Chi ha già qualche anno sulle spalle si ricorderà della GIK, la fleboclisi contenente glucosio, insulina e potassio, che veniva somministrata ai pazienti con infarto miocardico acuto. I dati pro e contro questo trattamento si sono alternati nel tempo così come quelli su quale dovesse essere il livello ideale di potassiemia da mantenere in questi pazienti. E’ stato recentemente pubblicato uno studio su JAMA con lo scopo di rispondere a quest’ultima domanda.
Serum Potassium Levels and Mortality in Acute Myocardial Infarction: questo il titolo del lavoro che esaminando retrospettivamente oltre 38.000 pazienti ricoverati dal gennaio 2000 al dicembre 2008 in 67 ospedali americani, cerca di correlare mortalità per infarto e livello di potassio plasmatico medio durante la degenza ospedaliera.
I livelli presi in considerazione sono stati:
<3.0, 3.0- 3.5, 3.5- 4.0, 4.0- 4.5, 4.5- 5.0, 5.0- 5.5, e > 5.5 mEq/L.
Sino ad ora i livelli consigliati nelle principali linee guida erano compresi tra 4.0 e 5.0, ma questi dati derivano da studi eseguiti in un periodo in cui nè la terapia beta bloccante nè quella di riperfusione, venivano praticate estensivamente.
Sebbene l’end point primario fosse rappresentato dalla mortalità, gli autori hanno studiato anche il rapporto tra potassiemia e aritmie ventricolari e arresto cardiaco.
Vediamo quali sono stati i risultati.
La mortalità più bassa è stata vista tra i pazienti con potassiemia tra 3.5 e 4.5 mEq/L, mentre quella più alta al di sopra ed al di sotto di questi valori con un andamento ad U della curva.
Per quanto riguarda le aritmie ventricolari e arresto cardiaco, invece si notava un incremento significativo solo per valori inferiori a 3.0 o superiori 5.0, dimostrando un andamento piatto della curva assai diverso dal precedente.
Perché queste differenze?
Gli autori presumono una difficoltà ad identificare nello studio pazienti con arresto cardiaco, in quanto soprattutto per valori di potassiemia molto elevati i ritmi potenzialmente letali sono rappresentati da arresto sinusale e blocco AV e quindi ritmi non defibrillabili e non classificabili come arresto cardiaco.
Questo studio cambierà la nostra pratica clinica?
Personalmente penso di no. Stupisce poi la discrepanza tra mortalità, aritmie ventricolari – arresto cardiaco e potassiemia e la spiegazione fornita dagli autori mi pare piuttosto forzata. Ora però sappiamo che valori “normali” di potassio sono quelli da preferire, ma forse già lo pensavamo seguendo un antico proverbio latino: in medio stat virtus!
In realtà la GIK potrebbe avere un’altra ragione logica di essere, e cioè, non tanto per il potassio, quanto per il glucosio…bisognerebbe verificare il metabolismo cardiaco e la necessità di energia necessaria a sopperire al tessuto cardiaco malato…