mercoledì 4 Dicembre 2024

Questa paziente è da cardiovertire, anzi no

Alcune settimane fa è arrivata una paziente in pronto soccorso riferendo di avere notato, mentre si controllava automaticamente la pressione, che il cuore batteva in modo irregolare. Non aveva avuto alcuna sensazione di cardiopalmo, nè alcun altro sintomo di accompagnamento, e  l’ultima volta che aveva  rilevato la pressione tre giorni prima, il battito era del tutto regolare.

I parametri vitali erano stabili, unico dato anomalo una frequenza cardiaca elevata intorno a 110 bpm, peraltro totalmente inavvertita dalla paziente In linea generale, in una situazione simile, avremmo cercato di rallentare la frequenza, iniziato la terapia con EBPM e  warfarin e programmata la cardioversione elettrica dopo tre settimane di INR terapeutico.

La storia clinica della paziente e la recente insorgenza della fibrillazione atriale imponeva qualche riflessione.
A causa di una valvulopatia reumatica mitralica era sta sottoposta anni prima ad un  intervento di valvuloplastica  percutanea con buon esito a distanza. Alcuni mesi or sono inoltre, per angor da sforzo, era stata sottoposta ad una angioplastica con posizionamento di uno stent medicato nella coronaria destra. Da allora la paziente era ovviamente in terapia con clopidogrel e acido acetilsalicilico.
Il cardiologo chiamato in consulenza proprio per la recente insorgenza dell’aritmia, propose di iniziare il protocollo rapido di anticoagulazione e programmò un ecocardiogramma transesofageo per il giorno successivo.

Era infatti verosimile pensare che l’aritmia fosse iniziata da soli tre giorni. Così facemmo. Somministrato fondaparinux e warfarin e controllato il ritmo la paziente con del diltiazem dimettemmo la paziente con l’indicazione a ritornare il giorno seguente per eseguire l’esame.

Il giorno dopo, l’eco TEE non dimostra evidenza di trombi e la paziente si appresta ad essere cardiovertita.

La cardioversione però non può essere eseguita in cardiologia e quindi la paziente viene rinviata in DEA.
A questo punto il cardiologo di turno avanza qualche dubbio sul protocollo rapido di anticoaguilazione eseguito ed io con lui.
In fondo, gli studi  sul protocollo rapido di anticoagulazione sono stati fatti con eparina non frazionata ed enoxaparina (ACUTE II) e non con fondaparinux. Nell’ACUTE II l’anticoagulazione veniva ottenuta con 3-4 somministrazioni di enoxaparina nelle 24 ore. Questo modo di procedere si era dimostrato sicuro ed i dati sovrapponibili a quelli ottenuti con l’eparina non frazionata e inoltre con il vantaggio di una più breve degenza ospedaliera. Decidiamo così di procedere, ma il pronto soccorso, si sa, è un luogo caotico e quella mattina il traffico nell’area rossa è piuttosto intenso e la cardioversione viene rimandata al pomeriggio.
Cambia il turno ed anche il cardiologo, questa volta è di guardia un aritmologo che rivede tutta la situazione. – L’atrio è di 190 ml, è troppo grande; se la cardiovertiamo adesso, la paziente tornerà in fibrillazione nel giro di qualche giorno. E’ necessario pretrattarla per almeno 20 giorni con amiodarone per avere delle possibilità  che  rimanga in ritmo sinusale – dice, e tra lo stupore di tutti, medici e paziente,  ne consiglia la dimissione.
Sicuramente questo caso clinico presenta numerosi spunti di discussione. Vediamo quelli che secondo me sono quelli più importanti. Cominciamo dall’inizio:
– L’idea del protocollo rapido nasce anche dalla erronea convinzione di poter risparmiare alla paziente la triplice terapia antiaggregante- anticoagulante. Le linee guida ESC( European Society of Cardiology) del 2010 ci dicono però che anche al primo episodio in una paziente con fattori di rischio è indicata la terapia anticoagulante e il  CHA2DS2VASC score era di 2.

– Ci sono poi dei dati che consigliano l’utilizzo, nei pazienti in fibrillazione atriale nella fase acuta di una malattia coronarica, di posizionare  stent non medicati che richiedono solo 4 settimane di clopidogrel anzichè i 6 mesi -1 anno di quelli medicati con una significativa riduzione del rischio emorragico..Management of antithrombotic therapy in atrial fibrillation patients presenting with acute coronary syndrome and/or undergoing percutaneous coronary intervention/ stenting. Thrombosis and haemostasis 2010.

La paziente allora però non era in fibrillazione atriale, anche se la sua storia clinica e le dimensioni dell’atrio avrebbero dovuto far ritenere questo evento molto probabile.
– Infine se il trattamento con amiodarone prima della cardioversione possa più facilmente realizzare un mantenimento più duraturo del ritmo sinusale, penso sia un problema ancora aperto.
Come vedete un caso apparentemente semplice è finito con lasciarci più dubbi che certezze perché forse è facile conoscere le linee guida o le evidenze scientifiche, più difficile applicarle al singolo paziente.
Sull’argomento potete leggere anche: le attese che contano
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Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

8 Commenti

  1. Questo fatto non fa altro che ribadire quello che dico sempre ai miei Colleghi Urgentisti, e cioè che un Urgentista deve sapere (e sa) un po’ di tutto (e tutto di qualcosa, magari è appassionato/specializzato in ciguatera et similia, che so), ma che non deve pretendere di saperne quanto deve (DEVE!) saperne uno Specialista…addirittura gli Specialisti qualche volta non sono certi di quello che devono fare!!!! L’Urgentista deve stabilizzare, lo Specialista deve fare il resto, a “bocce ferme”…altrimenti…l’errore è sempre in agguato… :-)) Anche una apparentemente banale fibrillazione atriale può nascondere delle sorprese! :-))

  2. PG,
    avere preconcetti non è mai un bene rischia di farci interpretare male la realtà.
    Cosa c’entra il solito sproloquio sul ruolo ancillare che dovrebbe avere il medico d’urgenza?
    Quello che mi interessava sottolineare nel post di oggi è la complessità di alcune situazioni cliniche, difficili da inquadrare e gestire anche per gli esperti di settore. Come dicono gli anglosassoni relax, take it easy!

  3. Uno dei problemi del nostro lavoro è quello di lasciare ad altri pazienti cui noi abbiamo impostato un iter terapeutico. Il problema si complica quando l’iter prevede la collaborazione tra 2 o più colleghi. Non sempre si può e in questo caso era difficile, ma utilizzare protocolli condivisi avrebbe evitato tante modifiche della terapia.
    Il fondaparinux non era il farmaco più indicato, d’accordo, ma l’ecoTEE non evidenziava trombi e gli antiaritmici, cordarone compreso, sembrano essere efficaci nell’aumentare il successo della CVE… e la prevenzione delle recidive. Con il senno di poi tutti sono bravi: 24 ore di cordarone avrebbero forse convinto il secondo cardiologo .
    Un quesito provocatorio: perché questa paziente è tornata in Pronto Soccorso per una prestazione che non era più d’urgenza?
    Infine: un proficuo dialogo alla pari con i colleghi cardiologi, nel rispetto delle singole specificità e dei diversi punti di vista è essenziale per garantire standard di cure adeguate ai pazienti ed evitare loro inutili confusioni e perdite di tempo.

  4. Gianfrancesco,
    grazie del tuo commento.
    Le tue osservazioni sono giuste ma il seguire protocolli condivisi non ci esime da una certa libertà nell’applicarli motivando le nostre scelte.Come sai, con umiltà cerco sempre di esporre il mio punto di vista con gli specialisti con cui condivido la gestione dei pazienti e questo in genere è di aiuto ad entrambi.Secondo me in questo caso la discussione non verteva tanto sulla modalità di ottenere il risultato attraverso l’uso degli antiaritmici ma proprio sull’indicazione alla cardioversione. Infine la paziente è stata fatta tornare il giorno successivo perché a causa di problemi di personale la cardioversione non era eseguibile nel DH di cardiologia e la paziente non desiderava rimanere una notte in barella in pronto soccorso.Accesso improprio ma motivato da situazioni contingenti.

  5. Carlo, utile descrizione di un caso emblematico di come la gestione ” a staffetta” di un paziente, nel senso che uno specialista subentra a un altro con idee diverse, porti a complicare la gestione di un caso non banale, ma neppure così complesso. In questa situazione spesso ci rimette il paziente,che subisce per esempio un ecotransesofageo finalizzato a una cardioversione che poi non viene eseguita. Oltre il confine delle linee guida e dei protocolli si stende una zona di nebbia in cui lavoriamo quotidianamente. Nel caso in questione penso che l’utilizzo per 24 h del fondap fosse lecito estrapolando i dati Dell ‘enoxa (anche se non sono equivalenti); piú in generale penso che proprio per evitare questi problemi la gestione di un paziente andrebbe iniziata e conclusa dagli stessi medici. Lo so che nell’attuale organizzazione non è consentito, ma dovremmo comunque muoverci in tal senso ogni volta che è possibile!

  6. Penso che la fibrillazione atriale della paziente sia “valvolare ” ;può essere applicato il cha2ds2vasc score ? Un atrio così dilatato(dilatazione severa) offre poche opportunità di mantenimento del ritmo sinusale persino in terapia con amiodarone. Penso che un tentativo con sotalolo possa essere intrapreso. Il sotalolo nella cardiopatia ischemica si è dimostrato non inferiore all’amiodarone nel mantenimento del ritmo sinusale. Comunque se la paziente fosse anziana e vista l’asintomaticità della sua condizione applicherei una strategia rate control con triplice terapia antitrombotica ( warfarin clopidogrel e asa).
    Dopo cve il trattamento anticoagulante non va comunque intrapreso per 4 settimane visto lo stunning atriale?

    • Bino, grazie del tuo commento. Il CHAD2 DS2-vasc score da qualche tempo ci aiuta a scegliere a quali paziente proporre il trattamento antcoagulante e queste vale anche per i “valvolari” purché non siano portatori di protesi meccaniche dove la TAO è mandatoria.
      Di grande buon senso la tua osservazione riguardo alle dimensioni dell’atrio, anche se la tendenza attuale è comunque quella di fare un tentativo per fare sì che il paziente recuperi il ritmo originario, quello sinusale, al fine di evitare la cosiddetta tachicardiomiopatia.
      Il CHA2DS2 Vasc score ci guida anche per il primo episodio di fibrillazione atriale. se vi è indicazione alla TAO questa deve essere un’indicazione permanente a meno che non insorgano complicazioni maggiori.

  7. Grazie per l’esaustiva risposta e complimenti per il sito. Ho sempre applicato il cha2ds2vasc per stratificare il rischio embolico nell’FA e l’HASBLED per il rischio emorragico. Credo comunque che se anche la paziente avesse avuto uno score basso avrei considerato ragionevole una terapia con warfarin viste le dimensioni dell’atrio e la patologia valvolare reumatica ( previo consulto con un collega cardiologo). Nel tuo caso sarei comunque concorde nel tentare una CVE, ma di non mi accanirei se la FA dovesse ripresentarsi. Nella mia realtà dopo avere stabilizzato la frequenza cardiaca e impostato una triplice terapia antitrombotica, avrei demandato il MMG la gestione della TAO e poi avrei cardiovertito la paziente dopo 3 settimane, facendo decidere in un secondo momento al cardiologo l’opportunità della terapia antiaggregante a 1 anno dalla PTCA .Non ultimo, dato che lo studio AFFIRM non ha dismostrato alcuna superiorità tra la strategia rate control e quella del ripristino del ritmo sinusale, non mi preoccuperei quindi ,nel caso in cui la paziente permanga in FA, della tachicardiomiopatia purchè si raggiunga un controllo della frequenza accettabile ( magari eseguendo un holter ambulatoriale per eccesso di zelo). Al pari di te devo ammettere la mia affezione al ritmo sinusale.

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