Parliamo di sedazione procedurale e di sindrome di Brugada: quale farmaco possiamo considerare sicuro per questi pazienti?
Parlando con una collega affetta da questa sindrome (rara ma non troppo), abbiamo discusso dei farmaci che sono tradizionalmente controindicati in questi pazienti, tra cui due farmaci che utilizziamo spesso per la sedazione procedurale in pronto soccorso.
Ketamina e propofol.
Se sulla ketamina non nutro dubbi (in fin dei conti aumenta la frequenza cardiaca), sul propofol le perplessità sono innumerevoli.
Ma il propofol è davvero controindicato nel paziente con sindrome di Brugada?
In effetti così risulta, ma è bene approfondire la questione.
Da dove nasce questo problema? Da alcune segnalazioni di eventi aritmici ventricolari in pazienti con sindrome di Brugada. Pazienti del tutto particolari: in terapia intensiva, con numerosi farmaci in corso, e con sindrome da infusione continua di propofol, con dosi infusionali oltre 6 mg/kg/h.
Davvero il propofol in bolo, in somministrazione isolata, a dosaggi utilizzati in sedazione procedurale (1 mg/kg) può essere pericoloso nel paziente con sindrome di Brugada?
I dubbi sono sempre più forti, vedendo il tipo di paziente in cui si sono verificate le aritmie segnalate in letteratura.
Ma siccome con i dubbi non si va molto lontano, dobbiamo cercare di verificare la nostra ipotesi e guardare in letteratura. In questo bel lavoro, che vede tra gli autori lo stesso Josep Brugada, vengono analizzati gli effetti elettrocardiografici ed elettrofiosologici di dosi anestesiologiche di propofol (2.1 mg/kg come dosaggio medio): l’ECG valutato prima del bolo, subito dopo il bolo e ogni venti minuti ha evidenziato non solo l’assenza di eventi aritmici ventricolari, o di peggioramento elettrocardiografico e clinico, ma addirittura la scomparsa delle manifestazioni ECG tipiche nella quasi totalità dei pazienti, senza modificare il QT o altri parametri elettrocardiografici. La parte interessante dello studio è stata la valutazione elettrofiosologica. Il propofol riduce il substrato aritmogeno epicardico, che si osserva nel paziente con sindrome di Brugada, esercitando quindi un effetto protettivo.
Ecco, proprio l’opposto di quanto sostenuto in molti anni.
Chi è che ha detto che la frase più pericolosa è “abbiamo sempre fatto così?”
Certo, un solo studio, per quanto elegante e ottimamente concepito ed eseguito, non può fare evidenza, ma l’inserimento del propofol tra i farmaci pericolosi in questi pazienti si appoggiava su evidenze ancora più deboli.
La letteratura ci dice altro: uno studio retrospettivo su 429 pazienti, esteso a ben 25 anni di osservazioni, ha evidenziato come nessuno dei pazienti con Brugada, trattati con propofol avesse sviluppato aritmie o altri eventi pericolosi.
E gli autori evidenziano come una discreta percentuale di questi pazienti avessero già effettuato interventi chirurgici, anestesie generali e sedazioni procedurali con propofol prima della diagnosi di Brugada, senza aver mai sviluppato nessuna manifestazione patologica.
Quanti sono i pazienti con sindrome di Brugada non ancora diagnosticata che effettuano procedure con somministrazione di propofol ogni anno?
E qual è una possibile spiegazione del rischio ipotizzato per molti anni?
nessuna, a dire il vero: Pires, in uno studio elettrofiosologico sui maiali, nel 1996 ha evidenziato che il propofol (agonista GABAergico) è in grado di bloccare i canali del sodio a livello cardiaco, causando bradicardia dose dipendente (che è un effetto ben noto ai clinici), senza esercitare effetti sul nodo atrioventricolare, sul tessuto di conduzione cardiaco in generale e sui ventricoli. E’ uno studio su un modello animale, e con cuore sano, quindi non direttamente applicabile al paziente con sindrome di Brugada:
tuttavia questo dato, se combinato ai dati descritti in precedenza, sembra dare la conferma della sicurezza del propofol nei pazienti con sindrome di Brugada.
Quindi, possiamo utilizzare con serenità il propofol in questi pazienti? La risposta non è semplice, e richiede alcune considerazioni di più ampia portata.
In condizioni di emergenza, sì, lo possiamo utilizzare forti delle evidenze che abbiamo portato.
In tutti gli altri casi, non è il propofol ad essere pericoloso, ma è il paziente con sindrome di Brugada ad avere dei rischi connessi alla propria condizione. E questi rischi che impongono una gestione il più possibile protetta.
Quindi la sedazione procedurale di questi pazienti deve essere considerata come una procedura ad alto rischio, e come tale deve essere gestita.
Ma almeno, l’utilizzo del propofol non ci aggiunge ulteriori preoccupazioni.
L’ “Abbiamo sempre fatto così”, frase dogmatica e statuaria, può essere superato solo con una attenta e scrupolosa dogmalisi.
E come scriveva Ludwig Feuerbach, “Il dogma è nient’altro che un esplicito divieto di pensare”.
Ringrazio Anita Giardina per lo spunto di questo post.