lunedì 11 Dicembre 2023

Scegliete la vita. The Dark Side of the MEU (1a parte)

Overcrowding, burnout, turnover.

Traduciamoli: sovraffollamento, logorio professionale, ricambio di personale. Sono problematiche tra loro connesse: il sovraffollamento dei pronti soccorsi (con carenza di posti letto), conduce ad uno stress abnorme degli operatori e li spinge a desiderare altre occupazioni, arrivando ad un ricambio continuo del personale delle strutture d’emergenza.

Io non amo utilizzare termini inglesi, ma in questo caso, con la loro immediatezza anglosassone, centrano in pieno il problema dei problemi.

Chi ce lo fa fare?

Perché, non neghiamolo, il lavoro del medico d’emergenza è particolare, diverso per molti aspetti da quello di altre figure sanitarie. E sebbene esistano medici ed infermieri che transitano per caso nei dipartimenti d’emergenza ben lieti di scappare il prima possibile, molti professionisti sono felici del lavoro che svolgono e non lo cambierebbero per nulla al mondo. Perché accade? perchè trovano bello e stimolante un lavoro complesso, in condizioni critiche, che li spinge sempre a dover fronteggiare in prima persone ogni tipo di problemi?

Come spesso mi capita, ho riascoltato The Dark Side of the Moon, l’album seminale dei Pink Floyd. Cosa c’entra, direte voi? Parla della vita, del tempo, del denaro, dello stress, della morte, del rapporto con le altre persone, della follia.

In pratica, parla del nostro lavoro.

Quindi, The Dark Side of the MEU, se mi permettete il facile gioco di parole. Proviamo ad affrontare un viaggio negli aspetti duri, difficili, stimolanti, arricchenti, del nostro lavoro, basandoci sulle canzoni dell’album. Questo viaggio sarà articolato in più post, ognuno dedicato ad un diverso argomento della medicina d’emergenza.

Breathe apre il disco. Parla della nascita, della venuta al mondo.

Come nasce, un medico di medicina d’emergenza?
Nasce in molti modi: per scelta, forse; per disgrazia, per alcuni. Per caso, come nel mio caso di giovane internista che mai aveva frequentato un pronto soccorso e si è ritrovato catapultato in un mondo che non conosceva ma che subito ha trovato come proprio.

Ma possiamo affidarci al caso? Possiamo ancora permetterci che i nuovi arrivi in pronto soccorso siano divisi tra chi lo ha scelto, tra chi lo vive come una disgrazia, e chi per caso lo trova congeniale alle proprie attitudini?

Non possiamo. Anche perché il lavoro, per il problemi di affollamento, di carenza di posti letto, e di notevole stress, se non viene scelto da persone consapevoli, rischia di diventare una condanna.
Dobbiamo trovare una soluzione: forse siamo abbastanza vicini, con l’avvento della specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza, ma la soluzione è ancora lontana perché il loro numero non permetterà per molti anni una adeguata copertura dei servizi.

Il rischio è evidente: se la medicina d’emergenza continuerà ad “ospitare” personale che non ha scelto questo mondo e che troverà il modo di fuggirne alla prima occasione, non si potrà affrontare la montagna di problemi che osserviamo ogni giorno.

Turn over: un ricambio continuo di personale, soprattutto medico, che risulta particolarmente frustrante per chi rimane e dannoso per la continuità culturale e tecnica dei reparti. Ospitare un giovane medico, addestrarlo in maniera adeguata, resisterere alle inevitabili insicurezze e lentezze iniziali e poi vederlo volare via. A volte, mi sento una chioccia, a vedere così tanti giovani colleghi andare via dopo i nostri sforzi “educativi”, ma non è solo una questione personale. E’ evidente che, a restarne indebolito, è il servizio in se stesso: e questa problematica è diffusa in tutto il territorio nazionale.

Ma come dovrebbe nascere un medico di medicina d’emergenza-urgenza? Perché è evidente, chi si ritrova in un lavoro simile deve possedere specifiche caratteristiche e attitudini: il grafico sottostante, assolutamente ironico, prevede la presenza di follia come elemento distinguente tra la medicina d’emergenza (e la psichiatria) rispetto a tutte le altre specializzazioni. Come non si può essere un po’ folli se amiamo un lavoro che prevede turni festivi, notturni, situazioni continue di stress e di criticità, in cui si deve scegliere rapidamente su pazienti in emergenza, con poche informazioni, mentre contemporaneamente si gestiscono altri pazienti e altre problematiche con un multitasking continuamente interrotto da squilli di telefono, parenti che chiedono informazioni e altre amenità?

Ma al di là delle battute, possiamo ipotizzare la ricerca di specifiche attitudini nei giovani laureati per capire la predisposizione alla scelta della medicina d’emergenza? I canadesi hanno pubblicato uno studio, qualche anno fa, proprio su questo specifico argomento: Emergency medicine as a career choice: a descriptive study of Canadian medical students. Gli autori hanno preparato uno specifico sondaggio per gli studenti per ricercare le eventuali predisposizioni ad una scelta di carriera nella medicina d’emergenza-urgenza, rispetto alle altre strade. i loro risultati sono curiosi per molti aspetti, il primo dei quali è che la percentuale di persone interessate alla medicina d’urgenza cresce durante il corso di studi ripetto alla scelta iniziale presa al momento dell’iscrizione: quindi, ipotizzano, esiste un modo di esercitare questa maieutica durante il corso di studi, per favorire la scelta in persone che sarebbero motivate a scegliere questo campo di lavoro? Medici motivati in una scelta di lavoro così particolare saranno maggiormente resistenti allo stress e quindi con minor rischio di burn out, saranno maggiormente interessati a sviluppare specifici campi di interesse e quindi contribuiranno a far ulteriormente crescere la medicina d’emergenza-urgenza.
Una pagina inglese del gruppo BMJ suggerisce i vantaggi e gli svantaggi del lavoro del medico d’emergenza-urgenza: e se gli svantaggi sono evidenti (la turnistica, le risorse sempre più limitate, l’aggressività da parte dei pazienti che non comprendono il nostro ruolo e le nostre difficoltà), i vantaggi possono essere poco chiari per chi non ha mai frequentato un medico d’urgenza appassionato: ossia affrontare un lavoro diversificato, divertente, impegnativo ma gratificante, che richiede competenze varie e diffuse da applicarsi in condizioni critiche su pazienti critici, in modo pratico e immediato. Quali sono le caratteristiche che dovrebbe possedere un medico d’emergenza-urgenza secondo gli autori? deve mantenere la capacità di agire rapidamente, deve mantenere l’entusiasmo, deve saper lavorare in un team e svolgere il ruolo del leader, deve possedere uno spettro ampio di conoscenze e competenze, deve essere capace di lavorare in orari anomali, deve possedere capacità comunicative, deve possedere capacità manuali, e deve “funzionare” in modo adeguato anche sotto pressione.
Praticamente Superman.

E’ così che ci sentiamo? no, tutt’altro. Eppure è innegabile che il tipo di lavoro richiesto è del tutto peculiare, così come l’impegno, e che prima viene recepito dagli studenti, meglio sarà per avere persone davvero motivate nella scelta. Gli americani svolgono da anni un lavoro di scouting nelle scuole di medicina, e alcuni anni fa, Life in the Fast Lane ha pubblicato una foto di una locandina, a mio avviso bellissima, di promozione della scuola di specializzazione in medicina d’emergenza.

Parafrasando il celebre incipit di Trainspotting,

“Scegliete la vita. Scegliete un lavoro. Scegliete una carriera. Scegliete di alzarvi presto la mattina, di andare al lavoro, e di salvare vite ogni giorno. Scegliete le divise colorate. Scegliete i defibrillatori, l’elettricità e i farmaci. Scegliete gli attacchi cardiaci, i traumi maggiori, le caviglie fratturate, e i bambini settici. Scegliete di lavorare in team. Scegliete il cameratismo, l’avventura e il non sapere mai che cosa accadrà dopo. Scegliete di lavorare in prima linea. Scegliete di insegnare alle generazioni successive. Scegliete tubi di drenaggio toracico, intubazioni, riduzioni di lussazioni e vie centrali. Scegliete la varietà. Scegliete di trattare tutti i problemi in tutti i pazienti in tutte le ore. Scegliete l’eccitazione. Scegliete di sopravvivere con caffeina e adrenalina. Scegliete di usare le abilità che avete appreso in una zona disastrata. Scegliete di affrontare la sfida successiva. Scegliete di stimolare i colleghi e di affascinare i pazienti. Scegliete di stare calmi durante la crisi e di raccogliere le migliori storie da raccontare alle feste. Scegliete di tornare a casa alla fine della giornata sapendo di aver fatto la differenza.Scegliete il vostro futuro. Scegliete la vita.”

Perché è vero: le difficoltà sono notevoli, le risorse sono poche, i problemi sempre in crescita, ma io davvero ringrazio il caso che mi ha spinto a svolgere un lavoro che forse non avevo scelto ma che adesso non cambierei più.

Ma se non vogliamo rimanere i soli alla guardia del fortino (o citando la ormai celebre metafora di Fabio De Iaco, del faro) dobbiamo pensare ad un cambiamento: e quindi, non solo la ricerca di persone motivate a svolgere il nostro stesso lavoro, ma anche continuare a lottare per avere un ambiente di lavoro consono, con le risorse appropriate e con gli strumenti necessari. Il lavoro del professionista dell’emergenza (e penso infatti non solo ai medici ma anche agli infermieri) deve essere allettante, e adeguate devono essere le condizioni di lavoro, che allo stato attuale appaiono compromesse. E se resteranno tali, si troverà a fatica personale disposto a scegliere la medicina d’emergenza. Si tornerà indietro di almeno vent’anni: e naturalmente, chi ci rimeterrà sarà soltanto uno.
Il paziente.

(to be continued)

Alessandro Riccardi
Alessandro Riccardi
Specialista in Medicina Interna, lavora presso la Medicina d’Emergenza – Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Savona. Appassionato di ecografia clinica, è istruttore per la SIMEU in questa disciplina, ed è responsabile della Struttura di Ecografia Clinica d’Urgenza . Fa parte della faculty SIMEU del corso Sedazione-Analgesia in Urgenza. @dott_riccardi

35 Commenti

  1. Ciao Alessandro,

    Grazie per aver iniziato ad affrontare questo tema così complesso (anche perché così poco “comune”).
    Sono uno studente a metà del 5 anno che frequenta in medicina d’emergenza e, sempre di più, è convinto di questa strada!
    Attendo con trepidazione i prossimi capitoli!
    E a proposito di follia, mi viene in mente una cosa scritta nell’ultima pagina di una rivista che fu il preambolo di quello che oggi è Google : “stay hungry, stay foolish”.

    Ciao!

    • Grazie del tuo commento, e soprattutto per la tua passione nella medicina d’emergenza. Guarda che, una volta assaggiata, non si torna più indietro! Quest’anno, per me, sono dieci anni di pronto soccorso: la medicina d’emergenza ha continuato a crescere, ma la realtà circostante è progressivamente peggiorata. Questa serie di post mi aiuta a mettere in ordine le idee, e a mantenere viva la passione (e la follia) per un lavoro bellissimo. Credo che la vera svolta si avrà quando sarà svolto solo da persone che vogliono davvero farlo.

  2. Sono uno studente e le mie passioni sono la chirurgia e la medicina d’emergenza. L’anno scorso ho avuto la possibilità di trascorrere saltuariamente qualche ora in uno dei ps più sovraffollati e /ma importanti d’Italia. Ho visto lavorare chi davvero scende nella trincea della medicina pubblica. Da un lato medici e infermieri (alcuni motivati, altri meno; sicuramente in inferiorità numerica rispetto alle reali necessità, con buona pace di un Ssn che taglia, stringe, spreme ma non assume) e dall’altro la folla di pazienti da triagiare, da mettere sulle barelle (spesso terminavano) in attesa di visita, esami, di essere portati in radiologia o in OBI, in reparto…o semplicemente da dimettere.
    Per la mia idea di medicina il pronto soccorso è l’inizio di tutto. Ho visto un’infinità di pazienti. Ho visto dispnee, ustioni, traumi, dolori toracici, dolori addominali, ferite… un mare di cose. Ho avuto modo di vedere come ci si comporta in determinate situazioni con i pazienti (di tutti i tipi e con tutte le possibili intenzioni) e con i colleghi.
    Un inestimabile tesoro d’esperienza.
    Io ho sempre ammirato il medico che sceglie di piazzarsi volutamente in prima linea. Ho sempre pensato che saper affrontare le emergenze e capire cosa fare di fronte a un paziente che ha necessità immediata di aiuto debba far parte di un bagaglio di skills fondamentali per chiunque voglia esercitare la medicina (quantomeno della mia idea di medicina). Mi piacerebbe diventare uno riesce a togliere qualche castagna dal fuoco o quantomeno che possa interpretare la circostanza e demandare subito al collega giusto. Mi piacerebbe provare l’emozione di sentirmi gratificato per essermi reso utile in una circostanza complessa che richiede una soluzione urgente. Ovviamente al di là di una visione “ingenuamente” eroica del medico di ps, ci sono tantissimi medici che si occupano di cose fondamentali pur non avendo un’attitudine battagliera e nemmeno lontanamente la voglia di calarsi in un ruolo che o si ama o si mal sopporta. Io ammiro chi questo ruolo se lo sente cucito addosso.

    • Grazie mille! dal tuo commento, Corrado, posso dire che saresti un ottimo medico d’emergenza, se decidessi di proseguire in questa strada. Hai scritto un commento che da solo vale un post, colpendo in pieno l’identità del medico di pronto soccorso. E anticipando in modo molto preciso il tema del secondo capitolo nel viaggio nella medicina d’emergenza, ossia il prossimo post

      • Ti ringrazio tantissimo. Non escludo che possa diventare un medico d’emergenza. Attendo con ansia la seconda parte! Un plauso anche per aver citato un disco meraviglioso!

  3. Io ho scelto di fare la tesi in medicina d’urgenza semplicemente perché – rispetto a tanti altri reparti che avevo frequentato – mi è parso subito un ambiente dove c’era spazio per fare e per imparare. Anche le persone che ho incontrato lì mi hanno stimolato molto, e insomma se in tanti posti mi sono trovato un po’ a disagio o in disparte in pronto soccorso invece mi sono sentito subito a mio agio.

    Col tempo poi ho iniziato ad apprezzare il fatto di vedere continuamente nuovi pazienti, di avere costantemente qualcosa da fare, il contatto con le persone, il rapporto con gli altri medici e con gli infermieri… credo che il pronto soccorso sia un mondo un po’ di “frontiera”, e molto diverso dai reparti e dalla medicina degli ambulatori e degli studi medici. Per questo penso che ci siano persone che lo odiano e persone che invece non farebbero nient’altro: perché in altri posti non si lavora allo stesso modo e non è semplicemente la stessa cosa.

    Poi penso che lo stesso discorso valga per tante altre specializzazioni. C’è chi per esempio preferisce la sala operatoria, oppure lavorare in terapia intensiva. Dipende insomma da come uno è fatto e dalle inclinazioni personali.

    Simone

    • Grazie Simone, del tuo commento! In effetti, il lavoro di “reclutamento” (che brutto termine) dovrebbe basarsi apposta sulle attitudini dello studente. Un ottimo chirurgo potrebbe essere un pessimo medico d’emergenza: ma è proprio l’obiettivo a cui ambire: il pronto soccorso non dovrà più essere la porta d’entrata per altri reparti, ma l’obiettivo di chi vuole lavorare e confrontarsi con questo lavoro. Però concordo con te: in nessun altro reparto ci si diverte così tanto, ne si affrontano problematiche così varie. E, soprattutto, in nessun altro reparto si forma così facilmente una squadra tra le varie persone che lo frequentano: medici, infermieri, specializzandi, studenti. Io davvero non lo cambierei per nessun altro reparto!

  4. Mi ha fatto davvero tanto piacere leggere questo post in un momento in cui mi trovo a scegliere e la maggior mi parla solo dei lati negativi. Sicuramente non é un lavoro per “gente tranquilla”, ma é bello leggere le parole di qualcuno motivato a farlo! Grazie per aver condiviso questi pensieri!

  5. un commento rapido al post di Ale: “overcrowding, burnout, turnover”…. dal tuo post sembra proprio che tu li stia gestendo bene, senza rimanerci incarcerato e quindi “scegliendo la vita”… Penso che il segreto per galleggiare sopra i problemi che la medicina d’urgenza pone sia soprattutto quello di non attenersi ad attività assistenziale e basta.. Leggendo il curriculum di Ale si vede bene che il suo percorso è fatto di studio ed insegnamento, chiave sia per rimanere aggiornati e quindi garantire una sempre maggiore qualità assistenziale, ma anche chiave per sopravvivere al burn out da saletta o reparto.
    Studiare, seguire il movimento FOAMed, condividere con gli altri quello che si apprende è “scegliere la vita” nostra e dei nostri pazienti

    • Grazie Lorenzo del tuo commento e degli apprezzamenti. Concordo con te: la medicina d’emergenza offre spazi per crescere e acquisire competenze, e questi approfondimenti ti tengono lontano dai lati “oscuri”, principalmente il burn out. La MEU ha generato inoltre uno strumento vivace e moderno, che è il FOAMed, e sono contento che tu lo abbia citato. Non esistono altre discipline in cui potersi mettere così facilmente in discussione, e in cui mettere in atto così rapidamente le cose che abbiamo imparato. La nostra generazione ha creato, ereditando molto dai colleghi più anziani, e si è dedicata ad acquisire delle competenze specifiche (nel tuo caso la parte respiratoria, che mi hai insegnato in più di un’occasione): credo però che il vero salto di qualità si avrà quando i medici di medicina d’emergenza saranno tutti ugualmente competenti, in modo uniforme, in tutto il territorio nazionale. Certo, le predisposizioni individuali saranno sempre importanti, e ci sarà sempre chi ha maggiore esperienza e passione nella ventilazione piuttosto che nell’ecografia – è inevitabile: ma sarà davvero una nuova MEU quando tutti sapranno intubare e ventilare (e decidere quando farlo), effettuare ecografie cliniche, valutare in modo competente ECG ed EGA, e così via.

    • Il Bacio Perugina: il paradigma del medico d’urgenza!
      Siamo nel 1922, Francesco Andreani, Leone Ascoli, Annibale Spagnoli e Francesco Buitoni sono i soci fondatori che nel 1907 hanno dato vita alla storica fabbrica della Perugina. La leggenda vuole che Luisa Spagnoli, moglie di Annibale, aiutando il marito in fabbrica, aveva notato che durante la lavorazione dei cioccolatini venivano buttati via chili di briciole di nocciole. Da qui nacque l’idea di impastare i frammenti di nocciola con il cioccolato. Ciò che ne venne fuori fu uno strano cioccolatino tempestato di frammenti di nocciole, dalla forma irregolare, quasi a ricordare l’immagine di un pugno chiuso, dove la nocca più sporgente era rappresentata da una nocciola intera.

      Fu proprio questa forma particolare a conferire all’odierno Bacio il suo primo nome: Cazzotto!

      Il cioccolatino era buonissimo e riscosse immediatamente un successo clamoroso dovuto sia al sapore molto gradevole che alla particolarissima forma, tuttavia sebbene il nome fosse certamente originale, Giovanni Buitoni non era convinto che fosse una buona idea proporre dei cioccolatini da regalare con il nome di “cazzotti”. Decise così di ribattezzare la sua “creazione” con un nome più dolce e certamente più consono alle occasioni del suo utilizzo, nasce il “Bacio” Perugina che si porta dietro tutta una serie di slogan legati a gesti affettuosi e a momenti d’amore; il Bacio Perugina diventa il simbolo per eccellenza del pensiero affettuoso.

      L’immagine del Bacio venne affidata a Federico Seneca, direttore artistico della Perugina negli anni ’20. Attraverso la sua rielaborazione del quadro di Francesco Hayez “Il bacio”, creò la scatola blu con l’immagine dei due innamorati e fu sempre sua l’idea di inserire i cartigli contenenti le frasi d’amore che ancora oggi caratterizzano lo storico cioccolatino. La storia diventa piccante: si narra che tra Luisa e Giovanni ci fosse una storia d’amore. Il corriere era il famoso cioccolatino, intorno al quale il moroso Buitoni avvolgeva “pizzini” con frasi d’amore rivolte alla bella Luisa. Dolce ruffiano e saporito. Ma cosa c’entra il medico d’Urgenza con il Bacio Perugina? Marzo 2014, sono dal Prof. Agnelli a Perugia per tenere una lezione alla scuola di Specializzazione. Mi fa compagnia Lele mio figlio. Un giro per Perugia e poi visita guidata alla fabbrica del famoso cioccolatino. La guida racconta di Luisa Spagnoli come una donna “avanti” per gli anni ’20. Pensate inventa una sorta di sindacato nella sua azienda ed apre un asilo nido per i figli delle lavoranti. Troppo avanti. Resto stupefatto dal racconto ma, in particolare dalla nascita del cioccolatino più famoso al mondo. Usciamo dalla fabbrica (in piena iperglicemia) e dritti all’Università. Nei pochi kilometri di percorso il mio pensiero balza tra la lezione da fare ed il Bacio Perugina: “Ma sì, siamo uguali!”. “Papà ma ti senti bene?”, esclama preoccupato Lele intento avedermi battere i pugni sul volante. “Certo, Lele, ti spiego”. Parcheggio nella splendida Università e tiroi fuori il notebook per terminare la lezione con il Bacio Perugina. “Vedi Lele. il medico d’urgenza è nato come il bacio, per caso e per necessità. Gli “scarti” degli altri specialisti sono stati raccolti da qualche mente eccelsa, arricchiti di altri ingredienti che i cioccolatini nobili non hanno, una forma non bellissima ma non comune…..e subito sono piaciuti. Successivamente sono stati resi belli dalla carta (prima erano nudi) e sono stati messi dei pensieri, degli scritti che si fanno leggere e pensare. Un successone mondiale. Ora tutti conoscono i medici Bacio e nessuno ne può fare a meno. Hanno la loro identità, ingredienti trasversali come la nostra cultura. buoni e con tanta letteratura. Insomma siamo noi i Baci Peurgina della Medicina”. Faccio la mia lezione sulle emergenze cardiorespiratorie in ambulanza e finisco con il paradigma del Bacio. Beh non ci crederete è piaciuta tanto. Dopo alcuni giorni torno a casa e racconto a mio figlio di un diverbio avuto con un’anestesista del mio ospedale che si faceva forte della sua specialità vantandola dall’alto di uno sgabello fatto di ignoranza. “Lele avrei voluto spiegargli il paradigma del Bacio, ma sono certo che non avrebbe capito” e lui “Papà lei è un gianduiootto:, costruito, “scemo” di sapore e senza pensiero”. Noi siamo Baci perugina!

  6. Grande Ale!
    Un disco ‘icona’ per un lavoro che, al di là dell’eroismo di salvare una vita – in verità non così frequente. – è ricchissimo di umanità, dal primo paziente all’ultimo che vedi, sempre …
    Grazie di cuore

    • Grazie a te, Roberto, del tuo bellissimo commento! L’album parla della vita, e il lavoro che facciamo ci mostra la vita in tutte i suoi aspetti. Affrontarlo senza la giusta umanità diventerebbe davvero alienante.

  7. complimenti…lo stesso discorso vale anche per molti infermieri, che semmai fanno la scelta di lavorare in un DEA ma che si “bruciano” in fretta, chiedendo successivamente un cambio con qualche collega (che sarà da ri – formare)

    • Grazie Arthur del tuo commento! Hai perfettamente ragione, è nel post ho solo sfiorato l’argomento infermieri, ma è veramente cruciale. Il post parlava prevalentemente della scelta della specializzazione di un medico, perché purtroppo non esiste L ” equivalente per gli infermieri. Ma sarà un passo necessario, per raggiungere uno status efficace nell’emergenza

  8. Ciao Alessandro!
    Innanzitutto complimenti per l’articolo (e li faccio in anticipo anche per i sequel che verranno)

    Volevo far luce riguardo alcuni dubbi personali, e spero che la mia domanda possa essere utile anche ad altri che condividono le mie stesse preoccupazioni..
    Trovandosi di fronte alla scelta di una scuola di specializzazione il tuo (e di chiunque voglia intervenire) consiglio su cosa ricadrebbe?
    La neonata scuola di MEU è competente a sufficienza? Perché leggo tantissime “polemiche” in merito, portate avanti in particolare dai colleghi rianimatori (non tutti per carità) che sostengono come il medico specialista in MEU sia una figura utilissima a smaltire codici bianchi, verdi e solo alcuni complessi..per tutto il resto o chiami lo specialista (cardiologo, neurologo etc) o il rianimatore (per la gestione di politraumi piuttosto che di ventilazioni complesse…..)
    Essendosi ridotta molto la possibilità per un medico di intraprendere più di una specializzazione (normalità in passato) sarebbe bello poter scegliere qualcosa “che duri nel tempo” senza sentirsi dei subalterni.

    Grazie in anticipo per i consigli 🙂

    • Grazie Andrea del tuo commento. Sulle scuole preferirei che rispondesse uno specializzando o un neospecialista, magari della Cosmeu, perché io non posso dare informazioni precise. Sul resto posso rispondere: il medico MEU non è, e non deve essere un vigile. Se accade in qualche struttura è un paradosso. Il medico MEU non è un tuttologo, ma uno Specialista dell’emergenza. Il grado di collaborazione con gli altri specialisti del dea varia a seconda delle singole organizzazioni. Nella mia realtà gestiamo i politraumi, ma se serve chiediamo il supporto del rianimatore. Gestiamo le ventilazioni non invasive. E i cardiologi ci inviano i loro pazienti con le aritmie, perché ormai le gestiamo noi. Non gestiamo i pazienti intubati, ma per la nostra organizzazione. Altre realtà gestiscono anche le ventilazioni invasive. Non chiedere opinioni ai rianimatori sulla nostra identità, perché fraintendono, a volte, la nostra indipendenza con il voler rubare degli spazi. Noi non vogliamo rubare nulla. La storia della sedazione procedurale è un ottimo esempio. Non vogliamo fare i piccoli anestesisti ma effettuare procedure in sicurezza per migliorare la gestione dei nostri pazienti. Se le scuole meu non sono ancora mature… Non lo so, ma i neospecialisti proseguiranno il lavoro per rafforzare la nostra identità, che è all’opposto di come ci vorrebbero le altre figure intorno. Noi dovremmo essere i professionisti che effettuano ecografie, sedazioni procedurali, riduzioni di fratture, cardioversioni, ecc ecc, ma che al contempo possono decidere di coinvolgere i rispettivi specialisti quando serve.

    • Mi sento chiamato in causa da Alessandro! Ciao Andrea, io sono un quasi specialista MEU (nel senso che mancano 3 mesi!) nonché presidente del Coordinamento degli Specializzandi MEU!

      Innanzitutto, parto con la cruda realtà: se intendi fare il medico di emergenza, devi essere pronto a fare un atto di fede, così come l’abbiamo fatto noi 4-5-6 anni fa. Il nostro mondo è ancora variegato e di medici di emergenza veri (di nome o di fatto) ce ne sono ancora pochi sul territorio. Ciò significa che giunto in un PS puoi trovare gente come Mario Guarino, Alessandro Riccardi, Gian Cibinel, Roberto Copetti, Mattia Quarta, Carlo D’Apuzzo, Giacomo Magagnotti, Jacopo Frizzi, Francesco Cugini (e così via!) che ti gestiscono un paziente critico in completa autonomia, oppure il vigile urbano che è specialista in medicina da centralino. Non possiamo far nulla (in PS sono stati assunti medici di varia estrazione che non fanno questo lavoro con passione, ma solo come “lavoro” e per questo non si prendono responsabilità di sorta) se non imporre una crescita culturale che è già in itinere (la SIMEU ha fatto un lavoro immenso in questo, coadiuvata dalla galassia FOAMit di Carlo e altri come lui) e impegnarci a spostare opinioni e pensieri. “E’ sempre stato così” è un dogma da rompere (e a noi piace rompere dogmi): quindi le nostre maniche sono rimboccate e siamo pronti a cambiare le cose – per non deludere chi questo cambiamento l’ha impostato anni fa e noi stessi che lo abbiamo sognato. Tanto è cambiato rispetto a quando ho intrapreso questo percorso: stiamo crescendo a ritmi vertiginosi, ci stiamo affermando come categoria REALE e non come un polpettone di specialisti di altre cose che lavorano dove nessuno vuole lavorare. L’Emergenza è una scelta, una ragione di vita e una passione tanto tanto forte per la maggior parte di noi.
      Non ti far deprimere dalle voci: il Medico di Emergenza è l’unico, vero, specialista del paziente indifferenziato e non c’è altro consulente che tenga (anestesisti, chirurghi, etc – che comunque hanno un ruolo in quanto tali nei nostri PS) in questo, perché noi abbiamo una cultura e una visione di insieme che gli altri non hanno. Non serve andare negli USA per trovare PS a gestione completamente “Emergenzistica”: Mattia Quarta potrebbe parlarti della sua esperienza al PS di Padova, ad esempio. Le strade sono già segnate, si tratta solo di percorrerle e di “farle nostre”.
      Quindi a chi ti dice che siamo adatti solo ai codici bianchi rispondi di pazientare altri 5 anni e poi ne riparleremo quando il cambiamento sarà più esteso.

      Finita la (lunga) premessa, parliamo delle scuole. I primi emergenzisti sono usciti l’anno scorso, tutte le scuole di specializzazione sono gestiti da professori di stampo internistico che, chi più chi meno, hanno modificato in corsa i propri piani didattici che, pur essendo lungi dall’essere perfetti, sono nettamente migliorati. Come CoSMEU (siamo l’unica scuola di specializzazione che abbia un coordinamento di specializzandi che collabora con i direttori di scuola per cambiare i piani formativi) abbiamo ideato e proposto ai direttori un piano formativo ideale che vede un tronco comune medico (6 mesi) e uno anestesiologico/intensivistico (almeno 8 mesi) per forgiare le competenze del nuovo specialista in ambiente critico. Ci stiamo lavorando. Molti di noi sono stati all’estero e non hanno sfigurato al confronto con figure ben più consolidate (ad es. Stefano Sartini lavora a Londra presso il Barts Trust e Anastasia Dessena lavora in Francia – entrambi con profitto, entrambi specialisti MEU).

      Non serve un anestesista per gestire un politrauma. Potrebbe servire un anestesista per aiutare nella gestione delle vie aeree del politrauma. Non serve un chirurgo toracico per un drenaggio, potrebbe servire se si prevede un drenaggio difficile. Non serve un anestesista per una sedazione procedurale o per una RSI, non serve un radiologo per un’ecografia point of care, non serve l’intensivista per un CVC o per una linea arteriosa. Le scuole MEU non sono ancora mature (non siamo ANCORA il Regno Unito o gli USA), ma è l’unico modo per diventare un medico di Emergenza e non appena passeranno in mano a specialisti, le cose cambieranno ulteriormente – puoi scommetterci.

      Ecco, scommessa è il termine giusto. Se vuoi essere un Medico di Emergenza devi scommettere 5-10 anni della tua vita, in attesa che il cambiamento avvenga (ed essere tu stesso parte di esso), altrimenti puoi scegliere una carriera alternativa (sia l’anestesista che l’intensivista sono due lavori molto belli, ma non sono medici di emergenza, si occupano di altro) e rimpiangere l’idea di aspettare un codice rosso in Resus Room o di uscire con l’auto medica su un incidente stradale a dinamica maggiore. Devi scegliere – per tornare al titolo dell’articolo di Alessandro. Io ci ho scommesso e, onestamente, non me ne pento neanche un po’. Rifarei questa scelta ogni singola volta.

      Per ulteriori domande e dubbi, non esitare a contattare me o uno degli altri ragazzi di CoSMEU. Noi ci siamo 😉

      Ciao!
      M.

      • Ciao Matteo, grazie per la risposta super esaustiva!
        Sono convinto che con una preparazione adeguata e una mentalità orientata al cambiamento ci potrà essere davvero un miglioramento, citando l’articolo, tutto a vantaggio del paziente, e a beneficio di chi sceglierà questo lavoro per passione.
        Grazie ancora per la disponibilità e cortesia e in bocca al lupo per la tua carriera!!

      • Caro Matteo,
        avrei qualche dubbio e approfitto della tua disponibilità.
        Vorrei chiederti, dove hai frequentato la scuola? È una delle realtà già affermate sul territorio italiano?
        In particolare dovendo e potendo scegliere di concorrere per più sedi sparse sul territorio vorrei, come si dice dalle mie parti, “affogare dove c’è dell’acqua”.
        Le scuole sono gestite da professori di stampo internistico; chi più chi meno stanno adeguando il piano didattico secondo le competenze che la scuola dovrebbe dare allo specialista..quello che vorrei evitare come la peste è finire in una scuola di stampo troppo internistico, quindi turni in lungodegenze, geriatrie etc.. dove le competenze di tipo emergenzistico/intensivistico sono messe in secondo o terzo piano.

        Ti ringrazio davvero tanto per ogni risposta che potrai darmi.

  9. Sono anche io un (ex, da pochissimo) studente di medicina;
    che dire, anche io sono stato felicemente colpito dalla medicina d’emergenza, sia grazie alla breve esperienza in PS (tra l’altro, quello gestito dal fortissimo Carlo d’Apuzzo) sia grazie a questo blog.

    E’ una medicina bella, stimolante, che riesce ad evitare secondo me i due grossissimi baratri della medicina moderna (parlo dal punto di vista di futuro medico, non come paziente): il reparto cronicario in cui vengono relegati i casi disperati senza più terreno su cui agire, e le iperspecialistiche in cui ci si scorda qualunque minima nozione clinica dopo 1 settimana.

    Detto questo; fino a qualche mese fà mi dicevo: “io da grande (??) se potessi sceglierei cardiologia, medicina interna o medicina d’urgenza.”
    Poi, ho avuto il (dis)piacere di guardare il numero di posti in specialità, pari a 40 e rotti posti.
    In tutta Italia, su tutto il territorio italiano ogni anno escono 40 specialisti in medicina d’urgenza, a fronte dei 300-400 richiesti dal territorio.
    40 posti, a fronte di 1360 richiedenti (per carità, magari molti hanno provato giusto per sfidare la sorte).
    40 fortunati, che saranno “costretti” a lavorare esclusivamente in ambito pubblico, in un pubblico che si stà sempre più disfacendo (blocco del turnover uber alles).

    Ora mi chiedo e chiedo a voi, il gioco vale la candela? La passione è tanta, ma le difficoltà mostruose. Ha senso rischiare di scegliere una specialità, lavorare, studiare 4-5 anni e poi ritrovarsi a fare guardie mediche? La rivoluzione della medicina d’emergenza se avvenisse la accoglierei a braccia aperte, nulla di più bello che esser trattati da uno specialista dell’emergenza, e non arrivare con un IMA che viene trattato da un fisiatra.

    Perdonate il mio pessimismo cosmico, ma da giovane medico non vedo grosse prospettive per il futuro lavorativo, e per questo chiedo la vostra opinione.

    P.S.: pollice in su al disco.
    P.P.S.: in America sponsorizzano le scuole di specialità?? Qui si cerca di non parlarne per evitare che il tuo vicino possa rubarti il posto… che tristezza infinita

    • Come ha scritto Matteo Borselli in un commento precedente, la scelta della MEU si basa su una scommessa. La posta è alta, ma, credimi, il rischio per chi scomette è basso. Non pensare di scegliere questa strada per poi fare un altro lavoro, perché le strutture di pronto soccorso al momento hanno e avranno bisogno di personale. Il problema dei posti di specializzazione è consistente, e hai ragione a sottolinearlo: quando ho iniziato (da internista) pensavo che una specializzazione MEU non servisse, perché la medicina interna mi sembrava in grado di fornire in mattoni necessari per apprendere un lavoro nuovo ma nel complesso simile. Mi sbagliavo: ormai sono convinto che la specializzazione permetterà una omogeneità di comportamento e una identità unica e forte, che adesso esiste solo a macchia di leopardo. Ma, credimi, alcuni dei migliori medici d’emergenza che abbia mai visto (e dai quali tanto ho imparato) erano chirurghi (e avrebbero potuto essere fisiatri): finché non ci sarà una adeguata copertura di posti, sarà inevitabile ricorrere ad altre specializzazioni, ma è la testa delle persone a farne dei buoni (o cattivi) medici d’emergenza

      • Assolutamente d’accordo con lei, il paragone con la fisiatria non era assolutamente per screditare una classe professionale, ma solamente perchè è generalmente vista come molto lontana da un ambito di emergenza.
        Io farei questa scelta per lavorare in un PS, il mio obiettivo è quello; l’enorme problema non è assolutamente chi ci lavora dentro, quanto il fatto che la rivoluzione della MEU richiede un valido sostentamento (ahimè) economico e una totale riorganizzazione di questo settore della sanità pubblica, cosa di cui si è discusso più volte.
        La ringrazio, cercherò di valutare come giocare le mie carte nei prossimi anni, ringrazio anche Matteo Borselli e come sempre questo blog.

        • Avevo capito l’intervento, e avevo capito che non volevi screditare nessun professionista! In effetti, la fisiatria è piuttosto lontana dal nostro ambito. Sulla parte economica concordo mestamente con te, ed è un problema non da poco. I professionisti dell’emergenza non possono svolgere nessun’altra attività aggiuntiva di tipo privato (e, del resto, non credo vorrebbero svolgerla: di solito, i medici MEU, una volta smontati, si occupano di altro), e il carico di lavoro (come numero di prestazioni, numero di notti) ha pochi confronti nell’ambito sanitario. Uno stipendio migliore potrebbe essere un’attrattiva non indifferente.
          Un’ultima cosa: non darmi del lei!

  10. Buona giornata a tutti, a distanza di otto anni credi che questo Topic sia ancora molto attuale. Nel mio caso, sono un Internista che, non avendo altre opportunità di lavoro in Italia o all’ estero, sono stato assunto in un Pronto Soccorso e ancora grazie che abbia trovato questa opportunità di lavoro. Devo dire, però, che il “ruolo unico di Pronto Soccorso” presuppone che TUTTI i medici che vi lavorano siano appositamente formati, cosa che non è vera. Io in Specialità non ho mai fatto ecografie bed side, se non in un breve periodo al terzo anno, non ho mai praticato toracentesi/paracentesi né mai suturato ferite. Una volta in PS ho dovuto improvvisare e devo ringraziare gli specializzandi “grandi” MEU che sono stati preziosissimi e molto spesso hanno fatto loro tutto questo con perizia. Quando vi è una/un Paziente con elevazione Troponina e segni di possibile IMA -> chiedo il parere del/-la Cardiologa/-a, quando c’è una IRA -> nefrologo/-a, per le IRA ostruttive chiamo l’ Urologo/-a… e così via, come mi sembra giusto, che scrivano quello che si deve fare e io lo faccio. A un be momento, penso, ognuno deve fare il suo mestiere.

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