domenica 1 Ottobre 2023

Quando la cura è peggio del male…

Capita spesso di sentire frasi come la cura è peggio del male. In genere ci si riferisce  a cure particolarmente aggressive che, pur con intento curativo, hanno finito con fare più danno che beneficio.  Certo è diffcile pensare che questo male possa essere proprio il luogo di cura per antonomasia: l’ospedale.

Ho recentemente ascoltato al Congresso SIMEU di Napoli, Rodolfo Sbrojavacca la cui presentazione aveva proprio questo titolo.

Meglio senza dubbio  sarebbe stato ascoltare le sue parole, ma al momento purtroppo,  non ho pensato di registrarlo, così vi dovrete accontentare di una mia sintesi.

Qual è il posto più adatto per essere curati? Chi e quando ricoverare? Quali i costi per la comunità di un ricovero inappropriato e quali per il paziente?

Queste alcune delle domande poste, ma andiamo per ordine, seguendo il flusso delle diapositive

Non credo si possano avere dubbi, l’ospedale non è un luogo di pace e serenità come vorremmo che fosse e  il pronto soccorso, sebbene in qualche modo riabilitato dalla moderna diffusione mediatica di alcune serie TV forse ancora rimane la “fetida sentina dell’ospedale”, il posto dove tutte le sue contraddizoni vengono esaltate.

Penso che sia esperienza comune provare un certo senso di malessere disagio, quando finito il nostro lavoro, ci voltiamo a guardare il posto dove trascorriamo molta parte della nostra giornata

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Non vi è dubbio che non tutti vadano ricoverati e che il posto migliore per essere curati, quando possibile, sia proprio casa nostra. Ne deriva, come sappiamo bene, una grossa responsabilità per chi ha il compito di decidere gli accessi in ospedale

Così recitava L’ACEP nel 2013: Recognize those patients who will benefit from inpatient care, and do effectively implement outpatient care to those who don’t require inpatients resources.

E la Royal College pf Physicians aggiungeva nel 2007 the right person in the right place

Sappiamo tutti bene che la medicina difensiva, ancorché largamente praticata,  non fa né il bene del paziente né quelle del medico.

We should be aware that the decision to admit a patient is sometimes part of a defensive strategy and responds to a need for protecting the physician rather than the ill person” European Journal of Internal Medicine, (2015) 26;7: 476-477

Quando ricoveriamo un paziente spesso ci sentiamo in qualche modo liberati, riteniamo di avere risolto un problema, ma sappiamo che non sempre quella è la strategia migliore  e soprattutto è bene tenere a mente che noi siamo responsabili degli effetti che sul paziente avrà la nostra decisione, qualunque essa sia.

Any hospital admission implies an admission of another sort: an assumption of responsibility towards the patient in all stages, from acceptance to discharge”  European Journal of Internal Medicine, (2015) 26;7: 476-477

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Sempre di più stiamo cambiando atteggiamento riguardo al ricovero anche per patologie come l’embolia polmonare, per cui un tempo era assolutamente scontato che tutti pazienti che ne sono affetti dovessero essere ricoverati.

Nessun posto è come casa propria. There’s no place like home.

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Il sovraffollamento del pronto soccorso è un elemento critico per quanto riguarda l’ammissione o la dimissione dei pazienti dall’osopedale e questo vale anche per i pazienti che vi sono ricoverati per cui si corrono diversi rischi.

  • Inappropriatezza del ricovero
  • Inappropriatezza della degenza
  • sicurezza di un ricovero appropriato

Riguardo alla sicurezza del ricovero siamo proprio certi che l’ospedale sia un luogo sicuro? La letteratura scientifica sembrerebbe propriio dirci il contrario:

Patients who are admitted to hospital believe that they are entering a place of safety, where they, and their families and carers, have a right to believe that they will receive the best possible care.

They feel confident that, should their condition deteriorate, they are in the best place for prompt and effective treatment. Yet there is evidence to the contrary.  NICE 2007   Acutely ill patients in hospital

Innanzitutto non possiamo certo sostenere che l’aria dell’ospedale sia salubre come recentemente evidenziato in uno studio su  AM J Infect Control 2016 dal titolo Hospital air: A potential route for transmission of infections caused by β-lactam-resistant bacteria in cui sono stati ritrovati Acinetobacter e Stafilococchi, due potenziali agenti patogeni di temibili infezioni nosocomiali resistenti alle betalattamasi (BLRB).

I rischi dell’ospedalizzazione soprattutto nelle persone anziane sono note da anni e già ben riassunte in questio lavoro di Creditor su Ann Intern Med nel 1993 

rischi allettamento e ospedalizzazione

La perdita dei propri riferimenti, la spersonalizzazione, la perdita di forza e tono muscolare, l’incontinenza, la malnutrizione, il delirio e ovviamente le infezioni sono tutti “effetti collaterali” ben noti.

Il paziente infatti con l’ospedalizzazione

  • viene rimosso dal proprio ambiente e da tutti i suoi riferimenti
  • viene visitato e assitito spesso da personale ogni giorno diverso, cosa che crea confusione e disorientamento
  • perde le proprie abitudini ( i pasti,  ad esempio, vengono serviti ad ore che sono funzionali più alle altre attività del personale di assistenza che  non alle sue abitudini )
  • viene immobilizzato in un letto e nutrito con un alimentazione non adeguata
  • non dorme durante la notte a causa dei vicini di letto o di sveglie per i prelievi del mattino o di altre attività come la pulizia delle stanze
  • il disorientamento e la deprivazione di sonno causano delirio, che spesso richiama una terapia sedativa che non può che aggravarne le condizioni generali, lo stato di nutrizione, con rischio inoltre di un errato inquadramento diagnostico (false label)

Qualcuno ha opinioni in merito ancora più severe arrivando a sostenere che il ricovero ospedaliero di per se rapprenta una malattia da cui non è semplice venir fuori BMJ 2013 ed il ricovero ospedaliero una condizione acquisita e transitoria di rischio generalizzato per la salute la Post-hospital syndrome .

Le condizioni cliniche con cui vengono dimessi i pazienti, in altre parole il loro stato funzionale, sono un importante determinante per la loro riammissione in ospedale J Hosp Med 2014 

Ridurre questo declino funzionale durante il ricovero può essere quindi una buona strategia per ridurre le riammissioni in ospedale.

Il declino delle performance dei pazienti durante il ricovero ospedaliero è un dato di fatto.

L’allettamento in giovani individui è causa di una perdita della forza muscolare  quotiodiana pari a 1%-1.5%.

Queste percentuali aumentano drammatticamente quando i pazienti sono soggetti avanti con l’età.  J Am Geriatr 2015

La scarsa mobilizzazione dei pazienti anziani durante il ricovero in ospedale rappresenta una vera epidemia spesso misconosciuta e sottostimata J Am Geriatr Soc 2009

Strettamente connesso a questo problema la difficolta di garantire un tempo adeguato per l’assistenza infermieristica.

Si stima infatti, secondo uno studio italiano, che nei reparti di medicina interna ogni infermiera deve dedicare le proprie cure a:

  • 5-13 pazienti durante il turno del mattino
  • 7,6-14,6 nel pomeriggio
  • 12,3-30,5 la notte

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Conosciamo bene l’attuale carenza di risorse e di personale dettato da questo periodo di crisi economica, ma di fronte a una tale situazione possiamo lavarcene le mani? Certo che no, anche se , sappiamo bene, che invece dovremmo farlo di più quando visitiamo i pazienti!

 

 

 

Dovremmo infatti sempre ricordarci dei Fundamental Standard of Care secondo i quali il paziente deve:

  • essere trattato con gentilezza, dignità e rispetto, rispettando privacy e riservatezza
  • ricevere conforto fisico che include un adeguato trattamento del dolore
  • ricevere cibo e nutrizione adeguati, compreso un aiuto appropriato per le attività quotidiane della vita
  • essere in un ambiente pulito e confortevole
  • ricevere supporto emotivo, atto ad alleviare paura e ansia riguardo a alle condizioni cliniche e alla prognosi e all’impatto della malattia su se stesso e sulla la sua famiglia

Future Hospital: Caring for medical patients

Certo una cosa è vera: l’ospedale deve cambiare, ma non può cambiare solo l’ospedale!

Non si può infatti continuare a cercare soluzioni organizzative a problemi culturali. E’ necessario un cambio di mentalità.

Con questo scopo è nata la”Carta di San Martino” Reducing the risk of hospital admission: A call to action from the Italian Society of Internal Medicine

Although there is no evidence that increasing territorial health services reduces hospital admissions or duration of hospital stays [link], we must commit ourselves to build alternatives to hospital admission that allow patients to be treated as long as possible at home, where the risk of iatrogenic complications is lower and the personalisation of care choices easier

e ancora

Given its mission, Internal Medicine must promote a new conception of hospital admission and educate physicians not to be oppressed by a defensive medicine or slaves to diagnostic and therapeutic compulsions. They should be inclined, instead, to what is important for patients as individuals: the first and most effective treatment for patients is the attention that physicians and health care workers will be able to pay to his or her needs.

Direi che in queste frasi c’è tutto. La strada è lunga e il lavoro da fare molto per cercare di cambiare la nostra e l’altrui mentalità, cercando di dare una nuova, più moderna e umana prospettiva all’ospedale ed alla cura dei nostri pazienti in generale.

Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

4 Commenti

  1. Bellissimo post!! Complimenti!! Alcune osservazioni. Non pensi che in P.S. arrivino molto spesso:1) anziani poveri 2) pazienti con un contesto familiare disinteressato e senza un caregiver 3) anziani dalle solite case di riposo con un’assistenza non eccelsa? Di fronte all’impoverimento ed alla disintegrazione delle strutture famigliari i ricoveri molto spesso diventano inevitabilmente sociali anche se giustificabili da motivazioni cliniche. E quindi di fronte a ricoveri “potenzialmente evitabili” ci si arrende forse a discapito del paziente. I DEA ed i reparti di degenza diventano ammortizzatori sociali non assolvendo in pieno alla loro missione di salute.

    • Giuseppe,
      sono pienamenete d’accordo. Il ricovero di chi non può essere curato in altro luogo è non solo obbligato, ma necessario e risponde alle mission di asilo e accogleinza dell’ ospedale
      Certo bisogna lavorare per trovare soluzioni alternative al ricovero. Per dirla tutta non è detto che un paziente che vive in casa di riposo, non possa essere curato meglio li in molte occasioni. Per questo tutti noi, penso, dobbiamo non solo trovare le risorse necessarie perchè questo possa avvenire, ma cambiare mentalità.

  2. Carlo davvero complimenti per questo splendido post. Purtroppo nella confusione della SIMEU non ero riuscito a seguire la lezione di Rodolfo.
    Una provocazione, secondo te i tempi in cui verranno chiesti risarcimenti per ricoveri ospedalieri senza chiara indicazione sono arrivati?

    • Ciao Mauro,
      Grazie dei complimenti, ovviamente il merito è tutto di Rodolfo Sbrojavacca.
      Riguardo alla tua provocazione, non credo sia facile definire un eventuale risarcimento. Mi accontenterei, per iniziare, che l’idea che il ricovero sia la l’unica soluzione ai problemi di salute della maggior parte dei pazienti che afferiscono in pronto soccorso, cominciasse a vacillare nella mente nostra, dei nostri amministratori e soprattutto delle persone.

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