Al cambio turno, l’altra mattina, c’è stato un vivace scambio di opinioni sulla gestione di un paziente con insufficienza respiratoria. ” Nella notte è peggiorato, era confuso e agitato, l’EGA orrendo con un PH di 7,2 e 80 di PaCo2, così ho iniziato a ventilarlo con la NIV, ma non c’era verso di fargli tenere questa benedetta maschera ,allora ho deciso di sedarlo con 2 mg di aloperidolo…”, raccontava la collega provata dall’estenuante guardia notturna.
” Io avrei provato prima con una blanda contenzione fisica e poi del midazolam sicuramente più efficace nel breve periodo; poi, se le cose andavano male, avevi sempre l’antagonista…”, ribatteva un altro. ” E già, e se poi si arrestava, avrei finito per doverlo intubare e chi lo diceva al rianimatore di portare in rianimazione un paziente di 85 anni con una grave BPCO?” replicava la prima. ” E tu cosa avresti fatto?” Temevo questa domanda perché non avevo una vera risposta. ” Non lo so, probabilmente tutte e tre le cose, ma in realtà non so quanto sia sicuro sedare un paziente in queste circostanze”. Il dubbio mi è rimasto, finché grazie a Twitter, non ho trovato questo articolo che cerca di analizzare il problema: Sedation during non invasive ventilation, in attesa di esser pubblicato, EPUB ahead of print, su Minerva Anestesiologica da parte di un gruppo di anestesisti rianimatori di Bordeaux.
Gli autori nell’articolo analizzano le indicazioni e fanno una revisione della letteratura attraverso i database Pubmed e Scopus di quanto pubblicato dal 1980 al 2012.
Il razionale della sedazione durante la NIV
Nonostante sia noto che la ventilazione non invasiva migliori l’outcome in pazienti selezionati con insufficienza respiratoria acuta, una quota non indifferente di essi va incontro a fallimento a causa dell’intolleranza alla maschera o dolore o senso di claustrofobia. Il delirio e l’agitazione rappresentano altre possibili cause di fallimento terapeutico.
La percentuale di fallimenti varia in letteratura tra il 14 e il 22%
Un uso cauto della sedazione può non solo essere di aiuto nelle fasi inziali della ventilazione, ma anche nel prosieguo della stessa.
Gli studi
Gli studi, tutti peraltro di piccole dimensioni, incoraggiano l’uso della sedazione in quanto in grado di migliorare la cooperazione paziente-macchina e ridurre il ricorso alla ventilazione invasiva.
Gli agenti utilizzati sono stati:
– morfina da sola o in associazione al midazolam
– propofol
– ramifentanil
– dexmedetomidina
In pratica
Una indagine conoscitiva ha evidenziato che sono le benzodiazepine le molecole più frequentemente usate in queste situazioni (33%), mentre gli oppioidi, sebbene preferiti in Europa, rappresentavano il 29% dei casi.
La somministrazione avveniva per lo più in boli, al di fuori di protocolli standardizzati ed era controllata da parte di un infermiere su base esclusivamente clinica, non seguendo scale di sedazione.
Survey of sedation practices during noninvasive positive-pressure ventilation to treat acute respiratory failure.
Crit Care Med 2007
Uno studio randomizzato condotto su 40 pazienti affetti da BPCO ha messo a confronto midazolam e dexmedetomidina. Quest’ultima richiedeva minori aggiustamenti terapeutici che il midazolam.
Tutti gli studi concordavano comunque sulla necessità di monitorare strettamente i pazienti, motivo per cui il luogo ideale dove trattarli, secondo gli autori dello studio, era rappresentato dalla terapia intensiva .
L’articolo poi fa una disamina di altre situazioni in cui potrebbe essere utile utilizzare la sedazione.
– NIV utilizzando la ventilazione assistita durante la broncoscopia
– NIV durante l’esecuzione dell’ecocardiogramma transesofageo.
Conclusioni
Gli autori concludono che non solo la sedazione durante la NIV è fattibile, ma anche sicura, anche se sono necessari studi randomizzati per poter far sì che la sua pratica diventi veramente diffusa.
Commento
L’argomento secondo me è di grande interesse perché riguarda la nostra attività di tutti i giorni. Certamente sarebbe auspicabile eseguire uno studio multicentrico, almeno inizialmente volto a valutare la sicurezza dei diversi farmaci utilizzati nei piccoli studi descritti poc’anzi. Per chi opera in DEA, credo che le benzodiazepine rappresentino l’approccio ideale anche per la disponibilità di un antagonista. Sono anche convinto, che anche al di fuori di protocolli standardizzati ,diversi schemi di sedazione vengano quotidianamente utilizzati nei nostri pronto soccorso o nelle terapie intensive. Curioso di sapere da voi se e come siete soliti trattare i pazienti con insufficienza respiratoria acuta che richiedono non solo di essere trattati con la NIV, ma anche di essere sedati al fine di poterla eseguire in modo ottimale.
Premetto che lavorando in un pronto soccorso che non ha la semi-intensiva ho poca esperienza in proposito.
A mio parere e’ meglio usare il midazolam (magari in boli successivi) piuttosto che i neurolettici, piu’ che altro per la possibilità di antaginizzarlo. Quanto alla morfina ritengo che possa trovare spazio nei pazienti ventilati per edema polmonare acuto (nel post non si parla di questa differenza)o anche nei pz con sintomatologia dolorosa.
Nowhere,
concordo.
Nei pazienti in edema polmonare, come ben sai, la morfina viene abitualmente utilizzata anche prima del trattamento ventilatorio e, anche se sembra aumentare il numero di intubazioni, è un gran farmaco,togliendo in primis l’ambascia respiratoria. L’articolo non menzionava l’uso dei farmaci nelle diverse condizioni cliniche ma dobbiamo tenere a mente che nell’edema polmonare cardiogeno “puro” siamo soliti utilizzare la CPAP, essendo la NIV una seconda scelta.
Nella mia esperienza posso dire che sedare pazienti che hanno problemi ad essere ventilati in maschera (CPAP o pallone autoespandibile) non è così “drammatico”. Posso anche dire che un paziente che si oppone alla ventilazione e ne ha bisogno potrebbe anche diventare incosciente per ovvi motivi.
Il dramma è un’altro: paziente di > 85 con insufficienza respiratoria anche seria che si fa? In precedenti commenti di colleghi di articoli su NIV qualcuno si chiedeva il razionale della “tortura” NIV in questi pazienti.
Io ricordo a tutti
1) siate medici e non assassini
2) ricordate i paletti posti dalla bioetica e che in italia l’eutanasia non esiste, ma esiste solo il “non accanimento terapeutico”. Quest’ultimo concetto non comprende nella sua definizione nessun limite di età. Appropriatezza delle cure e accanimento terapeutico sono concetti che devono considerare l’individuo in quanto tale, la sua capacità di recupero e il principio di rischio/beneficio, senza arrecare ulteriori sofferenze al paziente. Bisogna pesare bene tutte le parole e capire bene i concetti.
Un un paziente di 85-90 anni con demenza e insufficienza respiratoria acuta anche se non completamente autosufficiente tenuto come una bomboniera dai parenti andrebbe lasciato morire perché a 85-90 anni? o perché ha la demenza? o perché la NIV gli crea fastidio? o perché i reparti sono pieni? o perché potrebbe finire in rianimazione (il folletto del rianimatore spaventa)?
Un paziente con sola BPCO è un paziente terminale? Fa differenza curare un BPCO di 78 anni e uno di 85 (parliamo solo di età)?
Scusate la durezza dei concetti espressi. A chi avesse anche un solo dubbio sul suo corretto modo di operare è giusto che si documenti, se i dubbi comprendono l’etica medica è indicato vivamente un corretto e obiettivo percorso di studio piuttosto che lasciarsi andare a facili commenti di strada o peggio dettati dai tempi e dalla spettro della “cultura della morte”.
Voce del deserto,
grazie del tuo commento di cui devo dire non ho apprezzato il tono. Nella mia vita ho imparato a diffidare di chi ha risposte certe ad ogni domanda e ad apprezzare invece chi ha dubbi e le domande se le pone continuamente. Non credo che esista una soluzione adattabile ad ogni paziente e che ognuno di essi ha una storia a se stante,,né spetta a noi operatori sanitari decidere chi salvare. L’umanità, il buon senso e l’etica professionale ci guidano nella pratica di ogni giorno ma non viviamo in un mondo ideale e la distanza tra terapia ed accanimento terapeutico non sempre è così evidente. Ognuno di noi credo faccia questo difficile lavoro con passione e dedizione e per questo risulta difficile accettare lezioni di morale soprattutto da chi non si palesa e si cela dietro… una voce del deserto.
Più di una volta mi sono trovato di fronte ad un arresto respiratorio da midazolam, anche a basse dosi (2 mg), in pazienti over 75. Se il paziente è molto agitato e necessita una “rapida” contenzione farmacologica più che l’aloperidolo, utilizzo della clotiapina (entumin) a bassi dosaggi in boli endovenosi titolati sul livello di sedazione desiderato (1 fiala di entumin “tirata” a 10 ml, 2 ml ev ripetibili ogni 3-4 minuti).
Stefano,
grazie del tuo commento e di aver condiviso le tue esperienze. Non ho familiarità con l’uso della clotiapina per via endovenosa. Ammetto invece di essere un sostenitore delle benzodiazepine per via endovenosa anche nel paziente anziano e preannuncio a breve un post proprio su questo tema. Inutile ribadire quanto questo argomento sia caratterizzato da molta”esperienza” e poca evidenza; ben vengano quindi interventi come il tuo.
Rispondo da psichiatra, io preferirei piuttosto che la clotiapina una fiala di promazina.. Non ev si puo’ fare i.m. .. L effetto paradosso delle benzodiaxepine negli anziani benche’ a emivita brevissima.. Il pro e’ che hai l antidoto si’..sicuramente benche’ nella rapid tranquilization uk ci sia aloperidolo, questo e’ poco sedativo se l agitazione e’ importante, infatti in quel protocollo e’ associata a lorazepam 4 mg im . C e’ sempre da sperare che l anziano agitato
Non abbia l effetto paradosso alle benzodizapine..
Ilaria grazie del tuo commento. Con tutto il rispetto mi permetto di dissentire. Parlando di anziano agitato l’effetto paradosso delle benzodiazepine non si manifesta nella somministrazione endovenosa, mentre ormai da tempo ho abbandonato l’uso della promazina, nella mia esperienza assai meno efficace del delorazeam ev, che uso abitualmente a basse dosi ( 1mg a bolo lento) con risultati ottimi.e senza avere mai avuto alcun effetto collaterale di rilievo. L’unica accortezza il monitoraggio clinico. Abbiamo comunque trattato questo tema in un altro post: http://empills.com/2013/07/sedazione-del-paziente-anziano-agitato/, se vuoi dacci uno sguardo.
Carlo prima di tutto una proposta: buttiamo giù un questionario veloce veloce sulle metodiche adottate per sedare? Da noi Morfina. Per quanto riguarda la necessità di “cosa fare e quando” é un problema apertissimo che nessun documento, per quanto condiviso, potrà mai risolvere in assenza di una precisa legislazione
Ciccio grazie del commento e della proposta anche se sono perplesso sulla sua reale utilità.
Il tema della sedazione in qualunque ambito venga affrontato richiama quello della figura e del ruolo del medico d’urgenza. In un editoriale ormai di alcuni anni fa, ma credo tuttora valido, sugli Annals of Emergency medicine si titolava: A chi compete la sedazione procedurale profonda?http://www.annemergmed.com/article/S0196-0644(11)00243-5/abstract
Il chè sottintendeva che anche negli USA ,dove la specialità di medicina d’emergenza è una realta da decenni, il dibattito sul fatto che questa fosse compito del medico d’urgenza e non del rianimatore, rimaneva ancora del tutto aperto,, sebbene la posizione degli urgentisti fosse ovviamente scontata e chiara. La sedazione è compito del medico di pronto soccorso.Posizione che condivido in toto.
Questo implica ovviamente un discorso di competenze e formazione che non credo possiamo dire sia capillarmente diffusa sul territorio nazionale. Aggiungerei che forse questa posizione non è neanche condivisa da tutti quelli che lavorano nei nostri pronto soccorso. Possiamo discutere se sia meglio il ramifentanil, cui molti di noi si stanno convertendo, la ketamina, il midazolam,il fentanil o la morfina, ma la domanda principale a cui rispondere è sempre la stessa:vogliamo e siamo in grado di prevenire e gestire eventuali complicanze? In altre parole siamo in grado di gestire in prima persona le vie aeree? Personalmente sono convinto che la risposta non possa che essere affermativa, temo però che una eventuale survey direbbe esattamente il contrario.
Ancora una volta, grazie per questo Blog; sono sempre più dell’idea che andrebbe diffuso nelle varie facoltà di Medicina del nostro Paese.
Il mese scorso ho avuto uno scambio di opinioni con una specializzanda di Pneumologia che sosteneva la pericolosità della sedazione in una nostra paziente in NIV (L’EGA completo non me lo ricordo, la PaCO2 era sugli 88, ndr); io avrei provato con del Midazolam (con del Flumazenil a portata di mano), anche perchè la paziente teneva su la Mirage 5 minuti e poi la rimuoveva, vanificandone i benefici.
Chiaramente le invierò il link di questo articolo…
Marco, grazie di cuore del tuo commento. Sedazione e NIV non sono antitetetiche, molti dati di letteratura ce lo dicono, ma tutti siamo cresciuti con l’assioma niente oppiacei e benzodiazepine nel paziente in insufficienza respiratoria. Un paziente che combatte contro la maschera non ha molte alternative di essere aiutato: la sedazione o l’intubazione, forse prima di arrivare alla seconda, conviene provare la prima.
Ciao a tutti
Noi usiamo il remifentanil…ha un protocollo infusivo secondo peso, la sospensione prevede un decalage ma tutto sommato ci stiamo trovando bene. Richiede una via preferenziale
Francinori, grazie per avere condiviso la tua esperienza. In effetti il ramifentanil sta diventando il farmaco di elezione in questi pazienti, anche se alcuni ancora gli preferiscono,il midazolam o l’associazone fentanil ketamina a dosi subdissociative.
Mi sono trovata parecchie volte a sedare pazienti in NIMV…. Considerando che la nostra semi -intensiva è ubicata sei piani sopra il ps… Mi sono presa un bel rischio… Ma non avevo alternativa… O passavo la notte in reparto a contenere i pazienti o non so come sarei sopravvissuta… In tutti i casi buona efficacia hanno avuto talofen e diazepam
Carlo concordo con te sulla non uniformità delle competenze, solo una precisazione però; il mio “cosa fare e quando” era riferito ai pazienti e riguardava quanto detto da qualcuno a proposito di pazienti terminali, o in età avanzata ecc ecc
Ciccio, non avevo capito il tema della tua riflessione. A questo riguardo è stato recentemente pubblicato un documento condiviso e approvato da diverse società scientifiche tra cui SIAARTI e SIMEU che certamente merita più di una riflessione http://www.associazionelucacoscioni.it/sites/default/files/documenti/cure%20palliative.pdf
Sì Carlo lo conosco bene, ne abbiamo discusso al nostro congresso simeu col direttivo ed abbiamo pure avuto un vivace scambio di idee con Giorgio Carbone a proposito di un caso clinico portato da uno dei miei. Il problema però é sempre quello della mancanza di legislazione nazionale.
Ti abbraccio
Buongiorno, capito oggi in questa pagina di questo blog che apprezzo molto, a distanza di qualche anno dalla sua pubblicazione.
Mi chiedo se in questo lasso di tempo ci siano stati degli sviluppi in merito a quali protocolli sedativi utilizzare nel paziente in NIV, ma aggiungerei anche in semplice ossigenoterapia.
Nella mia esperienza (neurologo di Stroke Unit) non è raro confrontarsi con pazienti che vanno incontro ad ipossiemia per complicanze infettive, sovraccarico (specie post trombectomia), il più delle volte in anziani con sindromi obesità-ipoventilazione o BPCO di base. Non è altrettanto rara, negli stessi pazienti, la comparsa di delirium da ospedalizzazione che tendiamo a gestire con neurolettici/trazodone o, per pz non troppo anziani, anche con bzd. Alcuni di questi pazienti già con una buona ossigenoterapia o CPAP sono in grado di evitare il collasso dei muscoli respiratori.
Nel pz neurologico la sedazione diventa ancora più complessa, perché il più delle volte ci occorre il mantenimento della vigilanza per valutare eventuali peggioramenti clinici, e per questo si tende sempre a muoversi con eccessiva parsimonia, col rischio che l’anziano che sta tutta la notte a battagliare, dispnoico e irrequieto, al mattino ti va in coma ipercapnico, e a quel punto non ha più senso pensare alla NIV.
Io, per aver lavorato un anno in una medicina interna con semi-intensiva, ho acquisito nella mia esperienza l’impiego della morfina o del midazolam in boli, che mi ha sempre dato grandi soddisfazioni, ma prevalentemente nell’EPA.
Attendo vostre considerazioni/aggiornamenti.
Grazie
Riccardo, grazie del tuo commento e dei complimenti.
E’ difficile rispondere alla tua domanda, e al riguardo, sarebbe utile avviare una survey per capire quali sono le modalità attuali più utilizzate nei diversi ambiti e da diverse figure professionali. In generale non credo che le nostre abitudini siano cambiate dove ancora morfina e midazolam la fanno da padroni. In certi ambiti vengono oggi utilizzati maggiormente la ketamina e il remifentanil, ma non credo che il loro uso sia così diffuso. Di sedazione, nei suoi diversi aspetti, abbiamo parlato più volte nel blog e in questa pagina di ricerca puoi eventualmente approfondire qualche tema specifico https://www.empillsblog.com/?s=sedazione
Grazie mille!