Pur sapendo che non ci sono dati certi riguardo alla durata ottimale della terapia antibiotica in pazienti affetti da batteriemia, l’idea di somministrare loro l’antibiotico per pochi giorni lascia i più di noi quantomeno perplessi. Un tentativo di dirimere questi dubbi viene da una revisione sistematica e metanalisi recentemente pubblicata su Critical Care.
Vediamo che cosa dice.
Sono stati esaminati, attraverso i principali database, studi controllati e randomizzati in un periodo che andava dal 1947 al 2010.
La ricerca è stata condotta cercando di identificare studi riguardanti batteriemie correlate all’uso di accessi venosi, infezioni dei tessuti molli cutanei, infezioni intra-addominali, polmoniti e pielonefriti. Sono stati complessivamente considerati eligibili 24 studi randomizzati di cui 13 per la polmonite, 6 per la pielonefrite, 3 per le infezioni intraddominali. Nessuno studio è stato identificato per le infezioni correlate all’uso di cateteri venosi.
Che la prevalenza delle infezioni batteriemiche fosse elevata in terapia intensiva è un dato noto; certo fa un po’ pensare il fatto che può interessare sino al 15% dei pazienti, come pubblicato su uno studio di coorte nel 2009 su JAMA. E’ assodato inoltre che questo possa comportare un aumento della mortalità , talora sino a tre volte. Non è una scoperta poi, che sia nei reparti di degenza ordinaria che nelle terapie intensive, e aggiungerei, in pronto soccorso, venga spesso fatto un uso non proprio appropriato degli antibiotici.
Indicazioni precise riguardo alla durata della terapia non è espresso chiaramente dalle linee guida, almeno per quanto riguarda le infezioni intraddominali complicate come pubblicato su Clinical Infectious Diseases 2010
L’idea di questa revisione nasce proprio da qui: cercare di vedere se un uso meno prolungato della terapia antibiotica potesse avere un beneficio non solo economico ma anche clinico.
Sono state messe a confronto una durata breve (5-7 giorni) ed una lunga (7-21 giorni).
Quali sono stati i risultati? Non vi sono state differenze significative tra i due tipi di durata di trattamento per quanto riguarda la guarigione clinica, quella microbiologica e la sopravvivenza.
Allora tutto risolto? Da domani dovremo usare antibiotici solo per 5-7 giorni?
Le conclusioni degli autori sono molto prudenti, pur enfatizzando la sostanziale equivalenza dei due schemi terapeutici rispetto agli outcomes considerati, rimandano una soluzione definitiva della questione ad appropriati studi successivi.
Alcune considerazioni personali:
non credo che questa revisione cambierà la nostra pratica clinica, certo però che deve ancora una volta farci riflettere sul fatto che quello che facciamo in pronto soccorso, e mi riferisco soprattutto alle procedure, può avere ripercussioni gravi anche parecchio tempo dopo, quando il paziente oramai si trova nei reparti di degenza ordinaria o in terapia intensiva.
Meditate gente, meditate…
Terapia atb: quanto se ne sa?
La batteriemia, di per sé è una situazione facilmente gestibile: germe identificato, ABG disponibile,verosimile rapida proliferazione…Tutti fattori che permettono di colpier adeguatamente e velocemente (“hit hard, hit soon”)…7 giorni potrebbero essere sufficienti.
Ma…ma…ma…
Da dove proviene la batteriemia?
Device? “Santuari”? Altro?
Com’è il paziente?
Immunocompetente? Diabetico? Anziano?
Come sono le MIC in relazione ai Breakpoints EUCAST?
E’ un ESBL-Produttore?
Gli atb impiegati sono batteriostatici o batteriocidi?
La terapia atb è una scienza particolare…
Ogni paziente è diverso.
Le matanalisi non possono essere esaustive.
Il post di Carlo è bellissimo, però: soprattutto nella sua conclusione: “Meditate, gente, meditate”…e chiedete audit infettivologici… 🙂 Se non vi sentite offesi da uno che parla da uno scranno… :-))))