mercoledì 15 Gennaio 2025

Pseudomonas? Stappiamo una bottiglia d’aceto!

Il fascino della medicina tropicale

La medicina occidentale, col suo approccio standardizzato, ha indubbiamente reso i processi diagnostico-terapeutici più sicuri per la persona assistita. Ma la standardizzazione non andrebbe confusa con la ripetitività delle indagini diagnostiche eseguite senza il supporto di un processo di pensiero critico. Uno degli aspetti più affascinanti della medicina nei Paesi del Terzo Mondo è la possibilità di un parziale ritorno alle origini, una rinascita della superiorità dell’analisi clinica; la necessità del doversi basare sulla competenza professionale e non sui valori di laboratorio.

Conoscere la storia significa supportare l’innovazione

Sostengo il progresso tecnologico in ogni ambito della vita e anche in campo medico. Non si può negare il beneficio comportato da una maggiore rapidità di ricezione dei risultati dei test e una minore invasività nella diagnostica e nel trattamento.

La realtà professionale in cui ci muoviamo oggi è il risultato del costante sviluppo di metodi e materiali. Alcuni di questi sono oramai considerati storici, ma andrebbero conosciuti e approfonditi al fine di poter comprendere al meglio i processi e la modalità funzionale che costituiscono le fondamenta della nostra quotidianità professionale.

Dove mancano risorse economiche e materiali, è la nostra capacità di pensiero e ragionamento critico a fare la differenza per la sopravvivenza di un arto se non del paziente stesso.

Siamo in Africa

Immaginate di trovarvi in una nazione il cui sistema sanitario vanta l’infelice primato di trovarsi tra gli ultimi 10 Paesi su scala mondiale per livello di qualità medico-assistenziale fornita. Il materiale in uso viene ricevuto tramite container che viaggiano per lunghi giorni via terra e via mare, la cui spedizione viene programmata di anno in anno. I protocolli di trattamento antibiotico delle ferite dei tessuti molli si basano su un totale di 5 molecole utilizzate in associazione secondo livelli progressivi di contaminazione. Quando l’infezione non viene eradicata, si può solo ripartire dalla prima linea di trattamento. E non esistono laboratori di microbiologia.

Il nostro caso clinico

Il vostro paziente è un maschio, adulto, che ha fatto accesso a seguito di un trauma degli arti inferiori. Si trova in reparto da qualche settimana, in un ciclo di ripetuti ingressi in sala operatoria per eseguire medicazioni delle ferite, in attesa che il tessuto sia pronto per un SSG (split skin graft). Una mattina in sala operatoria, una volta rimosse bende e garze, l’ortopedico trova una ferita dall’odore offensivo e di colore verdastro.

La diagnosi è basata sulla presentazione clinica: contaminazione da Pseudomonas Aeruginosa.

E ora?

C’è poco da discutere, è necessario variare immediatamente approccio. Bisogna interrompere la proliferazione dello P. Aeruginosa che sta già causando un rilevante ritardo nella gestione del tessuto molle. Inoltre occorre contenere il rischio di infezioni incrociate, sia in reparto che nel resto dell’ospedale.

Vedo tornare il collega dal magazzino della cucina con una bottiglia di aceto.

E così scopro una soluzione di trattamento affascinante

Siamo di fronte a un’infezione dei tessuti molli da P. Aeruginosa. Il piano terapeutico viene ridefinito come segue. In termini farmacologici, si pianifica una combinazione per due diverse vie di somministrazione. Per via parenterale si passa alla penicillina (ahimè, in forma intramuscolare poiché è l’unica a disposizione). E al contempo, per via topica, si muta il piano di medicazione: verrà eseguita quotidinamente con garze imbevute di aceto. Mentre siamo in pausa, assieme all’ortopedico, rivediamo il calcolo per ottenere la concentrazione desiderata (3%) mettendo in soluzione aceto e salina.

La medicazione con aceto

Dalla mattina successiva si inizia ad eseguire irrigazione della ferita contaminata dallo P. Aeruginosa con salina; si prosegue con l’applicazione topica di garze imbevute di aceto 3% per 10 minuti; successiva irrigazione con salina e, infine, copertura con garze sterili. Quando possibile, si esegue un leggero debridement, sostenuto dal fatto che la contaminazione batterica è macroscopicamente superficiale. Di giorno in giorno posso apprezzare un miglioramento dello stato della ferita, fino a una totale eradicazione dello P. Aeruginosa in circa una settimana. E il letto della ferita è finalmente pronto per l’esecuzione dell’SSG.

Fortuna o evidence based medicine?

In un gioco d’equilibrio tra letteratura scientifica e storia della medicina, scopro che le prime indicazioni all’utilizzo dell’acido acetico per il trattamento delle ulcere risale a Ippocrate [1].
Indicazione trasmessa nel corso dei secoli fino a tempi più moderni; un articolo del 1916 dimostra che il trattamento di ulcere con acido acetico ad una concentrazione dell’1% ha la capacità di eradicare l’infezione da P. Aeruginosa in due settimane [2].
Eseguendo un salto temporale, giungiamo al 1968. Questa volta è la mano di Phillips I et al a dimostrare l’efficacia dell’uso dell’acido acetico su ferite infette da P. Aeruginosa [1].

La Tabella 1 riassume i risultati dello studio di Phillips I et al, in cui vennero posti a confronto il trattamento con acido acetico ad una concentrazione del 5% rispetto ad altri acidi (ipoclorito di sodio o clorexidina). Al fondo della tabella è evidenziata la media della colonizzazione batterica: è possibile notare come in soli sette giorni, la carica batterica tracci un andamento progressivamente in diminuzione nel gruppo dell’acido acetico. Diversamente, il gruppo di controllo non mostra alcuna riduzione della carica batterica al termine della settimana di trattamento [1].

Nel 1992 il tema della resistenza alla terapia antibiotica inizia a rivestire un ruolo centrale [3]. E proprio la criticità legata alla resistenza antibiotica ci porta ad una letteratura più recente.

Perchè lo Pseudomonas ci è così tanto nemico

Lo P. Aeruginosa è noto per la sua naturale resistenza a numerosi antibiotici.

Madhusudhan VL et al descrivono il meccanismo che si instaura nelle ulcere croniche. La formazione di un biofilm, ovvero di un sistema organizzato, impedisce l’eliminazione dell’infezione batterica. Il biofilm è una barriera fisica che ostacola la diffusione degli antibiotici, che in questo modo non possono attraversare il limite costituito dal biofilm stesso per raggiungere e combattere la colonia patogena [4].
Si stima che circa il 10% delle infezioni nosocomiali siano causate dallo P. Aeruginosa [4]. Considerata la difficoltà dell’eradicazione dell’infezione, ne segue che il miglior trattamento sia la prevenzione [5]. Per impedire la formazione del biofilm, numerosi autori suggeriscono l’impiego di antisettici a livello topico.

Antisettici, Pseudomonas e multi-drug resistance

L’agenzia americana del farmaco (FDA – Food and Drug Admininistration) categorizza gli antisettici topici come farmaci. Essi hanno un ampio spettro d’azione tra cui batteri, funghi, virus e protozoi.

Lo P. Aeruginosa è un batterio gram-negativo, di cui è oramai nota la resistenza agli antibiotici beta-lattamici, che includono un ampio numero di antibiotici derivati dalla penicillina.

Per multi-drug resistance (MDR) si fa riferimento alla resistenza del patogeno a due o più classi di antibiotici. Tra le cause che hanno supportato lo sviluppo della multi-drug resistance vanno considerate la pratica dell’auto-medicazione, la mancanza di diagnostica di laboratorio e la mancata disponibilità di linee-guida per la selezione della corretta terapia antibiotica [6].

E se la ferita non guarisce?

Per quanto una contaminazione batterica sia fisiologica, quando essa cresce al punto di causare un’infezione, si instaura un meccanismo che impedisce la guarigione della ferita, mutando il processo in cronico e, conseguentemente, esponendo il paziente a ulteriori rischi.

Il principio per cui si è proseguito a studiare l’effetto dell’acido acetico sulle ulcere contaminate dallo P. Aeruginosa è in parte legato al pH [7]. L’ambiente alcalino è riconosciuto come favorevole alla crescita batterica; se ne deduce che l’applicazione topica di agenti acidi possa inibire l’instaurazione e/o lo sviluppo di colonie.

L’obiettivo della letteratura più recente

La letteratura scientifica propone numerosi studi, sia in vitro che in vivo, eseguiti nell’ultimo decennio.
È stata analizzata l’applicazione di acido acetico a differenti concentrazioni; si parte da concentrazioni allo 0.5% fino al 5%.

Bisogna considerare che l’obiettivo è quello di individuare la concentrazione ideale per mezzo della quale sia possibile supportare l’eradicazione della contaminazione batterica da P. Aeruginosa e al contempo non ostacolare il processo fisiologico di rigenerazione tissutale.

Ma l’aceto è citotossico?

Degne di nota sono le parole di Nagoba BS et al che evidenziano come alcuni studi in vitro indicano che l’acido acetico abbia effetto tossico per i fibroblasti. Tali risultati, però, non vengono considerati definitivi. Sui campioni in vivo, infatti, l’acido acetico risulta ben tollerato e fornisce buoni risultati nel trattamento di ferite infette da P. Aeruginosa, concludendone che l’acido acetico è da considerarsi un agente topico efficace [8].

La statistica non mente!

La Tabella 2 mostra l’inibizione di alcuni patogeni trattati con differenti acidi, secondo concentrazioni e tempo progressivi [9]. Lo P. Aeruginosa viene eradicato anche dalle minime concentrazioni di acido acetico (0.5%) e per intervalli di tempo più ridotti (30 minuti). Al contrario, l’acido borico non mostra alcuna efficacia.

Nel Grafico 1 gli autori confrontano l’utilizzo dell’acido acetico ad una concentrazione dell’1% rispetto alla salina. Il grafico mostra come il tempo di eliminazione dello P. Aeruginosa dalle ferite sia di 4.5 giorni nel gruppo dell’acido acetico. Da evidenziare che il ridotto tempo di eradicazione dell’infezione batterica vale sia per organismi sensibili (sensitive) che per quelli multi-resistenti (MDR). [4].

Sempre discutendo in termini di tempo, il Grafico 2 mostra l’indubbio beneficio nell’utilizzo dell’acido acetico (1%) rispetto alla salina. Il tempo medio di trattamento in caso di acido acetico 1% è di 5.5 giorni, contro 12.25 giorni nel gruppo di controllo, risultato statisticamente significativo (p < 0.001) [4].

Quali benefici?

Un altro recente studio degno di menzione è stato condotto in India su un campione di 100 pazienti. Gli autori supportano l’uso di acido acetico all’1% in quanto dimostratosi sufficiente per interrompere la crescita della maggior parte di batteri e funghi. Ricordano che per concentrazioni più alte la letteratura riporta reazioni quali sensazione di bruciore e irritazione cutanea. La maggior parte delle ulcere ha sviluppato miglioramento clinico in 7-14 giorni di trattamento [7].

L’acido acetico è un prodotto facilmente reperibile e di basso costo. Inoltre, come dimostrato dalla sperimentazione in vivo, tale agente non svolge azione citotossica. In conclusione, gli autori ne raccomandano l’utilizzo [7].

Riassumendo

Il vecchio non è obsoleto. Bisogna stimolarsi costantemente per non cadere in un oblio professionale fatto di protocolli e numeri, dimenticando che la medicina nasce dall’osservazione, dal tatto e dall’ascolto. Un buon professionista fa uso di tutti i sensi e la diagnostica di laboratorio e l’imaging devono svolgere un ruolo di supporto al fine di giungere a una conferma diagnostica, non rappresentare l’input per mezzo del quale indirizzare il proprio sospetto diagnostico.

Per concludere

È necessario sapersi inserire nel contesto in cui si lavora, osservando e comprendendo in quale maniera penetrarlo ed entrare a farne parte con efficacia. Bisogna imparare a modellare le proprie azioni, a far uso della propria conoscenza occidentale al fine da poter garantire la più alta qualità di assistenza medica in relazione alle risorse a disposizione.

La resistenza antibiotica è una delle guerre moderne che affrontiamo da anni, spesso invisibile.

Ed il controllo di questo fenomeno è ancora di più arduo in Paesi del Terzo Mondo dove il livello di istruzione è limitato e nelle farmacie è possibile comprare qualsiasi prodotto. Inoltre, nei Paesi in via di sviluppo la disponibilità di molecole e medicamenti di ultima generazione è scarsa, anche a causa dei costi elevati imposti dal settore farmaceutico. Certi prodotti non sono disponobili nemmeno per le mani dei più esperti.

Si lavora con quanto è di più semplice reperibilità, auspicando di trasmettere ai professionisti nazionali una cultura dell’uso razionale e controllato.

La scienza non è stregoneria

Gli “stregoni” praticano medicina tradizionale sfruttando erbe e piante. Vengono applicate a livello topico su fratture aperte, oppure per via enterale come infusi, ignorandone le implicazioni a livello biologico.
Non bisogna eseguire un’approssimazione per cui l’utilizzo di un agente di semplice reperibilità e di basso costo come l’aceto significhi far riferimento a metodi non scientifici. Anche la letteratura più recente ha dimostrato l’efficacia dell’impiego dell’acido acetico come antisettico topico, sia in vitro che in vivo.

La letteratura scientifica conferma che l’uso dell’acido acetico ad una concentrazione dell’1-3% è efficace per eradicare infezioni batteriche causate da P. Aeruginosa. L’acido acetico svolge un’azione battericida e al contempo non citotossica, riducendo anche i tempi totali di trattamento in preparazione del letto della ferita per eventuali chirurgie ricostruttive.

Sitografia

[1] Phillips I, Lobo AZ, Fernandes R, Gundara NS. Acetic acid in the treatment of superficial wounds infected by Pseudomonas aeruginosa. Lancet. 1968 Jan 6;1(7532):11-4. doi: 10.1016/s0140-6736(68)90004-4. PMID: 4170432.

[2] Taylor K. Treatment of Bacilluspyocyaneus infection.JAMA 1916; 67: 1598-99.

[3] Milner SM. Acetic acid to treat Pseudomonas aeruginosa in superficial wounds and burns. Lancet. 1992 Jul 4;340(8810):61. doi: 10.1016/0140-6736(92)92483-v. PMID: 1351645.

[4] Madhusudhan VL. Efficacy of 1% acetic acid in the treatment of chronic wounds infected with Pseudomonas aeruginosa: prospective randomised controlled clinical trial. Int Wound J. 2016 Dec;13(6):1129-1136. doi: 10.1111/iwj.12428. Epub 2015 Apr 8. PMID: 25851059.

[5] Kerr KG, Snelling AM. Pseudomonas aeruginosa: a formidable and ever-present adversary. J Hosp Infect. 2009 Dec;73(4):338-44. doi: 10.1016/j.jhin.2009.04.020. Epub 2009 Aug 21. PMID: 19699552.

[6] Mama M, Abdissa A, Sewunet T. Antimicrobial susceptibility pattern of bacterial isolates from wound infection and their sensitivity to alternative topical agents at Jimma University Specialized Hospital, South-West Ethiopia. Ann Clin Microbiol Antimicrob. 2014 Apr 14;13:14. doi: 10.1186/1476-0711-13-14. PMID: 24731394; PMCID: PMC4017222.

[7] Agrawal KS, Sarda AV, Shrotriya R, Bachhav M, Puri V, Nataraj G. Acetic acid dressings: Finding the Holy Grail for infected wound management. Indian J Plast Surg. 2017 Sep-Dec;50(3):273-280. doi: 10.4103/ijps.IJPS_245_16. PMID: 29618862; PMCID: PMC5868106.

[8] Nagoba BS, Selkar SP, Wadher BJ, Gandhi RC. Acetic acid treatment of pseudomonal wound infections–a review. J Infect Public Health. 2013 Dec;6(6):410-5. doi: 10.1016/j.jiph.2013.05.005. Epub 2013 Jul 30. PMID: 23999348.

[9] Kumara DU, Fernando SS, Kottahachchi J, Dissanayake DM, Athukorala GI, Chandrasiri NS, Damayanthi KW, Hemarathne MH, Pathirana AA. Evaluation of bactericidal effect of three antiseptics on bacteria isolated from wounds. J Wound Care. 2015 Jan;24(1):5-10. doi: 10.12968/jowc.2015.24.1.5. PMID: 25543818.

Letture consigliate

Sloss JM, Cumberland N, Milner SM. Acetic acid used for the elimination of Pseudomonas aeruginosa from burn and soft tissue wounds. J R Army Med Corps. 1993 Jun;139(2):49-51. doi: 10.1136/jramc-139-02-04. PMID: 8355236.

Ryssel H, Kloeters O, Germann G, Schäfer T, Wiedemann G, Oehlbauer M. The antimicrobial effect of acetic acid–an alternative to common local antiseptics? Burns. 2009 Aug;35(5):695-700. doi: 10.1016/j.burns.2008.11.009. Epub 2009 Mar 16. PMID: 19286325.

Kumar SH, De AS, Baveja SM, Gore MA. Prevalence and risk factors of Metallo β-lactamase producing Pseudomonas aeruginosa and Acinetobacter species in burns and surgical wards in a tertiary care hospital. J Lab Physicians. 2012 Jan;4(1):39-42. doi: 10.4103/0974-2727.98670. PMID: 22923921; PMCID: PMC3425263.

Hajská M, Slobodníková L, Hupková H, Koller J. In vitro efficacy of various topical antimicrobial agents in different time periods from contamination to application against 6 multidrug-resistant bacterial strains isolated from burn patients. Burns. 2014 Jun;40(4):713-8. doi: 10.1016/j.burns.2013.09.003. Epub 2013 Oct 3. PMID: 24091332.

Bushell FML, Tonner PD, Jabbari S, Schmid AK, Lund PA. Synergistic Impacts of Organic Acids and pH on Growth of Pseudomonas aeruginosa: A Comparison of Parametric and Bayesian Non-parametric Methods to Model Growth. Front Microbiol. 2019 Jan 8;9:3196. doi: 10.3389/fmicb.2018.03196. PMID: 30671033; PMCID: PMC6331447.

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Francesca Fulco
Francesca Fulco
Infermiera d'Emergenza A&E Lister Hospital (UK). Master in accessi venosi centrali: impianto e gestione. Interessata all'emergenza intra ed extra ospedaliera, al paziente grande ustionato, alla medicina iperbarica e alla gestione maxiemergenze. Esperienza diretta in Medicina Tropicale. Backpacker, amante di ogni forma di bellezza. Francesca Fulco

4 Commenti

  1. Bellissimo articolo! l’avessi letto prima! ho combattuto per mesi e mesi una infezione da Pseudomonas che ha quasi distrutto le dita del piede di un mio paziente… vi manderei le foto, se fosse possibile, per far vedere che gradi di lesioni può provocare …
    Dato che in Africa probabilmente non vi è l’ acido acetico puro, usate il comune aceto da cucina?? con che diluizione? l’etichetta della confezione che ho in casa non riporta la quantità di acido acetico presente… spero di non farvi sorridere ma davvero la cosa mi interessa.
    Grazie per la risposta. Anna Rosa Marchetti MMG Villa Bartolomea VR

    • Ciao Anna Rosa, ti ringrazio per il commento.

      Mi spiace per il tuo paziente di essere arrivata solo ora con questo articolo; posso solo sperare che il suggerimento sull’impiego dell’acido acetico resti in caso di futura necessità.

      Parlo di acido acetico in termini strettamente scientifici, ma quello che si fa è letteralmente diluire del comune aceto da cucina (aceto bianco non alimentare: da brava italiana credevo che l’aceto avesse origine esclusivamente alimentare) con salina.
      Come specificavo nell’articolo, si deve prestare attenzione alla concentrazione desiderata (consiglierei 3% che non dovrebbe comportare reazioni sul paziente e al tempo stesso garantirebbe una buona attività battericida) e perciò calcolare i corretti volumi di diluizione (dipendono dal volume – espresso in Litri [L] – e dalla concentrazione dell’aceto – espressa in % – a disposizione, riportati sull’etichetta). Purtroppo non ho trovato dati sulla stabilità chimica della soluzione aceto/salina, noi lo teniamo in reparto anche per una settimana a temperature grossolanamente < 30'C. Ma su questo, non posso garantire alcuna scientificità.

  2. Post veramente interessante ed utile. Ho però qualche dubbio su come impiegare l’aceto. In genere la concentrazione di acido acetico nell’aceto è del 3-5%. Ponendo che sia al 3%, posso utilizzare l’aceto puro o devo comunque diluirlo con fisiologica realizzando una soluzione di aceto/fisiologica salina al 3% (ex 3ml di aceto + 97ml di salina)?.

  3. Ciao Vittorio, grazie per il tuo commento.

    Basandomi sulla mia esperienza personale e su quanto ho colto dalla letteratura, l’indicazione è di raggiungere una concentrazione di acido acetico dell’1-3% (ricordo che per concentrazione > 5% sono stati riportati effetti collaterali dai pazienti, tra cui bruciore e irritazione cutanea).

    In senso più pratico: prendendo una bottiglia di comune aceto bianco da cucina (di origine non organica), sull’etichetta è possibile individuare la concentrazione in fase di imbottigliamento.
    La diluizione in salina si rende necessaria nel caso la concentrazione sia > 3%. L’aceto che mi sono trovata a maneggiare era imbottigliato a concentrazioni maggiori, di conseguenza era necessario diluirlo in salina.

    Direi che l’ideale è di maneggiarlo come un qualsiasi altro farmaco, perciò controllandone l’aspetto, la data di scadenza, il volume e la concentrazione (impostando l’equazione secondo necessità di utilizzo). Infine, prestare attenzione alla conservazione, possibilmente a temperature stabili (evitando ampie escursioni termiche) e evitando la luce diretta del sole.

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