Entrando in area semi-intensiva l’altra mattina rimango colpito dal fatto che in 3 delle 4 postazioni sono ricoverati pazienti molto anziani sottoposti a ventilazione meccanica non invasiva. Il collega che ha fatto la notte e mi sta dando le consegne previene la mia domanda”…due erano già qui da ieri sera, il terzo ha 92 anni è arrivato questa mattina ,una brutta insufficienza respiratoria, i parenti dicono che a sino a ieri a casa era completamente autonomo, con la terapia standard non migliorava …”
La vita media nei paesi occidentali è molto aumentata in questi ultimi decenni così è diventata prassi comune estendere trattamenti propri dell’età adulta anche a pazienti molto anziani, ma ci sono evidenze che questo comporti un reale beneficio per i pazienti? E soprattutto gli outcomes considerati abitualmente nella popolazione adulta valgono anche per i cosiddetti grandi anziani? Domande a cui non so dare risposte immediate, così sono andato a vedere un po’ di letteratura; vediamo cosa ho trovato.
Nel luglio 2011 è stato pubblicato su age and ageing dal gruppo di Nava, uno dei più grandi esperti di ventilazione non invasiva,, uno studio randomizzato dal titolo:Non-invasive ventilation in elderly patients with acute hypercapnic respiratory failure: a randomised controlled trial
In questo studio sono stati randomizzati 82 pazienti di età superiore a 75 anni ( età media 81,3 anni ± 3,5) con insufficienza respiratoria ipercapnica: un gruppo è stato trattato con terapia standard l’altro con ventilazione non invasiva. Obiettivo primario dello studio era valutare la quota di pazienti che avrebbero avuto necessità di essere sottoposti a ventilazione invasiva,obiettivi secondari la mortalità, e la differente frequenza nei due gruppi di parametri quali la dispnea, la frequenza respiratoria e l’emogasanalisi. Setting dello studio tre unita di terapia respiratoria. Quali sono stati i risultati? I pazienti sottoposti a NIV sono andati incontro ai criteri per l’intubazione meno che non quelli trattati con terapia standard e la mortalità è stata inferiore. Emogasanalisi, frequenza respiratoria e la dispnea sono migliorati più rapidamente che non con la terapia standard. Gli autori concludono che la NIV dovrebbe rappresentare un alternativa terapeutica da offrire ai pazienti che non sono candidati all’intubazione endotracheale
A conclusioni analoghe è giunto uno studio pubblicato su Annals of Intensive Care nel febbraio di quest’anno : Results of non iinvasive ventilation in very old patients. In questo lavoro sono stati studiati in modo prospettico per un periodo di 2 anni oltre 1000 pazienti ricoverati in terapia intensiva e trattati con ventilazione non invasiva, di questi il 16% avevano più di 80 anni. Alla fine dello studio gli autori concludevano che i pazienti anziani trattati con la NIV avevano ottenuto complessivamente 6 mesi di sopravvivenza considerata soddisfacente fatta eccezione in quelli dove la NIV aveva fallito ed erano cosi stati successivamente trattati con la ventilazione meccanica invasiva.
Va bene, abbiamo visto che se trattati in modo non invasivo i pazienti vivono più a lungo ma questo rappresenta un outcome valido in pazienti in cui l’aspettativa di vita al di fuori di eventi acuti non è certo molto lunga? E che dire della sofferenza che procuriamo loro quando applichiamo una maschera sul viso che spinge aria forzatamente nei loro polmoni in situazioni talvolta equiparabili a quelle del fine vita?
Forse una risposta ci viene da lavori in cui la ventilazione non invasiva è stata utilizzata proprio in questa categoria di pazienti e dove l’outcome non è stato ovviamente la mortalità ma la palliazione dei sintomi, in questo caso non il dolore ovviamente ma l’insufficienza respiratoria.
Anche in questi pazienti la NIV sembrerebbe essere una strategia valida, almeno questo è quanto emerge da alcuni studi:
– Noninvasive ventilation in palliative care and near end of life Revues de malaldies respiraoires dicembre 2008
– Palliative noninvasive ventilation in patients with acute respiratory failure Intensive Care medicine agosto 2011
Tutto chiaro? Direi di no, soprattutto quando vedo novantenni combattere strenuamente contro la maschera e chiedere di essere lasciati in pace. In queste occasioni qualche dubbio se stiamo facendo la cosa giusta mi viene.
La domanda che forse dovremmo porci è perché ai giorni nostri sia diventato impossibile , per la maggior parte delle persone, accettare quanto di più naturale esiste al mondo: la morte; un tema che va molto al di la degli studi e della medicina basata sull’evidenza e che meriterebbe una giusta riflessione collettiva.
Mi auguro che diciate la vostra…
Io sono una geriatra-urgentista e visto che lavoro per la maggior parte del mio tempo in medicina d’urgenza questa domanda me la pongo quasi tutti i giorni. Per questo motivo trovo il tema assolutamente importante. Ho letto le linee guida citate. Sono molto utili ma è anche la sensazione della mia pratica quotidiana. Credo che, cme sempre, forse ci debba guidare il buon senso e la preservazione della dignità del paziente e delle sue volontà…in un epoca in cui son sempre maggiori “i grandi anziani” ciò che mi guida è la loro qualità di vita preesistente, la rete che hanno intorno a supporto, i care-giver, la possibilità di continuare dopo il fatto acuto a condurre la vita che facevano precedentemente. In un mondo in cui l’assetto della famiglia è cambiato, non esiste più la famiglia intorno all’anziano e lui intorno ad essa questo aspetto diventa più rilevante del resto. La loro volontà per me ha ancora più senso. Se non si adattano al ventilatore pur avendo performance perfette prima, se il loro desiderio è di non farlo io credo fermamente, che una volta spiegato quali sono le possibilità per bene, sia a loro come sarà per noi un giorno, determinare la loro scelta…raramente in questa società è accettata la fine della vita, meno ancora vicino ai propri cari e nel proprio letto. Le prospettive di intubazione in pazienti così non hanno senso se per loro non ha senso. Siamo stati chiamati a proteggere la vita, a curara nel modo migliore secondo le nostre conoscenze…ma prima a difendere la dignità della vita e il rispetto delle volontà del paziente…spesso non lo facciamo e non è giusto per loro e non ci fa certo sentire meglio andando nel nostro letto la sera…dobbiamo garantire la buona cura secondo me ma anche la giusta e buona morte nel rispetto delle persone…forse sono impopolare o irriverente…ma ci credo..e continuo a pensare che al di là delle conoscenze…curare è ben diverso dal prendersi cura…cosa che è nostro compito e responsabiltà fare..
Marina,
grazie del tuo commento che condivido pienamente
Un commento tardivo…solo per dire che condivido pienamente quanto detto da Marina: oltre a curare,prenderci cura non lasciandoci dominare dalla tentazione di “dover” fare qualcosa ad ogni costo che spesso e’ piu’ una necessita per noi che non per i nostri pazienti
Claudio
Carlo concordo sui tuoi dubbi quando parli di pazienti che “lottano contro la maschera”, ma quando ben si adatta e diminuisce la frequenza, i segni di fatica sono meno evidenti ecc ecc perché no?
Prendere decisioni in queste situazioni è sempre difficile. L’unica cosa certa è che ogni trattamento deve essere adattato al singolo paziente che ha una condizione clinica e una storia a se.cercando di usare compassione e buon senso.
Bravo Carlo per questa altra conversazione. anche io spesso sono in lotta fra il voler comunque essere di supporto e fare i conti con le età e la rallentata reattività alle cure intraprese. Spesso mi domando se ho autorità per sceglere. E’ difficile e penso nessuno abbia una risposta precisa. Spero di poteri incontrare di persona. Mi piace il tuo modo di intendere e di pensare.
Sarò a MIlano il 16 e il 17 dicembre per il trauma update al Niguarda. Se ci sei fammelo sapere, ti incontrerei volentieri.
Giuseppe grazie del tuo commento, purtroppo non sarò presente a Milano, sono sicuro però che non mancheranno le occasioni per incontrarci. Ancora grazie.