mercoledì 15 Gennaio 2025

“Sconosciuto giugno”

 

La mattinata viene interrotta come spesso accade dall’inconfondibile trillo del telefono rosso del 118, quel suono inequivocabile che inconsciamente fa’ aumentare la frequenza cardiaca a tutti noi.

La centrale preallerta dell’arrivo di un paziente in arresto. Le informazioni iniziali sono frammentarie: quello che è certo è che la chiamata era partita come richiesta di soccorso per dispnea e durante il corso della missione il paziente è andato in arresto, e che si tratta di un ragazzo giovane.

“Sconosciuto Giugno” è un ragazzo di età apparente intorno ai 30 anni, e al di là delle chiare origini nordafricane non si sa nulla. Non ci sono parenti, non ci sono informazioni anamnestiche. Ha chiamato il 118 lamentando difficoltà respiratoria ed è andato in arresto poco dopo l’arrivo dell’ambulanza; i soccorritori di base hanno iniziato la RCP ed applicato il DAE che ha erogato due scariche. Il personale dell’automedica ha intubato il paziente, ha somministrato adrenalina e proseguito con ulteriori scariche. Ciò nonostante il paziente è rimasto in arresto, alternando FV recidivanti a tratti di PEA.

In PS questa situazione continua: il paziente alterna episodi di FV, che rispondono alla defibrillazione, a tratti di PEA. Il massaggio cardiaco è efficace, come dimostrato dalla EtCO2 buona e dagli occasionali movimenti di gagging o addirittura di gasping che il paziente manifesta in corso di massaggio; in due occasioni due spike della end-tidal a 50 mmHg fanno sperare nel ROSC ma questi cominciano rapidamente a scemare non appena viene sospeso il massaggio. La ricerca di cause correggibili non sortisce risultati: gli ioni sono in range, non c’è pneumotorace né versamento pericardico, il ventricolo destro non è dilatato.

Ci troviamo di fronte ad un dilemma: il paziente ha chiaramente ricevuto una rianimazione ottimale, anche grazie al fatto che l’arresto è avvenuto in presenza del personale sanitario, e le chance di ottenere un outcome neurologico favorevole sono solide; tuttavia siamo a corto di cartucce da sparare. Nel sospetto di una SCA si potrebbe cercare di trattare la lesione colpevole interrompendo verosimilmente il quadro di instabilità elettrica del paziente, ma in queste condizioni una coronarografia non è contemplabile. E se invece si trattasse di una miocardite? O di un’intossicazione? Con un adeguato supporto queste condizioni possono regredire, ma come garantire un supporto adeguato ad un cuore che continua ad andare in FV?

VENIAT ECMO!!!

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L’ECMO (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation) è una tecnica di circolazione extracorporea che permette, previa cannulazione centrale, di vicariare la funzione di cuore e polmoni attraverso l’utilizzo di una membrana (che permette di “arterializzare “il sangue venoso) ed una pompa (che ne permette la reimmissione in circolo). Mentre nell’ECMO veno-venoso l’output cardiaco viene garantito dal paziente stesso e la macchina si limita a fornire un’adeguata ossigenazione e rimozione della CO2 al sangue venoso che riceve, nell’ECMO veno-arterioso la macchina vicaria anche la funzione della pompa cardiaca.

L’idea di utilizzare l’ECMO veno-arterioso nel supporto di pazienti in vero e proprio arresto cardiaco non è, in verità, nuovo. Nel 2011 i colleghi giapponesi hanno presentato la loro esperienza nell’uso di questa metodica: i primi dati disponibili erano della prima metà degli anni 801!!!! Tuttavia, come in molti altri ambiti, è stato il progresso della tecnologia, con macchine sempre più “semplici” e “portatili” a rendere più praticabile questa strategia: la cateterizzazione percutanea è diventata sempre più utilizzata e resa ancora più semplice dalle tecniche ecoguidate, le macchine sono diventate più piccole e trasportabili, ed è ora possibile eseguire il priming in anticipo così da essere pronti a partire non appena eseguita la cannulazione, risparmiando molto tempo.

Uno studio condotto a Taiwan ha confrontato 60 pazienti con arresto cardiaco intraospedaliero di verosimile origine cardiaca in cui era stato posizionato l’ECMO con una coorte di pazienti in cui era stata eseguita una rianimazione tradizionale: i pazienti posti in ECMO avevano una sopravvivenza maggiore sia alla dimissione sia a 30 giorni2.

In uno studio retrospettivo in un centro statunitense con esperienza decennale di ECMO la percentuale di sopravvissuti a 30 giorni era pari al 26%, e saliva al 31% per i pazienti in arresto cardiaco da SCA. E’ interessante notare peraltro che il 50% dei sopravvissuti era vissuto per più di 9 anni al momento della pubblicazione dello studio3.

Anche l’outcome neurologico era migliore, come dimostrato dalla maggiore prevalenza di CPC score 1 o 2 nei sopravvissuti che avevano ricevuto l’ECMO. Peraltro tale trattamento è sinergico con l’applicazione dell’ipotermia terapeutica, dato che permette di raggiungere la temperatura target in maniera più rapida rispetto ai metodi di raffreddamento superficiale1,2,4,5.

Detto questo è doveroso fare qualche precisazione:

  • la prima è che l’ECMO non rappresenta una terapia per l’arresto cardiaco ma un bridge per permettere di instaurare la terapia appropriata. Nello specifico le sopravvivenze migliori si sono dimostrate negli arresti da SCA proprio perché una volta posti in ECMO i pazienti potevano essere avviati alla coronarografia; analogamente sono buoni candidati alla sopravvivenza i pazienti in arresto a causa di overdose da farmaci o da miocardite, dato che in questo caso il tempo stesso porta ad una risoluzione del quadro. La premessa di base per posizionare un ECMO in corso di arresto è dunque perlomeno il sospetto di una causa reversibile.

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Bellezzo JM; Resuscitation 2012;83:966

  • Il secondo punto è ovviamente la relativa difficoltà della metodica: nonostante l’avvento di macchine sempre più semplici e portatili e l’utilizzo di tecniche di cannulazione percutanea, posizionare e poi gestire un ECMO rimane una procedura complessa che richiede il coinvolgimento e la pronta disponibilità di personale adeguato in termini di numero e preparazione. Non dimentichiamoci poi che contemporaneamente bisogna che qualcuno continui la rianimazione convenzionale fino a che l’ECMO non sia in funzione!
    Il tempo medio tra l’insorgenza dell’arresto e l’inizio del supporto extracorporeo si attesta intorno ai 60 minuti in tutti gli studi disponibili. Tuttavia questi stessi studi dimostrano che con la giusta organizzazione si può fare, selezionando la strategia che più si adatta al modello ospedaliero di cui facciamo parte: in alcuni setting l’ECMO è posizionato dai chirurghi vascolari, in altri dai medici d’emergenza, in altri ancora dagli intensivisti… ed a Parigi l’ECMO viene posizionato addirittura in ambiente extrasopedaliero6!!

SAMU Paris

Se ci sono riusciti loro in un’ambulanza perché non dovremmo farcela noi nei nostri dipartimenti di emergenza? 😉

E il nostro paziente? E’ stato posto in ECMO ed avviato alla coronarografia, che ha dimostrato una dissezione aortica con coinvolgimento dell’ostio coronarico. La dissezione è stata considerata troppo estesa e non correggibile e per tale motivo il supporto ECMO è stato terminato ed il paziente è deceduto. Ma anche se in questo caso è mancato il lieto fine l’importante è averci provato ed aver dimostrato che si può fare….

BIBLIOGRAFIA

http://edecmo.org/

  1. Morimura N,  Sakamoto T,  Nagao K,  Asai Y,  Yokota H,  Tahara Y,  Atsumi T,  Nara S, Hase M:  Extracorporeal cardiopulmonary resuscitation for out-of-hospital cardiac arrest: A review of the Japanese literature. Resuscitation 2011; 82: 10-14 (link)
  2. Chen Y,  Lin J,  Yu H,  Ko W,  Jerng J,  Chang W,  Chen W,  Huang S,  Chi N,  Wang C,  Chen L,  Tsai P,  Wang S,  Hwang J, Lin F:  Cardiopulmonary resuscitation with assisted extracorporeal life-support versus conventional cardiopulmonary resuscitation in adults with in-hospital cardiac arrest: an observational study and propensity analysis. The Lancet 2008; 372: 554-561 (link)
  3. Shinar Z,  Bellezzo J,  Paradis N,  Dembitsky W,  Jaski B,  Mallon W, Watt T:  Emergency Department Initiation of Cardiopulmonary Bypass: A Case Report and Review of the Literature. J Emerg Med 2012; 43: 83-86 (link)
  4. Johnson NJ,  Acker M,  Hsu CH,  Desai N,  Vallabhajosyula P,  Lazar S,  Horak J,  Wald J,  McCarthy F,  Rame E,  Gray K,  Perman SM,  Becker L,  Cowie D,  Grossestreuer A,  Smith T, Gaieski DF:  Extracorporeal life support as rescue strategy for out-of-hospital and emergency department cardiac arrest. Resuscitation 2014; 85: 1527-1532 (link)
  5. Nichol G,  Karmy-Jones R,  Salerno C,  Cantore L, Becker L:  Systematic review of percutaneous cardiopulmonary bypass for cardiac arrest or cardiogenic shock states. Resuscitation 2006; 70: 381-394 (link)
  6. Lebreton G,  Pozzi M,  Luyt C,  Chastre J,  Carli P,  Pavie A,  Leprince P, Vivien B:  Out-of-hospital extra-corporeal life support implantation during refractory cardiac arrest in a half-marathon runner. Resuscitation 2011; 82: 1239-1242 (link)
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Giacomo Magagnotti
Giacomo Magagnotti
Specialista in Medicina d'Emergenza-Urgenza C.O.P. SUEM 118 Mestre-Venezia Twitter @docjmaga Google+: + Giacomo Magagnotti

22 Commenti

  1. Il problema che l’ECMO pone è logistico ma anche culturale. Mai come in questi scenari si deve agire in maniera interdisciplinare. Data la velocità necessaria la coordinazione è indispensabile. Tuttavia c’è ancora un considerevole sfasamento di atteggiamento tra noi emergentisti e le figure specialistiche coinvolte. Sebbene si sia partiti c’è ancora molto lavoro da fare. Non ultimo avremmo bisogno di più risorse logistiche sia in termini di materiali che di personale per riuscire a garantire la funzione dell’area rossa quando si attiva la procedura.
    Bel post! Grazie Giacomo.

    • Ciao Mattia! Centri un punto fondamentale ovvero l’impegno interdisciplinare richiesto da questa metodica…benché siano riportati in letteratura esempi di modelli “All ED” (San Diego ne è un esempio) dove l’ECMO è posizionato dai medici d’emergenza e gestito dagli infermieri di PS (compreso il ruolo che da noi svolge il perfusionista), questo tipo di organizzazione è pensabile solo in un contesto ad altissimo numero di personale come è quello dei grandi PS statunitensi. Nel contesto italiano un tale approccio è impensabile, perché porterebbe ad una paralisi dell’area rossa (o forse di tutto il PS! :-D). Peraltro mai come in questa situazione credo che il coinvolgimento precoce degli altri specialisti che poi continueranno la gestione del paziente sia fondamentale… resta il problema di condividere prima di tutto i modelli mentali, che restano spesso troppo diversi (a partire dal concetto di cosa significhi espletare una procedura urgente!).

      • Bel post Giacomo!
        Ci sono più ordini di problemi per arrivare all’ “EDEcmo”, secondo me. Il primo è culturale (“è stato così, sarà sempre così”): nella mia vecchia realtà per montare l’ECMO devi chiamare l’intensivista, i perfusionisti e il cardiochirurgo –> in Resus ti ritrovi 70 persone ed il delirio. Tra parentesi, in molte realtà ti trovi a dover litigare con gli anestesisti perché metti un CVC o una linea arteriosa, figuriamoci iniziare a parlar loro di ECMO! Spero, con calma, che la rivoluzione culturale del medico di emergenza-urgenza porti i suoi effetti (ci siamo dati 10 anni circa).

        Il secondo è economico: mancano i fondi per addestrare il personale ma, soprattutto, per assumerlo. Non è pensabile di poter mantenere tutte le competenze di un MEU se un PS da 50.000 accessi annui viene retto da 4 strutturati durante il giorno e 2 durante la notte con scarso o assente apporto degli specializzandi che vengono tenuti a svernare nelle medicine. Inoltre anche il personale infermieristico andrebbe plasmato e professionalizzato: dopo aver visto gli emergency nurse practitioner all’opera, non vedo perché non iniziare ad addestrarli pure qui: sono bravi, efficienti e cost effective! Se il PS riesce a vivere anche senza di te, allora puoi metterti a fare procedure che ti portano via molto tempo, altrimenti la vedo difficile.

        Al di là di considerazioni varie ed eventuali, nella foto che hai pubblicato c’è solo una cosa che stona: il personale che fa la CPR! Nella mia nuova realtà gli arresti vengono gestiti con l’autopulse, il che rende tutto molto più bello e più facile!

        • Ciao Matteo, grazie per i commenti!
          Effettivamente l’applicazione dell’EDECMO prevede alla sua base l’esistenza di un sistema di emergenza consolidato (a prescindere dal fatto che la gestione del paziente critico sia fatta dagli intensivisti o dai medici d’emergenza); inutile lanciarsi verso le vette se le basi non ci sono.
          Concordo pienamente con l’utilizzo dell’Autopulse (o del LUCAS per essere equidistanti); benché in generale tali dispositivi non si siano dimostrati migliori della RCP manuale in questo contesto sono di sicuro aiuto, anche perché ti permettono di ridurre il numero di personale di cui hai bisogno in area rossa.

  2. Ma nel caso di questo paziente, chi ha fatto cosa,..dove …e in quanto tempo avete avviato la circolazione extra? Per un totale di quante persone impegnate?

    • Nel caso specifico due medici d’emergenza hanno gestito la rianimazione del paziente, cardiologo e cardiochirurgo (preventivamente allertati) hanno valutato con noi l’indicazione al posizionamento dell’ECMO. Una volta deciso di procedere il paziente è stato trasferito in sala emodinamica dove il paziente è stato preso in carico dall’anestesista di guardia del blocco cardio ed il cardiochirurgo insieme ad uno specializzando hanno posizionato l’ECMO; ovviamente era presente anche il perfusionista.
      Il tempo di low-flow (quindi di massaggio cardiaco) dal momento dell’arrivo in PS è stato di poco meno di un’ora, a cui ovviamente va aggiunto anche il tempo di arresto sul preospedaliero (in questo caso di pochi minuti). Sicuramente non si può considerare una procedura a basso utilizzo di risorse!!!

  3. Giacomo, grazie di questo post che credo apra un mondo per molti medici di pronto soccorse e benvenuto su empills!
    Concordo con molti dei precedenti commenti che innanzitutto dovremmo cominciare a considerare l’ECMO come una possibilità terapeutica, certo da applicare in casi selezionati e a condividere un percorso comune con altri specialisti per renderla fattibile nelle realtà dotate di questa risorsa.

  4. A mio avviso è maggiore il problema della esiguita’ di risorse ormai presente in tutti i nostri ospedali e la troppa diversità di specialistici presenti in guardia tra un H e l’altro. Noi abbiamo in Italia una rosa di strutture che vanno dai primi livelli (quelli che non hanno quasi nulla di specialistico – e sono troppi!), ai secondi livelli con diverse specialistiche ma non tutte , ai terzi livelli dotati di tutto ma anch’essi ormai sempre più poveri di personale. È chiaro che nei primi e in molti secondi livelli è inapplicabile una procedura del genere. La nostra realtà sanitaria non è confrontabile con l’estero per questo motivo. Per quel che riguarda il discorso culturale , devo dire personalmente non lo ritengo così grave, ma senz’altro deriva dalla mentalità prettamente italiana della coltivazioni dei propri orticelli, presente in tutti gli ambiti (soprattutto non medici). Per finire non capisco la polemica sui CVC /arterie ed anestesisti…ma ogni realtà ha i suoi problemi, questo lo posso immaginare

    • Arianna non è una polemica, è una constatazione circa l’ECLS gestito dai medici di emergenza. E’ una realtà in (pochi, in verità) luoghi dove la figura dell’EP è stabilita e consolidata, da noi – allo stato attuale delle cose – è improbabile, visto che anche le procedure più semplici nella maggior parte dei PS sono evitate oppure osteggiate. Spero di avere chiarito – nessuna verve polemica, se non con i miei (spesso pigri) colleghi di PS 😉

    • Cara Arianna, concordo sul fatto che questa è una procedura pensabile per i luoghi che ne hanno le risorse… inutile profondere energie ed impegno in una procedura di questo tipo se poi non c’è dietro la struttura per continuare il supporto necessario. Tuttavia negli ospedali di terzo livello le risorse necessarie di solito ci sono; potenzialmente una rete di supporto in cui lo specialista può andare ad assistere il paziente necessitate o già in ECMO direttamente nell’ospedale spoke per poi centralizzarlo all’HUB potrebbe rendere questa metodica applicabile anche agli ospedali più piccoli. La Lombardia sta da alcuni anni lavorando ad una rete di questo tipo.
      Per quanto riguarda la grande disparità di risorse (ed expertise aggiungo io) tra i nostri ospedali ti posso assicurare che non è un problema solo italiano… dopo aver girato in lungo e in largo il New South Wales per centralizzare pazienti critici ti posso assicurare che anche paesi che consideriamo, a torto o a ragione, “più avanzati” di noi hanno le loro belle gatte da pelare in questo senso ed anzi paradossalmente trovo che, almeno qui nel nord Italia, riusciamo a garantire un livello minimo di prestazioni molto migliore che “down under”. Se abbiamo un difetto nazionale è piuttosto quello di considerarci sempre molto peggio di quello che invece siamo! 😀

  5. beh …è confortante l’ultima cosa che hai scritto.
    Riguardo l’ipotesi che uno specialista (cardiochirurgo? e tecnico perfusionista?) lasci il suo H per andare in un altro di secondo livello reputo cosa impossibile. Nessuna struttura abbonda di personale e se il guardiano (di solito unico) se ne va , cosa fa?chiama dentro il reperibile..ma se poco dopo entra in paz che deve essere portato di corsa in sala cardiochir? chi lo opera?rimane un solo chirurgo! (soprattutto di notte e festivi). idem il perfusionista. ..di solo unico in reperibilita’….
    Eppoi almeno nella mia regione (Friuli) nessun specialista si può muovere dal suo nosocomio.

  6. Beh, è confortante quello che hai scritto alla fine.
    Sono invece molto scettica sulla eventualità di far andare gli specialisti (cardiochir e perfusionista) fuori dal proprio H verso uno di secondo livello. Considera che in guardia nelle ore notturne e festive c’è di solito solo un medico. Se questo si dovesse spostare, dovrebbe chiamare il suo reperibile a sostituirlo (o mandare lui via): ma lascerebbero scoperta la sala operatoria per le emergenze/urgenze cardiochirurgiche (senza il secondo chirurgo e senza il perfusionista). È chiaro che ciò non è possibile.
    Comunque credo che in un pronto soccorso non sia possibile attuare una procedura così complessa , dove peraltro devono ruotarvi diverse figure professionali.
    Al di là di tutto, è un peccato. La ECMO sarebbe una interessante risorsa da tentare nei casi in cui i soccoritori siano stati testimoni dell’arresto e abbiano avviato una corretta e avanzata rianimazione, dando possibilità di esclusione di danni neurologici da anossia.

  7. ho letto, grazie. Mi pare di aver capito che sono equipe di specilisti dedicati a questo progetto che lavorano in regime di libera professione? Dunque non i medici in quel momento di guardia. Giusto?

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