lunedì 11 Dicembre 2023

Procalcitonina: è utile in Pronto Soccorso?

“Questo paziente sarà settico?”

Credo che questa sia una delle domande, dopo “ma quando finisce questo turno?”, che chi lavora in un Pronto Soccorso si pone più frequentemente. Dato che trovare una risposta spesso è molto difficile, qualsiasi strumento diagnostico proposto in questo campo suscita sempre interesse.

Così è successo anche nei primi anni 2000, quando si è iniziato a parlare di procalcitonina (PCT) per la diagnosi di sepsi. In particolare, la PCT si è ritagliata un ipotetico ruolo come strumento di supporto riguardo alla decisione di avviare la terapia antibiotica, soprattutto in caso di sospetta o accertata infezione delle vie respiratorie.

Al momento l’evidenza più rilevante deriva da una revisione sistematica del 2017 pubblicata da Schuetz et al. per la Cochrane Collaboration (1). La sintesi dei risultati degli studi condotti in Pronto Soccorso (PS) dimostrava che, a fronte di una riduzione sia della proporzione dei pazienti in cui veniva avviata la terapia antibiotica (63.1% vs. 22.9%, P < 0.001) che della durata del trattamento (9,8 giorni vs. 7,3 giorni, p < 0.001), non si registrava alcun incremento della mortalità a 30 giorni (Risk Ratio 0,97, I.C. 95% 0,70 – 1,36)

Questo studio però ha suscitato perplessità per diversi motivi: metà circa degli studi presi in considerazione erano finanziati direttamente dall’industria farmaceutica, con la quale avevano conflitti di interessi una quota non piccola degli stessi Autori della revisione. Inoltre, i lavori conditti in PS erano per lo più di piccole dimensioni e avevano reclutato soprattutto pazienti successivamente ricoverati, i quali rappresentano solo una parte di tutti coloro che valutiamo con sospetta infezione delle vie respiratorie.

Il trial ProACT

Per superare questi limiti è stato condotto lo studio ProACT (2), un trial di non-inferiorità, randomizzato, controllato e multicentrico nel quale sono stati arruolati pazienti adulti con una diagnosi clinica di infezione delle vie aeree distali per i quali vi era incertezza relativamente all’eventuale avvio del trattamento antibiotico, per testare l’impatto della PCT quale strumento di supporto decisionale.

Tutti i pazienti arruolati venivano sottoposti al dosaggio della PCT ma, mentre nel gruppo di controllo tale risultato non veniva comunicato al medico, che dunque decideva se avviare il trattamento sulla base degli altri elementi diagnostici a sua disposizione, nel gruppo di trattamento il clinico era a conoscenza della concentrazione del biomarcatore e veniva invitato a trattare il paziente sulla base delle seguenti raccomandazioni, approvate dall’FDA:

  • < 0,1 µg/l: trattamento antibiotico fortemente scoraggiato;
  • 0,1 – 0,25 µg/l: trattamento antibiotico scoraggiato;
  • 0,25 – 0,50 µg/l: trattamento antibiotico raccomandato;
  • >50 µg/l: trattamento fortemente raccomandato.

L’outcome primario è l’esposizione totale al trattamento antibiotico, intesa come il numero di giorni di terapia con antibiotici nei 30 giorni successivi all’arruolamento. Quello secondario era un outcome composito su aspetti di sicurezza (si vedano le note).

Complessivamente sono stati arruolati 1565 pazienti, il 39,3% dei quali è risultato affetto da una riacutizzazione asmatica, il 32% circa da una riacutizzazione di BPCO, il 24% da una bronchite acuta e il 20% da polmonite. Non sono state registrate differenze statisticamente significative in termini di di esposizione alla terapia antibiotica, pari a 4,2 giorni nel gruppo di trattamento vs. 4,3 giorni nel gruppo di controllo (differenza −0,05 giorni, I.C. 95% −0,6 – 0,5; P = 0,87). La proporzione dei pazienti con eventi avversi a 30 giorni era sovrapponibile tra i due gruppi (11.7% vs. 13.1%; P<0.001).

Tabella 1. Distribuzione dei pazienti dello studio ProACT nei vari “strati” di PCT, sulla base delle raccomandazioni proposte.

Lo studio di Montassier e colleghi (3)

Un altro recente studio, anch’esso un trial randomizzato multicentrico di non inferiorità, ha recentemente confermato questi risultati.

In pazienti con diagnosi clinico-radiologica di polmonite, metà sono stati gestiti in base alle raccomandazioni FDA di cui sopra. Il restante 50% dei pazienti è stato trattato secondo la gestalt del medico curante, non a conoscenza della concentrazione della PCT.

I risultati del lavoro sono riassunti nella tabella seguente.

Tabella 2. Sintesi dei risultati dello studio di Montassier e colleghi.

Lo studio HiTemp (4)

Un ulteriore, recente, lavoro contribuisce ad alimentare i dubbi sull’uso della PCT nel Dipartimento di Emergenza. Si tratta di un trial randomizzato multicentrico di non inferiorità condotto nei Paesi Bassi nel quale sono stati arruolati 551 pazienti adulti giunti in PS con febbre. Vi erano due gruppi di trattamento: nel primo, i medici curanti erano a conoscenza della concentrazione della PCT e venivano invitati a trattare con antibiotici solo se questa era > 50 mcg/l; nel secondo, così come negli altri studi, il medico decideva senza fare riferimento alla concentrazione della PCT.

Nel gruppo in cui il trattamento era basato sulla PCT, il 73% dei pazienti riceveva una terapia antibiotica, rispetto al 77% dei controlli (p = 0,76). La prevalenza di un outcome composito costituito da mortalità a 30 giorni, ricovero in Terapia intensiva e rientro in PS entro 14 giorni era sovrapponibile tra i due gruppi (11% nel gruppo PCT e 16% nei controlli, p = 0,16).

Anche in questo caso si tratta di pazienti a basso rischio, nei quali le diagnosi più frequenti erano di infezioni respiratorie o urinarie, con concentrazione mediana di PCT pari a 0,26 µg/l e un’infezione batterica confermata nel 36% dei casi.

Accuratezza diagnostica della PCT

Un denominatore comune tra questi studi è l’adesione al protocollo di utilizzo della PCT, mai elevata: si va dal 56% di van der Does al 76% di Montassier, passando per il 72% di Huang e collaboratori. In quest’ultimo lavoro sono state approfondite le ragioni della mancata adesione al protocollo: complessivamente, nel 73% dei casi il medico riteneva possibile un’infezione batterica anche quando la concentrazione della PCT era bassa.

Avevano ragione, i medici dei centri coinvolti negli studi, a non fidarsi del tutto delle potenzialità diagnostiche della PCT? Forse sì.

Sono disponibili alcune revisioni sistematiche relative all’accuratezza della PCT per la diagnosi di sepsi, i cui risultati sono sintetizzati nella tabella seguente.

Tabella 3. Sintesi dei principali revisioni sistematiche relative all’accuratezza diagnostica della PCT.

Nel già citato studio di van der Does (4), di valore poiché di natura prospettica e un’adeguata dimensione campionaria, l’accuratezza diagnostica della PCT >50 µg/l per una diagnosi di sepsi è risultata ancora meno soddisfacente, con una sensibilità pari a 0,52 (I.C. 95% 0,45 – 0,60) e una specificità di 0,73 (I.C. 95% 0,68 – 0,78). Con questi parametri, pensare di non somministrare antibiotici quando altri indizi clinici suggeriscono un’infezione batterica non è prudente. Che io sappia, è l’unico studio di questo tipo pubblicato e relativo a pazienti non selezionati di PS.

In conclusione, la diagnosi di sepsi resta tra le più difficili da accertare e probabilmente la PCT non ha alcun un ruolo nei pazienti non selezionati di PS con febbre o infezione delle vie respiratorie. Nel caso di presentazioni più complesse, nelle quali la sepsi rientra tra le possibili diagnosi differenziali (per esempio alterazioni dello stato di coscienza o insufficienza d’organo di ndd), la PCT potrebbe essere utile, nell’ambito di una valutazione clinica completa.

Note

Nello studio ProACT l’outcome composito degli eventi avversi è costituito da decesso, shock settico (utilizzo di vasopressori per almeno un’ora), utilizzo di ventilazione meccanica invasiva, insorgenza di insufficienza renale acuta, insorgenza di ascesso polmonare/empiema, sviluppo di polmonite in pazienti inizialmente affetti da altre forme di infezione delle vie respiratorie, successivo ricovero ospedaliero (sia per i pazienti inizialmente dimessi dal PS, sia per quelli ricoverati).

Bibliografia
  1. Schuetz P, Wirz Y, Sager R, et al. Procalcitonin to initiate or discontinue antibiotics in acute respiratory tract infections. Cochrane Database Syst Rev 2017; 10: CD007498. Link
  2. Huang DT, Yealy DM, Filbin MR, et al, for the ProACT Investigators. Procalcitonin-Guided Use of Antibiotics for Lower Respiratory Tract Infection. N Engl J Med 2018;379:236-49. Link
  3. Montassier M, Javaudin F, Moustafa F et al. Guideline-Based Clinical Assessment Versus Procalcitonin-Guided Antibiotic Use in Pneumonia: A Pragmatic Randomized Trial. Ann Emerg Med. 2019 Apr 11. pii: S0196-0644(19)30147-7.  Link
  4. van der Does Y, Limper M, Jie KE et al. Procalcitonin-guided antibiotic therapy in patients with fever in a general emergency department population: a multicentre noninferiority randomized clinical trial (HiTEMP study). Clin Microbiol Infect 2018;24:1282. Link
  5. Tang BMP, Eslick GD, Craig JC, McLean AS. Accuracy of procalcitonin for sepsis diagnosis in critically ill patients: systematic review and meta-analysis. Lancet Infect Dis 2007; 7: 210–17. Link
  6. Wacker C, Prkno A, Brunkhorst FM, Schlattmann P. Procalcitonin as a diagnostic marker for sepsis: a systematic review and meta-analysis. Lancet Infect Dis 2013;13: 426–35. Link
  7. Wu C-C, Lan H-M, Han S-T, et al. Comparison of diagnostic accuracy in sepsis between presepsin, procalcitonin, and C‑reactive protein: a systematic review and meta‑analysis. Ann Intensive Care 2017; 7:91. Link
  8. Kondo Y, Umemura Y, Hayashida K, et al. Diagnostic value of procalcitonin and presepsin for sepsis in critically ill adult patients: a systematic review and meta-analysis. J Intensive Care 2019; 7:22. Link
  9. Hoeboer SH, van der Geest PJ, Nieboer D, Groeneveld ABJ. The diagnostic accuracy of procalcitonin for bacteraemia: a systematic review and meta-analysis. Clin Microbiol Infect 2015; 21: 474–481. Link

Paolo Balzaretti
Paolo Balzaretti
Dirigente Medico presso il Dipartimento di Emergenza A.O. “Ordine Mauriziano” di Torino Specialista in Medicina Interna I miei interessi scientifici riguardano la ricerca bibliografica, la valutazione critica della letteratura e le possibilità di applicazione dell’evidenza nella pratica clinica Sono su Twitter:@P_Balzaretti

5 Commenti

  1. Da Infettivologo (anzi, Tropicalista/Infettivologo/Urgentista e SemiInternista, posso tranquillamente affermare che la PCT può avere un ruolo, nella sepsi. Quando sia positiva.
    Quando sia integrata alla clinica.
    Quando non venga ripetuta più e più volte anche se negativa.
    Quando non venga ripetuta a 24 ore quando positiva.
    Quando si ragioni sul paziente.
    Quando si sappia che può essere elevata in alcuni casi assolutamente non settici (capitati realmente e – ahimé – ricoverati come “sepsi”)
    Quando, insomma, come tanti altri indicatori (non ultimo il Q-SOFA), venga affiancata al ragionamento.

    La presentazione del Collega è, come sempre su questo sito, bellissima.
    Il mio commento, forse, un po’ troppo sintetico e poco raffinato.
    Ma – ovviamente a mio parere – anch’esso può rendere l’idea.

    Buon lavoro a tutti e soprattutto a tutte

  2. Ottima revisione dei dati della letteratura!
    La PCT ha un elevato potere predittivo negativo che può essere sfruttato nelle situazioni dubbie e in emergenza.
    Occorre tenere presente che esiste anche un periodo finestra per la sua positivizzazione, quindi in casi selezionati va ripetuto il dosaggio dopo poche ore, contrariamente alla sua nota cinetica.
    Indubbio il ruolo nella valutazione della risposta clinica alla terapia antibiotica intrapresa e in caso di reinfezione.
    Se si sospetta che il paziente sia settico, ovviamente va trattato tempestivamente, ottenere un dosaggio basale della PCT, al tempo zero, è fondamentale pero’ per poterne seguire l’andamento succesivo in termini di risposta clinica.
    È un biomarcatore di risposta immune che poco correla con la mortalità, per tali ragioni sarà opportuno associarla ad altri biomarcatori più specifici come indicatori di danno d’organo.
    Se qualcuno fosse interessato, sono disponibile a condividere l’esperienza acquisita.
    Stefania Battista

  3. Da ex prontosoccorsista/medico d’urgenza ti ringrazio per la focalizzazione completa e puntuale su un argomento attuale ma controverso.
    Siamo tutti consapevoli che una diagnosi complessa quale è quella della sepsi sia sempre il risultato di una valutazione sinergica tra anamnesi, clinica, laboratorio e diagnostica strumentale (imaging e…).
    Purtroppo non è ancora patrimonio comune la consapevolezza che la diagnosi di sepsi/shock settico presuppone sempre e comunque una fortissima connotazione emodinamica. La sepsi è anche una sindrome emodinamica.
    La tecnologia innovativa ha fatto enormi progressi negli ultimi decenni; è possibile in tempo reale ed in modalità totalmente non invasiva essere informati sull’inotropismo cardiaco, sul tono vascolare e venoso in particolare (ricordiamo che il 70/80% del nostro volume circolatorio è contenuto nel sistema di capacitanza venosa), sul cardiac output e quindi sul volume.
    Credo sia giunto il momento in cui il sogno di un grande fisiologo quale è stato A. Guyton, ovvero quello di applicare la fisiologia cardiovascolare a letto del paziente, sia realizzabile anche grazie alla validazione dei suoi studi e al progresso tecnologico.
    E’ giunto il momento di ragionare anche in termini di emodinamica non invasiva a letto del paziente “instabile”: questo tassello potrebbe contribuire a comporre il mosaico finale.
    Buon lavoro

  4. Grazie Nicola.
    Sono d’accordo con quanto dici, anche se i risultati dei trial volti alla valutazione dell’impiego di protocolli per il trattamento “emodinamico” della sepsis grave/shock settico non hanno sortito i risultati sperati. Ciò vuol dire che forse non esiste un modello universale ma il trattamento deve essere disegnato su misura per ogni singolo paziente. Un’impresa non facile per il Pronto Soccorso.
    Grazie ancora per l’interesse,
    Paolo.

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