domenica 6 Ottobre 2024

Qui non siamo a ER!

Lo confesso: ER mi è sempre piaciuto un sacco. Un modo verosimile di rappresentare la realtà del pronto soccorso, dove buone intenzioni, buoni sentimenti insieme a ottimi risultati terapeutici gratificavano operatori sanitari e telespettatori. Chi non avrebbe voluto essere, o essere curato, da un Carter, un Green e perche no un Doug Ross a seconda del proprio carettere e delle proprie inclinazioni. Un iperuranio che però può essere fuorviante. Vero e verosimile non sono infatti sinonimi.

Negli Stati Uniti, ma anche in Italia la percezione della realtà è fortemente influenzata dai mass -media ed in particolare dalla televisione; questo può portare alla convinzione che quella debba essere la verità dei fatti. Chi osserva attentamente  la realta, in qualsiasi campo, sa però che le cose non stanno così.Niente credo sia più vero che non per la rappresentazione del pronto soccorso.

Alcuni ricercatori americani si sono dati così la pena di mettere a confronto finzione e realta.Tra le diverse serie televisive in cui è stata rappresentato il pronto soccorso è stato scelto ER in quanto oltre a essere molto popolare,  era quello che aveva come obiettivo di essere il più realistico possibile e le cui vicende si svolgevano pressochè interamente in pronto soccorso.

Lo studio
Nello studio dal titolo ER vs ED: A comparison of televised and real life emergency medicine recentemente pubblicato su The Journal of Emergency Medicine è stata analizzata un intera stagione di ER costutuita da 22 programmi e messa a confronto con  i dati della National Health and Ambulatory Medical Care Survey (NHAMCS) dello stesso anno.
I dati fanno riferimento a visite eseguite nei dipartimenti di emergenza  facenti capo a ospedali non istituzionali, federali, militari o Veterans di 50 stati americani e del distretto di Columbia. L’anno in questione è stato il 2000.
Sono stati paragonati 192 pazienti rappresentati nella serie televisiva e un campione di 25.622 visite su 108.016.777 eseguite nei dipartimenti di emergenza nello stesso anno.

Risultati

– Vi è una consistente differenza per quanto riguarda l’età ( pazienti con < di 4 anni e >45 sono meno rappresentati in televisone che nella realtà), il genere: i maschi più delle femmine (68,8% vs 47,1) e l’etnia: Afroamericani (12,3% vs 20,3%) e ispanici(7,1% vs 12,5%) sono invece presenti di meno.

– Anche nel livello di urgenza vi sono ampie differenze.
Vengono identificati 4 diversi gradi: non-urgent, semi-urgent, urgent ed emergent. Nei dipartimenti di emergenza americani le categorie di mezzo semi-urgent e urgent  sono quelle viste maggiormente, mentre in televisione sono quelle estreme a trovare maggiore spazio.

– Per quanto riguarda il dolore: assente in TV nel 42,1% dei casi, viene riscontrato come  moderato (35,4%) o lieve (29,2) nella realtà.

– La tipologia delle patologie è anche essa dissimile: i traumi sono molto più rappresentati in TV (63,5% vs 37.0%) mentre gli infortuni sul lavoro lo sono meno (4,2% vs 14,8%). Le patologie respiratorie sono  meno presenti in televisone che non nei DEA Americani (3,2% vs 15,1%).

Conclusioni
Gli autori concludono prevedibilmente che esistono importanti differenze tra rappresentazione e realtà ovviamente limitatamente al campione ed alla serie televisiva esaminata e queste possono influenzare comportamenti, modi di vedere e aspettative della popolazione televisiva.

Commento personale
Potrei dire – niente di nuovo sotto il sole o questa è la scoperta dell’acqua calda – la realtà è sempre diversa dalla finzione ed è importante sottolinearlo anche se ogni tanto gli attori della realtà, ovvero tutti noi, vorrebbero veramente trovarsi in una fiction dove umanità e tecnologia si sposano in modo quasi perfetto.
Aggiungerei per tornare con i piedi per terra che la realtà americana è molto, molto diversa dalla nostra, dove le differenze nella gestione dei pazienti da un posto ad un altro è tale da essere talora preoccupante, ma di questo ho già parlato e in più occasioni.

Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

7 Commenti

  1. Non sempre nella realta ci si impegna meno che in un film, anzi nella realta la fatica sia mentale che fisica sono maggiori. Quello che manca sono le gratificazioni per il “nostro” operato, basterebbe talvolta sentirsi dire un “grazie”.
    Devo anche aggiungere che spesso con i colleghi ci facciamo i complimenti da soli se il nostro intervento o l’equipe stessa ha agito al meglio.
    Allora sarebbe benefico per tutti un rebrifing con motivazioni positive

  2. Marisa,
    sono d’accordo con te, il nostro è un lavoro che ci impegna molto sia in termini fisici che mentali. Giustissimo rivedere le cose enfatizzando non solo quello che può essere migliorato ma anche quello che abbiamo fatto bene. Noi però non siamo li per sentirsi dire grazie, anche se ci fa sempre piacere che i nostri sforzi vengano riconosciuti; purtroppo il contesto in cui operiamo non rende sempre questo possibile.

  3. …fortunatamente! La sfiga colpisce duro nel mondo di ER! Non c’è essere umano che non sia colpito più e più volte da sfighe o disgrazie inverosimili!

    Però c’è da dire che quel telefilm – con tutte le fantasie del caso – ha traviato una generazione intera di persone. Io, da quattordicenne pieno di sogni, guardavo il dottor Carter e pensavo che sarei tanto voluto essere come lui.

    Ora, che nei panni del dr.Carter ci sono, sogno la medicina d’emergenza vera, quella dei Mark Green reali (che si chiamino Cliff Reid o Scott Weingart o Joe Lex o chiunque altro sia). E spero, un giorno, di avere la fortuna di insegnarla ai dr.Carter di domani.

    E spero che l’esempio di quei (pochi, ma buoni e coraggiosissimi) illuminati italiani non vada perduto.
    Grazie Carlo.

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