Serata non proprio tranquilla in pronto soccorso, considerato che siamo quasi a ferragosto. Squilla il telefono: ” Carlo, sono Giovanni, da 1 ora ho cardiopalmo. Ho già avuto un episodio di fibrillazione atriale passato con della flecainide ev un mese fa. Sono al mare e non voglio andare in pronto. Quanta ne devo prendere per bocca?”
Giovanni è un collega e la sua domanda ci da l’occasione di fare il punto sul trattamento orale della fibrillazione atriale di recente insorgenza noto come “pill in the pocket”, pillola in tasca. Devo ammettere che la domanda di Giovanni mi ha un poco spiazzato. Raramente l’avevo raccomandato a pazienti visitati in pronto soccorso e altrettanto raramente avevo sentito dare questa indicazione dai consulenti cardiologi.
La base scientifica di questa terapia deriva da un lavoro di un gruppo di cardiologi italiani pubblicato sul New England nel 2004 Outpatient treatment of recent-onset atrial fibrillation with the “pill-in-the-pocket” approach. Vediamolo da vicino
Lo studio
I pazienti con recidiva di fibrillazione atriale insorta da meno di 48 ore abitualmente vengono trattati in pronto soccorso mediante un tentativo di cardioversione farmacologica o elettrica. I farmaci di solito utilizzati a questo scopo sono la flecainide ed il propafenone i quali si sono rivelati superiori al placebo con una percentuale di successo variabile dal 58 al 95%, a seconda degli studi. Gli eventi avversi in genere non sono frequenti, il più serio dei quali è rappresentato dalla comparsa di flutter atriale a conduzione 1.1.
Lo studio è stato condotto somministrando all’interno dell’ospedale una singola dose di antiaritmico in pazienti non affetti da grave cardiopatia con episodi di fibrillazione atriale non frequenti e ben tollerati.
Lo stesso trattamento venne poi assunto, in caso di recidiva aritmica, dai pazienti stessi al di fuori dell’ospedale nei casi che avevano risposto efficacemente all’interno dell’ospedale ed in cui non si erano verificati eventi avversi,
Criteri di inclusione
– età compresa tra 18 e 75 anni
– cardiopalmo insorto da meno di 48 ore
– Frequenza ventricolare media > di 70 bpm e una pressione sistolica > 100 mmHg
– assenza di sintomi come dispnea, sincope o presincope
– almeno 1 precedente episodio di fibrillazione atriale ma meno si 12 nel precedente anno
Criteri di esclusione
I pazienti vennero esclusi dallo studio in presenza di uno o piu dei seguenti criteri
– Sindrome da pre-eccitazione
– Blocco di branca con QRS > 120 msec
– Precedente episodio di fibrillazione atriale > di 7 gg
– Evidenza di cardiopatia ( ipertrofica, dilatativa, valvolare severa) o pregressa TEP o presenza di cuore polmonare cronico
– Pregressi episodi di scompenso cardiaco o una FE < 50%
– QT lungo, sindrome di Brugada , sindrome bradi-tachi, anamnesi di blocco AV di II o III grado
– Malattie croniche ( distrofia mucolare, insufficienza renale o epatica, colalgenopatie)
– pregressa ipopotassiemia con valori > 3 mmol/l
– gravidanza nota o sospetta
– intolleranza /allergia a flecainide e propafenone
Lo studio iniziato il 1 settembre 2001 e terminato il 28 febbraio 2003 , il follow up concluso il 30 settembre 2003
I pazienti trattati sia in pronto soccorso che nei reparti di cardiologia.
La posologia
– Flecainide 300 mg in pazienti > di 70 kg o 200 mg negli altri casi
– Propafenone 600 mg nei pazienti di peso > 70 kg e 450 mg negli altri casi
Entrambi i farmaci vennero somministrati, ( uno o l’altro), in un’unica volta e i pazienti monitorizzati per almeno 8 ore.
Il trattamento considerato efficace se la conversione al ritmo sinusale venne riscontrata entro 6 ore in assenza di effetti secondari quali ipotensione e bradicardia sintomatiche, induzione di aritmie quali flutter atriale, tachicardia atriale, tachicardia ventricolare, sostenuta o non sostenuta, insorgenza di dispnea, sincope o pre-sincope
Obiettivi dello studio
End point primari erano rappresentati dalla percentuale di successo nel ripristinare il ritmo sinusale e dal numero e tipologia di eventi avversi.
Obiettivi secondari le visite in pronto soccorso o i ricoveri ospedalieri paragonati a quelli dell’anno precedente
Risultati
268 pazienti sono stati trattati in ospedale per una fibrillazione atriale di recente insorgenza, 138 in pronto soccorso e 130 nei reparti di cardiologia.
La dose media di flecainide è stata 263±54 mg, quella di propafenone 555±81 mg.
58 pazienti vennero esclusi per il trattamento extra ospedaliero a causa di:
– inefficacia entro le 6 ore (41)
– eventi avversi (15) –> transitoria ipotensione, flutter atriale, bradicardia sintomatica Dei 7 pazienti che ebbero un transitorio episodio di flutter atraile 1 presento una conduzione 1:1
I rimanenti pazienti vennero dimessi con l’indicazione ad assumere flecainide (74) o propafenone (136) nella modalità pill in the pocket in caso di ricomparsa di cardiopalmo aritmico
– 6 pazienti vennero persi durante il follow up che durò 15±5 mesi
– 41 (20%) non ebbero alcuna recidiva aritmica i restanti 165 ebbero complessivamente 618 episodi
– 569 episodi di cardiopalmo furono così trattai con flecainide (64 pazienti)) o propafenone (101 pazienti)
I farmaci furono efficaci in 534 (94%), il tempo medio di risoluzione dei sintomi dopo l’ingestione
113±84, la flecainide fu efficace in 239 su 254 episodi , il propafenone in 295 su 315
In 16 episodi l’aritmia durò più di 6 ore senza che i pazienti contattassero il PS, mentre in altre 26 volte i pazienti si recarono presso i dipartimenti di emergenza ed in 10 occasioni fu necessario il ricovero ospedaliero.
L’incidenza di effetti collaterali anche nella fase “domiciliare” fu bassa ed in un solo caso venne registrato successivamente in pronto soccorso un flutter atriale a conduzione 1:1.
Conclusioni
Le conclusioni degli autori sono che questo tipo di strategia in una popolazione selezionata di pazienti è fattibile, efficace e gravata da una bassa incidenza di effetti collaterali
Commento personale
L’approccio terapeutico alla fibrillazione atriale di recente insorgenza non è univoco. Nei paesi anglosassoni in genere viene privilegiata la cardioversione elettrica gravata pare di minori eventi avversi ma che ovviamente richiede la sedazione procedurale.
Le linee guida in genere privilegiano la strategia del rate control piuttosto che quella del rhythm conversion, sulla base dell’evidenze che una quota consistente di pazienti avrà un ripristino del ritmo sinusale spontaneamente.
Da noi, per quello che mi è dato di sapere, viene preferita la strategia convertiva con farmaci della classe I C, flecainide e propafenone , che hanno dimostrato un’ elevata percentuale di successo, ma come abbiamo visto non sono esenti da rischi.
Onestamente credo che ognuno segua e debba seguire i protocolli concordati nella propria realtà tenendo conto che di fronte al fallimento farmacologico il paziente deve essere sottoposto senza indugi e dopo un adeguato wash out a una cardioversione elettrica, senza tentare ulteriori approcci farmacologici che risultano spesso assai pericolosi.
Il lavoro di Alboni e collaboratori ha dimostrato che un approccio domiciliare alla cardioversione farmacologica è efficace e sicura in una popolazione molto selezionata tanto che questo tipo di trattamento è stato incorporato nelle linee guida ESC sulla fibrillazione atriale .
Dando una sguardo ai criteri di inclusione ed esclusione dello studio notiamo che i pazienti eligibili per questo trattamento non rappresentano certo la maggioranza dei pazienti con fibrillazione atriale di recente insorgenza che siamo soliti trattare in pronto soccorso. Qualche dubbio mi rimane poi su una percentuale di successo così elevata e sul timing considerato. L’esperienza personale è quella che:la fibrillazione atriale o passa subito o non passa, ma si sa l’esperienza personale non è basata sull’evidenza.
Curioso di conoscere il vostro punto di vista.
Dal profondo della mia ignoranza e della mia scarsa esperienza clinica, ma confortato dagli insegnamenti di molti, trovo che l’ultima frase sia un riassunto perfetto: la FA o passa subito o non passa!
ti posso portare la nostra esperienza e la nostra opinione (nel 2007 avevamo pubblicato anche una lettera sull’Internal and Emergency Medicine Journal, dal titolo “Controversies in the ‘‘pill in the pocket’’ approach to atrial fibrillation” che sintetizza la nostra opinione in tal senso). In due pazienti che avevano seguito il pill in the pocket abbiamo documentato bradicardie sintomatiche (in uno anche un arresto sinusale). Hai ragione che le opinioni non fanno evidenza, ma a volte l’evidenza viene usata in modo “improprio”, allargando la prescrizione anche a pazienti non idonei. In un paziente candidato e ben selezionato, forse si risparmiano accessi in PS, ma a volte un accesso in più permette di documentare meglio la situazione. Bisognerebbe sapere cosa ne pensa il paziente, che a volte ci dimentichiamo di interrogare in tal senso…
Alessandro,
anche io sono a conoscenza di eventi avversi con il pill in the pocket. Eventi peraltro possibili anche con l’assunzione cronica a scopo profilattico di farmaci antiaritmici. Assunzione di farmaci per il controllo del ritmo che spesso ancora viene preferita all’uso di farmaci per il solo controllo della frequenza, anche se studi hanno dimostrato che quest’ultima strategia sia più sicura e da preferire. In linea generale l’uso del pill in the pocket, correggimi se sbaglio, che ha avuto una certa diffusione negli anni passati, sia assai poco raccomandato attualmente.
complimenti per l’articolo, posso chiedere cosa consiste wash out e inoltre in caso di cordioversione elettrica il consenso informato va sempre firmato?
Matteo grazie del feedback positivo. E’bene evitare, al di fuori di situazioni di emergenza, di sottoporre i pazienti sottoposti a un tentativo di cardioversione farmacologica, immediatamente a una cardioversione elettrica. In genere un periodo di 3-4 ore è sufficiente, ma dipende dai farmaci utilizzati.Come per ogni procedura, al di fuori di situazioni di emergenza in cui è in gioco la vita del paziente, il consenso informato è d’obbligo.