-ospedalieri esistono multiple realtà di soccorritori: infermeieri, medici appena laureati, specializzandi di varie specialità, MET, specialisti in medicina d’urgenza-emergenza, rianimatori. Questo significa che ognuno di queste figure ha abilità e competenze diverse. Per imparare a mettere un presidio sovraglottico ci vuole una certa curva di apprendimento, per imparare ad intubare la curva aumenta in termini di tempo e numero di tentativi. Sicuramente con una LMA ventili meglio che con una maschera ed un ambu o un va e vieni e puoi attaccare il paziente al ventilatore liberando le mani. Ti linko qs articolo: Resuscitation. 2012 Sep;83(9):1061-6. Epub 2012 Jun 1. Endotracheal intubation versus supraglottic airway insertion in out-of-hospital cardiac arrest. “OBJECTIVE:
        To simplify airway management and minimize cardiopulmonary resuscitation (CPR) chest compression interruptions, some emergency medical services (EMS) practitioners utilize supraglottic airway (SGA) devices instead of endotracheal intubation (ETI) as the primary airway adjunct in out-of-hospital cardiac arrest (OHCA). We compared the outcomes of patients receiving ETI with those receiving SGA following OHCA…….CONCLUSIONS:
        In this secondary analysis of data from the multicenter ROC PRIMED trial, ETI was associated with improved outcomes over SGA insertion after OHCA.”

      • Emerg Med J. 2007 Mar;24(3):198-9.
        The intubating laryngeal mask: is there a role for paramedics?
        Menzies R1, Manji H.
        Author information
        Abstract
        OBJECTIVE:
        To compare the ability of UK paramedics to intubate a simulated difficult airway using a Mackintosh laryngoscope versus an intubating laryngeal mask airway (ILMA).
        METHOD/DESIGN:
        A randomised controlled trial.
        RESULTS:
        100% of the paramedics were able to intubate a simulated difficult airway using the ILMA versus 0% of those using the Mackintosh laryngoscope.
        CONCLUSIONS:
        This study has demonstrated the ability of paramedics to use the ILMA when faced with a difficult intubation. However, further evaluation of this potential role for the ILMA is required.

        Infatti, siccome non sempre a bordo dell’ambulanza c’è un medico o un medico esperto, ed è molto più facile posizionare una LMA che intubare, si raccomanda giustamente il modus più semplice ma più efficace della sola ventilazione a mano. Inoltre la LMA può conseguire minori complicanze a carico delle vie aeree rispetto la IOT. Dalla mia esperienza in sala operatoria, posso dire che talvolta con la LMA non si ventila perfettamente e viene successivamente riposizionata (questo dato lo vedi solo con il ventilatore). Se il paz rigurgita o vomita ne consegue un disastro. Si sposiziona con maggior facilità del tubo. Se la compliance polmonare non è buona, non si ventila bene. A mio avviso solo l’intubazione garantisce una gestione deifinitiva e sicura delle vie aeree. Sicuramente l’utilizzo di un device piuttosto che l’altro dipende dalle abilità dell’operatore e/o da situazioni straordinarie contingenti (IOT molto difficile-impossibile) . Comunque va usato ciò che si pensa di posizionare nel minor tempo evitando lunghe sospensioni del massaggio cardiaco.

      • Resuscitation. 2014 May;85(5):617-22. doi: 10.1016/j.resuscitation.2014.02.007. Epub 2014 Feb 18.
        Airway management and out-of-hospital cardiac arrest outcome in the CARES registry.

        “BACKGROUND:
        Optimal out of hospital cardiac arrest (OHCA) airway management strategies remain unclear. We compared OHCA outcomes between patients receiving endotracheal intubation (ETI) versus supraglottic airway (SGA), and between patients receiving [ETI or SGA] and those receiving no advanced airway…….
        CONCLUSION:
        In CARES, survival was higher among OHCA receiving ETI than those receiving SGA, and for patients who received no advanced airway than those receiving ETI or SGA.

        • Penso che la gestione delle vie aeree nell’arresto cardiaco sia uno splendido esempio di come anche l’EBM sia suscettibile alle mode. Ai tempi dei primi studi che sembravano dimostrare una maggior sopravvivenza dei pazienti gestiti con sopraglottico intubare i pazienti sembrava una manovra da troglodita…” ma come, ancora intubi? Non sai che con la LMA i pazienti vanno molto meglio…” Senza considerare le criticità di quegli studi, in primis la netta differenza nella struttura e nel personale di soccorso. Poi il pendolo ha oscillato di nuovo, sono usciti gli studi su modelli animali che mostravano che forse i sovraglottivi (LMA in primis) potrebbero ridurre il flusso cerebrale in corso di rianimazione… L’ultimo studio di Resuscitation citato da Arianna è emblematico; gli arresti gestiti con il tubo endotracheale vanno meglio di quelli gestiti in LMA, e quelli senza gestione delle vie aeree vanno meglio di tutti(!). Credo che a questo punto l’unica certezza che abbiamo circa la gestione delle vie aeree nell’arresto sia che non abbiamo certezze. Personalmente sposo l’idea di Arianna e cerco sempre di posizionare un ETT, purchè sia in grado di farlo senza interrompere il massaggio (cosa secondo me più semplice di quanto non possa apparire di primo acchito), riservando la LMA come presidio di seconda scelta. Certo che le variabili nel soccorso extraospedaliero sono innumerevoli, sia nella qualità ed esperienza del personale sia nelle situazioni logistiche in cui si opera, sia nel tipo di paziente e di via aerea. Un ragazzo longilineo in arresto da annegamento, un obeso in FV ed un politrauma con un sanguinamento maggiore in cavo orale sono situazioni diverse tra loro come il giorno e la notte e richiedono un approccio appropriatamente diverso.

          • Credo sia piuttosto scontato che con un tubo si possa ventilare meglio un paziente in arresto.. le ragioni sono molteplici. La po2 in realtà dipende poco dalla ventilazione alveolare, in linea teorica basta arrivi molto poco ossigeno all’alveolo sano per sostenere la saturazione arteriosa, infatti come ben sappiamo la co2 risente soprattutto della ventilazione, pertanto verosimilmente su un polmone sano anche senza garantire un normale volume minuto, dovrebbe riuscirsi a mantenere po2 accettabili. Ma noi conosciamo questo polmone? Sappiamo se siamo difronte a un difetto v/p o shunt? Noi non sappiamo cosa abbiamo davanti, quindi fino a prova contraria bisogna garantire tassativamente un adeguato volume minuto. La LM non garantisce proporzionalità diretta tra pressione e volume nelle vie aeree, potrebbero esserci perdite di volume legate a una eccessiva pressione resistiva. Ma soprattutto non abbiamo protezione dai rigurgiti, non solo dal vomito, ventiliamo lo stomaco, già estasico, su un paziente privo di riflessi. E alla ripresa del paziente? Abbiamo un paziente con Glasgow 3 e vie aeree non protette, che diventa a quel punto di difficile gestione per chi dovesse intubare, magari ipoteso, non rilasciato, ventilato nello stomaco, e da indurre o curarizzare con succinilcolina. Secondo me, diventa mandatorio intubare ogni arresto cardiaco (come il collega ha giustamente fatto appena possibile) o comunque partire con questo fine. Non è lo stesso, non è uguale, non è logico che lo sia, gli studi non possono riflettere razionalmente quello che succede realmente in condizioni analoghe. Credo che ogni medico d’emergenza debba essere formato in sala operatoria, soprattutto sulle intubazioni difficili, e debba mensilmente effettuare almeno una mattinata per mantenere la manualità. Non sarebbe difficile.. L’arresto cardiaco è una condizione complessa, la summa delle condizioni mediche, necessita di un medico con un forte background internistico con altrettanti forti skills rianimatorie, proprio per poter capire quando la linea guida diventa soltanto un algoritmo per non addetti ai lavori, e quel paziente necessiti più di un medico che di un mero esecutore di ricette pronte..  

  9. Se il paziente è giovane la rianimazione deve essere protratta mio avviso anche fino all’ora. Inoltre spesso nella nostra cultura sanitaria il concetto che il paziente in arresto deve essere rianimato sul posto e non sull’ambulanza è di difficile attuazione. Come si può pensare di eseguire una rianimazione ben fatta se sei su una ambulanza che corre in sirena !
    Per quanto riguarda il caso trovo giusto provare terapie anche off label soprattutto se un minimo razionali.
    Per la gestione delle vie aeree, tutto dipende dall’operatore e quindi ben venga l’utilizzo della maschera laringea e dell’accesso intraosseo.
    Grazie ciao.

  10. Ciao
    La nostra esperienza, 118 Bissceglie (BT), codice rosso 48enne in presunto ACR, obeso (oltre 100kg), cardiopatia dilatatative ie infartuale ( pz in attesa di trapianto card.) defibr. impiantato in TAO
    Circa 40 minuti in toto di Rianimazione con LMA num4 in asincrono 100/120 compressioni/minuto,
    Attaccato il monitor PEA QRS larghi e sporadici poi, dopo la prima adrenalina, FV e circa 6 scariche con il nostro def. e altre 2 scariche del def del pz.
    Loop farmacologico AMIOD/ADRENALINA, 4FL BICARBONATO ( no EGA), il pz riprende circolo e contraata la maschera SO2 (99%), PA 100-80, FC 100.
    Gestione del ROSC ,3 rampe di scale con monitor e ossigeno per tre rampe di scale, l’ipotermia la faceva ilfreddo tagliente di quella notte!!!
    REVIVAN 2fl in 500 a dosaggio 30gcc/minuto
    In PS intubato e traspotato in una rianimazione di periferia
    EGA ph 7,3 biscarbonati 20 PCO2 42 , e PO2 127
    Non ho dati sull’outcame neurologico, ma sono passati circa 3 mesi e credo che il nostro caro pz sia con noi
    E’ stato bello rivivere in questo articolo un esperianza emozionante vissuta in prima persona
    Compilmentoni….
    Bicarbonato quando? quanto? (senza EGA) e a quale tipologia di RCP?

    • Personalmente non sono un grande fan del bicarbonato in corso di arresto. Peraltro evidenze che suffraghino il suo utilizzo (al difuori di casi molto specifici come l’intossicazione da triciclici) non ce ne sono. Io al massimo l’ho utilizzato nell’immediato post-arresto di fronte al pH estremamente acidi, per prendere un po’ di tempo mentre si ottimizza l’emodinamica del paziente.

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