In medicina, lo ripeto spesso a me stesso e agli altri, non ci sono molte certezze. Non sono infrequenti infatti le situazioni in cui le nostre decisioni sono supportate più dal buon senso che da evidenze scientifiche. Non che questo sia un male, anzi, ma questo senso di indeterminatezza ci innervosisce un po’ e disorienta i nostri pazienti. Tra i molti esempi che si potrebbero fare, uno fra tutti credo possa essere paradigmatico: la gestione della terapia anticoagulante in un paziente vittima di un recente sanguinamento gastrointestinale.Vediamo se c’è qualcosa di nuovo.
Cosa fare o consigliare a un paziente che ha appena superato un episodio di emorragia digestiva causato dal warfarin? E’ prudente riassumere la terapia anticoagulante? E se si, dopo quanto tempo? E’ stato recentemente pubblicato on line su Archives of Internal Medicine uno studio retrospettivo dal titolo: Risk of Thromboembolism, Recurrent Hemorrhage, and Death After Warfarin Therapy Interruption for Gastrointestinal Tract Bleeding che ha cercato di rispondere a queste domande.
Lo studio
Circa il 4,5% dei pazienti che assumono il warfarin va incontro annualmente ad un sanguinamento gastrointestinale con un significativo aumento sia del rischio di mortalità sia di nuovi episodi di sanguinamento. D’altro canto l’interruzione transitoria o permanente del trattamento anticoagulante è associata ad un aumento di eventi tromboembolici.. Allo stato attuale delle conoscenze non vi sono indicazioni certe in letteratura su come comportarsi in queste situazioni e questo ha rappresentato il presupposto per questo studio.
Nel periodo compreso tra gennaio 2005 e dicembre 2008 sono stati esaminati presso il database sia amministrativo che clinico del Kaiser Permanente Colorado’s Clinical Pharmacy Anticoagulation Service dati relativi a pazienti presentatisi in pronto soccorso a causa di un sanguinamento gastrointestinale indotto dal warfarin
Sono stati così identificati 442 pazienti e categorizzati in due popolazioni: quelli che avevano interrotto il trattamento e quelli che l’avevano ripreso. Il follow up esteso a 90 giorni dall’episodio di sanguinamento. Gli autori hanno poi classificato la durata dell’ l’interruzione del trattamento anticoagulante in 4 gruppi: 0 giorni, 1-7 giorni. 8-14 giorni, 15-90 giorni.
Obiettivo
Determinare l’incidenza di trombosi, sanguinamento gastrointestinale e morte nei due gruppi e la loro frequenza nei diversi periodi di interruzione considerati.durante il follow up di 90 giorni.
Risultati
Di 442 pazienti analizzati nello studio 260 (58,8%) ripresero il trattamento anticoagulante.
La ripresa della terapia anticoagulante fu associata ad un minor rischio di trombosi (hazard ratio [HR], 0.05; 95% CI, 0.01-0.58) e morte (HR, 0.31; 95% CI, 0.15-0.62) senza un significativo incremento di recidiva di sanguinamento gastroenterico (HR, 1.32; 95% CI, 0.50-3.57).
Conclusioni
Gli autori concludono che la decisione di non riprendere la terapia anticoagulante nei 90 giorni successivi ad un sanguinamento gastroenterico correlato all’assunzione di warfarin è associata ad un maggior rischio di trombosi e di morte. Per molti pazienti che hanno avuto un’emorragia digestiva da warfarin il beneficio dato dalla ripresa del trattamento anticoagulante supera i rischi..
Interessanti sono le considerazioni dell’editoriale di commento: Resuming Anticoagulation in the First Week Following Gastrointestinal Tract Hemorrhage: Should We Adopt a 4-Day Rule?
I dati della letteratura ci dicono che sia il sanguinamento nei pazienti che hanno ripreso il warfarin che la trombosi in quelli che l’hanno sospeso avvengono precocemente, nell’arco di 1 -3 mesi. Esisterebbe un razionale così a riprendere il trattamento anticoagulante il più precocemente possibile.
Guardando più da vicino i dati dello studio in questione troviamo che:
– la terapia anticoagulante è stata ripresa con una mediana di 4 giorni (range 2-9 giorni)
– circa metà dei pazienti assumevano anche aspirina
– i pazienti che hanno ripreso il warfarin erano più giovani e probabilmente con uno score di gravità di sanguinamento inferiore e una prevalenza di pazienti con protesi meccaniche maggiore, ma fatti i dovuti aggiustamenti statistici, utilizzando i cosiddetti propensity scores, i pazienti che hanno ripreso il trattamento avevano, rispetto all’altro gruppo una riduzione del rischio di morte di 3 volte e di trombosi di 10 volte con un solo modesto aumento del rischio di ri-sanguinamento (10% senza nessun sanguinamento fatale).
– Sia mortalità che trombosi si manifestavano nei primi 30 giorni
– La mortalità complessiva è stata del 12% (20%nei pazienti che non hanno ripreso la terapia contro il 6% degli altri) ma il maggior numero di morti non è stata conseguente ad eventi trombotici ma piuttosto ad una malattia neoplastica (29% dei casi) o a infezioni e cardiopatie.
Queste limitazioni, secondo il commentatore, non ridurrebbero l’importanza di quanto evidenziato in questo studio, e in particolare:
– medici e pazienti sono entrambi favorevoli a una ripresa del trattamento
– la ripresa della terapia avviene entro la prima settimana dal sanguinamento
– l’incidenza di ri-sanguinamento bassa e non pericolosa per la vita.
Riprendere il warfarin dopo 4 giorni dal sanguinamento avrebbe quindi un suo razionale ma, sebbene non approfondito nello studio, bisognerebbe avere estrema cautela nell’introdurre in terapia eventuali farmaci antiaggreganti a meno che strettamente necessario (ad esempio recente posizionamento di stent coronarici), ne è possibile estendere queste conclusioni ai cosiddetti nuovi anticoagulanti.
Alcune considerazioni personali
Dopo avere finito di leggere questi articoli ho tirato un bel respiro. Riprendere la terapia anticoagulante dopo solo quattro giorni di distanza da un’emorragia digestiva ci fa un po’ rabbrividire ma poi ho pensato che questo studio proprio perchè retrospettico si avvicina molto alla realtà di tutti i giorni dove, pur in assenza di regole precise, medico e paziente cercano la strada migliore per la cura. Buon senso e condivisione in questi casi penso rappresentino la migliore evidenza