Piotr il gigante buono
Ho sempre odiato gli stereotipi e le etichette. Piotr in consegna è bollato come il gigante buono. Come se i giganti fossero di default cattivi ed alcuni fossero diversi, fossero migliori. Io lo intravedo dalla mia saletta visita.
Sta seduto sul bordo della sua lettiga, troppa piccola per ospitarlo sdraiato. Mangia con avidità e tenerezza lo scarno pasto che arriva al suo posto letto, confezionato in una busta bianca. Mangia con le mani, ringrazia con i gesti, si alza e cerca con gli occhi un cestino dei rifiuti, chiedendo con un linguaggio simil esperanto se esiste la differenziata.
Piotr Non è un gigante buono. E’ un autista polacco che non parla ne italiano ne inglese che la sorte ha fatto stare male in una stazione di servizio del nord italia appena prima di risalire sul suo camion. Invece è salito su un ambulanza per ricevere le prime cure in un pronto soccorso italiano.
Le cure sono rapide e veloci, la diagnosi facile, il miglioramento immediato, forse spontaneo, forse perchè doveva andare così, forse per la lacosamide consigliata dal neurologo per la sua epilessia secondaria ad un trauma cranico datato.
Piotr apparentemente è guarito, con un nuovo farmaco per una nuova malattia. Ma rimane solo in un pronto soccorso straniero, senza una vera e propria possibilità e capacità comunicativa.
Piotr in un giorno si scopre solo ed abbondanato; si scopre epilettico ma anche senza camion, senza più un lavoro, senza soldi, senza un mezzo per tornare a casa e senza qualcuno che possa venirlo a prendere. Il datore di lavoro ha pensato bene di ritirare il mezzo lasciato parcheggiato dove neanche la polizia stradale sapeva esattamente e fargli trovare al posto una lettera di dimissione con effetto immediato.
Piotr Senza Lavoro mangia non sapendo cosa capiterà di lui.
Prenditi il diritto di sorprenderti.
Milan Kundera
La soluzione qualcuno la deve trovare e quel qualcuno possiamo essere noi. Semplice ma allo stesso tempo complessa: un biglietto di treno, un biglietto di un flixbus, un blister della sua nuova medicina e due sacchetti di viveri per affrontare il viaggio. Un biglietto con delle indicazioni scritte in un polacco da google translate. Ed un messaggio per il datore di lavoro ed un insegnamento di umanità. E 50 euri, per affrontare l’imprevidibile anche se prevedibilmente non saranno sufficienti nel caso. Ma almeno a comprare qualcosa di buono o di fresco, si.
Non dire mai alle persone come fare le cose. Dite loro che cosa fare e vi sorprenderanno con il loro ingegno.
George S. Patton
Angela prima mamma
Angela ha gli occhi grandi e generosi, le mani bucate e il viso e le braccia pieni di ematomi. Ma anche lo sguardo di chi mente e le parole bugiarde escono sussurrate, incerte quando mi racconta di come è caduta. Oggi ma anche la scorsa settimana. E lo scorso mese. Ed il mese prima ancora.
Inside of a ring or out, ain't nothing wrong with going down. It's staying down that's wrong
Muhammad Ali
E quella che sembra una casa piena di buche e trappole diventa piano piano un casa frequentata ogni tanto da un demone. Demone con fattezze simili e con il sangue uguale per metà, per l’altra metà avvelenato da un altro demone che si chiama droga. E la droga diventa violenza, le richieste obblighi e la forza inevitabile per ottenere il suo scopo.
Angela ed i suoi ematomi raccontano la storia di una mamma che ama il figlio fino ad annullarsi e che non riesce ad amare più se stessa di quanto ama lui.
Angela ed i suoi ematomi diventano medicazioni ed un lungo colloquio. Raccolto nei locali del pronto soccorso, nella sua intimità improvvisata, la storia di una vita e del suo strappo, la raccolta di una delusione, di errori, di scelte, di botte da orbi, di perdoni, di speranza, di disperazioni. Di una mente che continua a sperare nonostante tutto, di cuori che continuano a negare, di occhi che continuano a non vedere gli ematomi, di una voce che non si alzerà mai per far sentire la sua. Neanche questa volta. Ma almeno, questa volta, di un viso fracassato che esce dalla sala con il sorriso. Fino alle prossime botte, che so che arriveranno, che rovineranno di nuovo quel sorriso, o forse no.
Pezzi di umanità
Ed io mi ritrovo a pensare che l’umanità che si ritrova nei locali e nei corridoi del PS, sopra quelle lettighe, dentro quelle storie, non si trova da altre parti. E’ un tesoro che non può essere sprecato. E’ una risorsa che non può essere ignorata. E’ uno scrigno che deve essere aperto, esplorato, studiato, reso noto, difeso.
E penso che forse qualcosa possiamo ancora fare.
Piotr con 50 euro in tasca ed un biglietto per tornare in polonia per sentire che probabilmente il mondo non è come il suo datore di lavoro vuole raccontare.
Angela convinta di non procedere a nessuna denuncia ma con un sorriso sotto una frattura di naso figlio di una 30 minuti di conversazione in cui ha scoperto che il mondo può ancora essere buono e divertente.
Forse. Entrambi, fino alla prossima delusione. Fino al prossimo Pronto Soccorso. Forse.
Siamo più importanti, forse, di quello che pensiamo.
Bellissimo articolo, grazie
Grazie mille per l’apprezzamento
Per essere un buon medico non è sufficiente acquisire competenze tecniche e non, è necessario coltivare la propria umanità. Questo post lo testimonia nella sua bellezza poeticamente semplice,
Grazie Maverick. La cosa più difficile di tutti: la capacità di recuperare nel nostro tempo la visione semplice, pura, umana e poetica.
Grazie per la condivisione, articolo davvero interessante e toccante. Lavoro da circa un anno in pronto soccorso e questo articolo riassume quello che ho imparato di più: non tanto a gestire le “urgenze mediche”, ma a valutare la grande rassegna di umanità che sbarca nei locali del PS, con tutte le sue sfaccettature. Vediamo davvero tante persone, tanto disagio sociale… a volte sembra di non poter fare nulla di fronte a tutto questo – in fondo il PS è “solo” il luogo dove valutare e stabilizzare i pazienti – o forse questo è quello che si racconta di più? A volte ti sembra di riuscire a fare qualcosa di buono, e basta quello per sentirsi felici almeno per un po’.
Almeno per un pò…
Grazie per l’articolo, tema bellissimo! Una domanda aperta per chi vorrà rispondere: nella vostra quotidianità in pronto soccorso vi trovate più spesso di fronte a gesti di profonda umanità o disumanità? Più spesso a riscontrare comportamenti virtuosi come quelli raccontati nel post o viceversa? Per la mia molto relativa esperienza, il pronto soccorso è un ambiente in cui la mancanza di tempo, di personale, di spazio fisico da dedicare al paziente, sempre ad un passo dal burn out, tende a trasformare le persone che ci lavorano dentro in automi, perdendo la connessione con il lato umano. La cosa mi preoccupa non poco, a tratti mi demoralizza. Vi ritrovate nei miei pensieri o altrove è diverso? Un saluto carico di speranza
inizio io a rispondere. La seconda che hai detto. però sono le persone che lavorano in quel posto a fare quel posto. Per questo sono convinto che si può ancora invertire la tendenza. che si può fare meglio. che si può essere migliori
Grazie, continuo a crederci anche io! Ed è bello sapere che non si è da soli.