mercoledì 22 Gennaio 2025

Rapporto medico di pronto e medico di famiglia.

Nemici Amici

I medici sono gente strana. A volte encomiabili per dedizione ma permalosi. Non dire mai ad un medico che oltre al suo parere ne ascolti uno altro che cade il mondo. E tu insieme ad esso.

Irreprensibili. Gran lavoratori. Ma sovente antipatici. Arroganti e tavolta, per non dire spesso, per non dire sempre, saccenti.

Metti poi un medico d’urgenza. Uno che già di per sé pensa, di salvare il mondo della sanità. E di farlo di notte, da solo. Mettilo a parlare non tanto con ma di un suo collega medico di famiglia. (non più medico di base). E spera di non sentirlo. La frase più gentile: fannulone.

Perchè non alleati?

Foto di K X I T H V I S U A L S su Unsplash

Esiste un immaginario o luogo comune nei locali del DEA. Comunesi, poi affiliateli il sostantivo che preferite. E’ la visione di pazienti in cerca dell’ambulatorio del sui medico curante che trovandolo vuoto o affollato o chiuso si recano in DEA. Oppure, sempre secondo il solito immaginario immaginifico, il miracolo si compie e si è accolto nel suo ambulatorio uscendoci però con un impegnativa per recarsi urgentemente in Pronto Soccorso. Perchè noi li tratteggiamo così, gli MMG: inviatori seriale di persone in DEA. Almeno uno al giorno. per non perdere tempo, l’abitudine, la predisposizione e l’allenamento.

da archivio personale

Eppure.

Eppure basta poco. Cosa serve per poter pensare che non dobbiamo essere per forza nemici. O meglio che si potrebbe addirittura diventare alleati. In fondo stiamo combattendo la medesima battaglia su due fronti differenti di uno stessa terribile sciagura: la resa del sistema sanitario nazionale pubblico.

Non abbiamo alleati eterni ne nemici perpetui.

Lord Pamerston

Si può?

Allora è doveroso abbandonare la rabbia, lo scazzo, i pregiudizi, il preconcetto, la preclusione, le critiche detrimentali e provare ad andare oltre. Sospendere l’immaginazione e provare a ragionare. Comprendere. Per poi unire le due realtà. Farsi conoscere e conoscere. Per arrivare a sognare l’impossibile: creare un rapporto fra medico di pronto soccorso e MMG. Addirittura arrivare a telefonarci. Ad essere quasi amici.

amici
Foto di No Revisions su Unsplash

Conoscerci

Cosa ci fa arrabbiare e perchè? Perchè non si può fare altrimenti? Come si vede il pronto da dentro ma anche da fuori. E provare ad esplorare il loro mondo: lo tratteggiamo onirico ed ambito, sicuro e silenzioso, quieto e regolare, confortebole e gratificante. Ma è davvero così?

Allora proviamo a sentire la loro voce

Saranno Claudia e Laura a raccontarci il loro mondo. Rispondendo ad alcune domande che periodicamente mi pongo, prima, all’inizio, a metà, alla fine e dopo di ogni turno di lavoro. Senza essere mai riuscito ad approfondire per ottenere quelle verità che non siano sole le mie, che non siano quelle che mi fanno comode e e soprattutto che siano autentiche.

Ho cercato di essere profondo, colto e marzualliano, avendo un occasione da non sprecare. Se le domande non vi soddisfano, la colpa, o forse il merito è state pensarle dopo un turno di 12 ore in accettazione.

Buongiorno, come ti/vi chiami/chiamate, dove lavori/lavorare e quali sono i tuoi/vostri sogni?
C: Sono Claudia, di formazione MMG, ma non ho mai preso la convenzione. Lavoro attualmente con un’altra collega MMG, in un progetto sperimentale all’interno della struttura complessa di Cure Palliative dell’ASL Citta’ di Torino. Si chiama “Progetto A.R.C.A.” (Assistenza in Rete per la Cronicita’ Avanzata) e ci occupiamo di cure palliative di base e continuita’ delle cure nei pazienti fragili sul territorio collaborando con SC Domiciliarita’, SC Residenzialita’. Sogno una medicina territoriale che  consideri le cure primarie nella loro complessita’ come parte integrante del servizio pubblico.

da archivio personale

L: Mi chiamo Laura Mondino, lavoro in una medicina di gruppo formata da 8 medici in Via San Donato a Torino; spero che la medicina generale cambi in meglio e venga valorizzata. Mi piacerebbe lavorare in strutture pubbliche insieme ad infermieri e specialisti ed essere tutelata da un contratto da dipendente

Laura
da archivio personale

AD: Dott. Alfredo Schiavone e Dott.ssa Donata Maria Coviello ASL Citta’ Di Torino

Non siete concordi sulla generale scarsa considerazione che il paziente e la società in genere abbia del ruolo e del lavoro del medico di famiglia. Perché esiste e come possiamo modificare tale sensazione?

C: Come singolo medico la considerazione non e’ sempre negativa, ma a livello mediatico come ordine professionale generalmente si’. Verosimilmente influisce la mancata chiara definizione delle competenze e del ruolo del medico di medicina generale all’ interno del SSN e dalla disomogenita’ del servizio fornito. Probabilmente perche’ ancora la Medicina Generale si identifica nel singolo medico e non all’interno di un servizio di cure primarie omogeneamente organizzato secondo i bisogni del territorio in cui si ubica.

L: Esiste purtroppo perchè la gente (alcuni colleghi compresi) pensa che il MMG lavori solamente 2-3 ore al giorno (orario di ambulatorio) ma non si rende conto che c’è un grosso carico di lavoro tra telefonate, mail, visite domiciliari, certificati e piani terapeutici che occupa quasi tutta la giornata! Potrebbe cambiare se ci fosse un rapporto di fiducia e di rispetto per il nostro lavoro

AD: Riteniamo che la scarsa considerazione del nostro lavoro sia legata a vari fattori. Il principale é la superficialità con cui vengono espressi giudizi ignorando completamente la tipologia di lavoro svolta dal MMG che spazia dalla clinica (che  comprende settori di nostra competenza e settori di competenza più specialistica ) alla medicina di iniziativa e di prevenzione,  alla burocrazia (compilazioni di piani terapeutici, compilazione di moduli per ausili e presidi vari, certificazioni varie, ecc.). La burocrazia comprende anche la necessità di prescrivere i farmaci avendo cura di seguire le indicazioni della scheda tecnica per la rimborsabilità e gli esami strumentali seguendo l’appropriatezza prescrittiva.

Io lavoro in pronto soccorso; spesso ricevo pazienti inviati in DEA dal medico curante. Perché, a vostro avviso, sulla ricetta spesso vi è scritto “si consiglia ricovero” ma mai un numero di cellulare con cui potervi contattare e condividere il problema del paziente? Come mai secondo te non riusciamo ad avere questo tipo di interazione/comunicazione tra noi? 

C: Nel mio caso lavorando all’interno delle cure palliative, la comunicazione avviene attraverso un numero di reperibilita’. La presa in carico del paziente e’ da parte del servizio e non del singolo medico.

L: Personalmente quando invio un paziente in pronto soccorso stampo una scheda in cui indico al collega anamnesi, terapia cronica e motivo dell’invio per agevolare il vostro lavoro, oltre che alla mia mail e ad un recapito telefonico; c’è da dire che la maggior parte dei pazienti si reca in pronto soccorso spontaneamente, senza prima nemmeno consultare il proprio MMG.

AD: Inviamo in PS con un’impegnativa in cui sinteticamente indichiamo il sospetto diagnostico e i rilievi obiettivi. Evidentemente gli accessi in autonomia sfuggono ai nostri rilievi.Spesso ci capita di parlare con colleghi dei reparti che gestiscono il paziente per un tempo più lungo. I medici del PS, per le peculiarità del loro lavoro che ha tempi più compressi e necessità di verifiche immediate, non credo possano beneficiare di un contatto che risulta difficile da stabilire nell’immediato.

Spesso il venerdì o il prefestivo i pazienti in pronto soccorso mi dicono che sono venuti qui perché il medico curante non è contattabile. È verosimile secondo te/voi? È un problema di organizzazione del sistema che non funziona? Altro?
C: E’ un problema principalmente legato all’organizzazione. Non si puo’ pretendere che una persona sia reperibile 24hsu24h e 7 giorni su 7, sarebbe un modello organizzativo insostenibile. Secondo l’ACN l’MMG non deve fornire reperibilita’ dalle 8 alle 20 nei festivi e prefestivi, ma la continuita’ dovrebbe essere garantita da Continuita’ Assistenziale (ex guardia medica) che purtroppo al momento a Torino non riesce a fornire una vera presa in carico dei pazienti. E’ un problema sicuramente complesso anche legato alla scarsita’ e all’elevato turn over dei medici del servizio, alla non accessibilita’ alle cartelle dei pazienti. Forse con le USCA durante il periodo COVID si era risuciti in parte a creare un modello diurno e nei festivi piu’ stabile. 

L: Il venerdì è un giorno lavorativo a tutti gli effetti, per cui il MMG deve essere contattabile come tutti gli altri giorni feriali; nei festivi e nei prefestivi è attivo il servizio di continuità assistenziale che sostituisce a tutti gli effetti i compiti della medicina generale; che a Torino questo servizio non funzioni è tutto un altro discorso!

AD: Siamo contattabili in ambulatorio per tutta la sua durata (molte ore) e tramite messaggio in segreteria telefonica, se si ha la possibilità il tempo e la pazienza di aspettare il contatto.

Difficoltà della medicina territoriale: quanto è difficile per te/voi avviare un percorso rapido extra-pronto soccorso di prenotazioni di esami ematici, strumentali e specialistici piuttosto che un appoggio al Pronto Soccorso?

C: E’ complesso, io lavoro con pazienti che sono in carico a servizi ADI o ADI UOCP per cui gli esami ematici vengono oranizzati al domicilio e contatto direttamente gli specialisti, poiche’ lavoro in un servizio all’interno della rete delle strutture dell’ASL. Diverso e’ per il paziente in carico a MMG che spesso deve appoggiarsi a privati convenzionati. 

L: Negli ultimi anni post pandemia è praticamente IMPOSSIBILE tramite SSN avere esami ematici strumentali o visite specialistiche in tempi brevi; motivo per cui, aimè, per chi non può permettersi il privato, spesso la soluzione è il PS.

AD: L’unica arma che abbiamo nelle richieste è inserire la priorità, che può funzionare in alcuni ambiti ma che spesso viene disattesa. Oppure utilizzare dei percorsi dedicati tipo CAS di Oncologia.

Gestione domiciliare: apertura e tempi di attivazione di un ADI. Da medico di pronto soccorso, mi sembra sempre una impresa difficile e disperata. Avete anche voi le stesse sensazioni? Secondo te/voi perché accade?

C: L’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) ha dei tempi di apertura dai 7 ai 10 giorni e si attiva nella maggior parte dei casi se ci sono dei bisogni prestazionali. Raramente viene attivata nei pazienti ad alta complessita’ assistenziale per fragilita’ in supporto al monitoraggio MMG. Adesso si stanno formando le figure professionali degli Infermieri di Famiglia che potrebbero entrare in supporto all’ADI in questo tipo di pazienti. Per l’apertura ADI Cure Palliative e’ un po’ diverso le segnlazioni giungono alla centrale oeprativa della SC Cure Palliative dall’ASL che valuta la complessita’ dei pazienti e attiva la onlus FARO e definisce le tempistiche di apertura del servizio in base ai bisogni, che puo’ avvenire anche entro 24/48 h se identifica casi  di urgenza. 

L: I tempi di attesa di un’apertura ADI sono di circa una settimana; bisogna quindi organizzarla con un po’ di anticipo. E’ un servizio che funziona bene in alcuni casi ma non deve essere paragonata ad un’ospedalizzazione a domicilio, molte cosa non si possono fare.

AD: Le tempistiche di attivazione dell’ADI dipendono dalle possibilità del servizio di prendere in carico i pazienti e non direttamente da noi.

Le persone anziane muoiono, senza dover essere purtroppo nella maggioranza dei casi una sorpresa. Hai anche tu l’impressione di una diffusa perdita della cultura delle morte e che le persone non riescano più morire a casa?

C: Sicuramente c’e`un fattore culturale. Da una parte legata all’avanzare dell’efficacia specialistica medica e all’aumento epidemiologico di persone affette da patologie croniche. Per cui nelle persone e nei caregiver che affrontano patologie evolutive per molti anni la malattia diventa parte della normalita’ ed e’ difficile accettare che si possa morire di quello. C’e’ probabilemnte anche una difficolta’ nell’ identificare il momento adatto in cui condividere tra gli attori coinvolti la traiettoria di malattia e costruire una pianificazione delle cure condivisa. Soprattutto nelle patologie croniche non oncologiche  in cui la definizione prognostica e’ piu’ complessa. Dall’altra parte sta avvenendo una transizione demografica e sociale per cui l’assistenza domiciliare, storicamente basata sulla rete familiare e sulle possibilita’ economiche personali, non e’ piu’ attuabile e sostenibile. 

L: Si assolutamente, da ex 118ista mi è capitato tante volte di dover trasportare anziani in ospedale perchè i parenti non se la sentivano di tenerli e non volevano vederli morire a casa; secondo me ci vuole una buona comunicazione che però deve essere fatta prima dell’evento acuto in maniera che sia i parenti che i pazienti possano essere preparati

AD: Certamente si (soprattutto i parenti hanno difficoltà nell’accettazione)

Da dentro il cuore del problema: quanto si sta perdendo la rete sociale assistenziale della famiglia?

C: Molto, d’altronde penso che un sistema sanitario nazionale universale e equo non possa basare, nel 2023, l’assistenza sulla famiglia come sistema esclusivamente privatistico. Ad oggi il supporto economico legato all’UVG, sia per l’assistenza domiciliare che per la residenzialita’, e il terzo settore non riescono a rispondere ai bisogni della popolazione.

L: Dipende molto da caso a caso ma in generale posso dire che spesso la rete familiare/assistenziale viene a mancare, per cui molti anziani sono soli e “abbandonati” nelle strutture

AD: La rete assistenziale della famiglia, pur presente, non puo’ farsi carico delle esigenze assistenziali del paziente anziano non autosufficiente per i motivi che facilmente si possono immaginare (lavoro, figli, distanze, tempo ecc. )

Le persone fragili, anziani e con patologie croniche sono destinate ad un percorso ed una traiettoria di vita spesso prestabilita: quanto riuscite a preparare le famiglie ed i pazienti a questo percorso per essere pronti nel caso di un arrivo in pronto ed in ospedale in condizioni ormai segnate?

C: Lavorando all’interno della struttura di Cure Palliative e’ parte fondamentale del mio lavoro la pianificazione condivisa delle cure e la definizione dei percorsi di cura. Non sempre e’ possibile per diverse complessita’ cliniche esistenziali e assistenziali. Come servizio dell’ASL, quando i pazienti sono ricoverati, andiamo a visitarli anche in DEA o in reparto per fornire un supporto nella ridefinizione del percorso di cura.

L: La comunicazione medico-paziente è una parte molto importante del nostro lavoro: io credo che il MMG, avendo nella maggior parte dei casi un rapporto di fiducia con i pazienti e i parenti e conoscendo la situazione debba cercare il più possibile di essere sincero e chiaro e presentare al parente pro e contro di un’eventuale ospedalizzazione; talvolta però è molto difficile, perchè le persone non capiscono e non accettano la morte quindi dipende molto da chi si ha di fronte.

AD: E’ spesso difficile far comprendere o preparare il paziente e i suoi familari ad un evento inatteso o alla fine della vita. Tuttavia con i nostri pazienti (e e le loro famiglie) che seguiamo nel tempo e che hanno malattie croniche gravi o oncologiche con rapida possibilità di peggioramento, cerchiamo di inizare un discorso graduale relativo al fine vita. E’ un compito difficile per ogni medico, anche se un momento della cura molto importante e sicuramente a cui fare particolamente attenzione. 

Dimissione dal DEA: quanto spesso avete l’impressione di un problema che vi si sta “rimbalzando” dall’ospedale o quando spesso siete soddisfatti del lavoro fatto in pronto soccorso?
C: Bisogna distinguere tra i motivi degli invii: problema acuto puntuale, frequent attenders con prevalente problematica sociale/asisstenziale, pazienti complessi che necessitano ricovero per definizione percorso diagnostico/terapeutico.

L: Sinceramente dipende dal pronto soccorso, alcuni sono troppo superficiali e sottovalutano il nostro invio ritenendolo improprio a priori; la maggior parte devo dire che nonostante il carico di lavoro e lo stress continuano a lavorare molto bene

AD: La relazione di dimissione del Pronto Soccorso ci è molto utile . Meglio sarebbe l’indicazione di un contatto anche mail per poter interagire senza interrompere la vostra attivita’ lavorativa.

Dimissione dal DEA e dimissione del paziente da parte del medico di pronto soccorso: perché non chiamarvi direttamente nei casi di necessaria collaborazione? Sarebbe auspicabile una collaborazione di questo tipo? Il più delle volte devo lasciare un messaggio ad una anonima segreteria telefonica ed aspettare. Come si potrebbe fare secondo te/voi?
C: Sarebbe ottimo avere i numeri di riferimento di tutti i professionisti coinvolti cosi’ da facilitare la comunicazione e le decisioni. Sarebbe utile creare una rete sul territorio in cui si lavora. 

L: Sono d’accordo, si potrebbe lasciare il numero di cellulare del MMG ma dall’altra parte un numero diretto anche del PS per evitare di passare dal centralino e non prendere mai la linea

Io a tutti i pazienti che passano in pronto soccorso suggerisco e consiglio di venire da voi il giorno dopo a far visionare il verbale del DEA. Mi rispondono che non è possibile perché devo prendere un appuntamento le cui tempistiche non sono brevi. E’ vero? Non dovreste vedere il giorno dopo tutti i pazienti che transitano in pronto? Credete che non sia utile questo tipo di direttiva data dal medico dimettente del PS? 
C: Spesso ci sono le visite programmate in ambulatorio, e per quelle c’e’ un tempo d’attesa, ma c’e l’obbligo di vedere le urgenze. Il problema e’ che la definizione di urgenza e’ soggettiva tra professionisti e cittadini e spesso questo genera malcontento per mancanza di educazione sanitaria. E’ utile vedere i pazienti dimessi da PS o da ricovero per ridefinirne i bisogni e i percosi di cura.  Inoltre penso sia necessario fare attenzione perche’ la medicina generale la CA e il PS sono i servizi ad accesso diretto del SSN e svalutandoli c’e’ il rischio di legittimare una transizione verso un sistema sanitario prevalentemente privatistico. 

L: Dipende dal motivo! Le urgenze si vedono in giornata ovviamente anche senza appuntamento; se il paziente ha bisogno di farmaci e di far visionare il verbale senza essere rivalutato può iniziare ad anticiparlo via mail e successivamente si valuterà se vederlo in tempi brevi o meno

AD: Diamo sempre priorità ai nostri pazienti che provengono dal PS  e facciamo di tutto per garantirgli un appuntamento breve.

Rapporto medici di base e medici di pronto soccorso. Quali sono a tuo avviso i principali problemi e come possiamo migliorare?

C: La mancanza di collaorazione e comunicazione. La definizione dei ruoli e competenze di ogni servizio. La creazioni di percorsi di continuita’ di cure nei diversi setting asisstenziali e la rete tra professionisti non solo sanitari per creare un vero approcio alla cura multidimensionale e multiprofessionale. 

L: Forse la mancata comunicazione e collaborazione; da parte nostra potremmo fare la scheda di invio per agevolarvi e lasciare il nostro numero, ma a questo punto anche voi! E’ spesso impossibile contattare il DEA e per avere notizie dei pazienti bisogna passare dal centralino e spesso non otteniamo risposta

AD: Credo che i principali problemi siano relativi alla difficoltà di comunicazione, ma intesa molto spesso come difficoltà materiale, ovvero il fatto che sia difficle praticamente avere una interazione tra di noi. Sia per mancanza di tempo che, soprattutto, per mancanza di mezzi di comunicazone adeguati. 

In sintesi: come possiamo migliorare e collaborare insieme per una gestione congiunta del paziente strategica e di buon senso e non spostare il “problema” paziente da uno o all’altro?
C: La domanda del secolo! Provare a creare dei progetti sul territorio in cui si lavora dal basso facendo rete e collaborando tra professionisti. Anche ampliando l’orizzonte, non di tanto, ci sono realta’,anche vicine, molto virtuose a cui ispirarsi per aiutare l’immaginazione.

L: In sintesi credo che sia fondamentale la comunicazione e il rispetto reciproco, evitando di considerarci sempre medici di serie B.

AD: Credo che il modo migliore sia quello di rimanere sempre consapevoli che c’è, da parte di entrambi, lo stesso sforzo nel fornire la migliore assistenza possibile e la migliore cura possibile ai nostri pazienti. E quindi cercare di comprendere le difficoltà e gli sforzi del collega che è “dall’altra parte”. Cercare di considerarci “alleati” nella cura e mai “avversari”. Sarebbe molto utile se ci fossero dei mezzi telematici di comunicazione tra medico di Pronto Soccroso e Medico di Famiglia, anche solo per cominicare che si è avuto in cura un paziente dell’altro collega.

E quindi?

Tancredi Falconeri ne “Il Gattopardo” riguardo al cambiamento si esprimeva cosi:

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

Sogno un domani in cui esista una rete urgentista – Medico territoriale. In cui l’urgentista conosca i medici sul territorio. Magari conoscenza iniziata in asupicabili e programmate riunioni ospedale territorio organizzate per creare rete, progetti, percorsi, conoscenza, rispetto ed amicizia.

Non ho la presunzione che un semplice, ingenuo e mal scritto post possa cambiare tutto. E penso non cambierà neanche qualcosa. Ma magari ad alcuni verrà voglia di cambiare la routine, di smettere di considerare gli altri nell’errore, di sconfiggere l’indolenza e sollevare una volta il telefono. Parlarsi, confrontarsi ed incredibilmente piacersi. Trovarsi bene. Lasciarsi con l’intenzione di risentirsi. Per parlare di medicina e di pazienti. D’altronde tutte le grandi storie amore iniziano con i protagonisti che si odiano.

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Davide Tizzani
Davide Tizzani
Specialista in Medicina Interna, ma specializzando ancora nell'anima. Esperto di Niente. Interessato a Tutto. Appassionato delle tre E: ecg, ega, ecografia. @DavideTizzani |

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