domenica 6 Ottobre 2024

La sedazione del paziente ventilato con COVID-19

La sedazione del paziente con COVID-19, se ventilato, può costituire una necessità ma dobbiamo essere ben consci dell’ambito in cui ci stiamo muovendo.

Qual è questo ambito?

lo conosciamo tutti, ed è una situazione instabile ed evolutiva, che cambia davanti a noi ogni giorno, se non ad ogni ora, in cui possiamo passare da situazioni con elevata pressione a situazioni di autentica crisi.

E cosa accade, durante le crisi?

che ci si deve adattare, cambiando organizzazioni e comportamenti, e dovendo gestire ogni aspetto con le risorse disponibili. Parlando di sedazione, le risorse possono mancare, per l’elevata richiesta, e questo può costituire un primo problema. Ma ne esiste un altro, ben più significativo, ed è legato all’esperienza degli operatori.

Tutti noi siamo portati ad utilizzare i farmaci che conosciamo meglio. E quale farmaco viene istintivamente utilizzato per una sedazione lieve di un paziente con agitazione psicomotoria in corso di una qualsiasi tipo di ossigenoterapia?

Il midazolam, o le benzodiazepine in particolare.

Ovvero i farmaci con attività GABAergica che causano più frequentemente delirium, oltre che compromettere la dinamica respiratoria.

Come possiamo risolvere la situazione?

La sedazione in medicina d’emergenza è una pratica complessa, e ancora di più la sedazione del paziente ventilato. In questo post affrontiamo la questione da un punto di vista generale, fornendo alcune indicazioni di massima. Teniamo conto però che le linee guida parlano di sedazione nel paziente sottoposto a ventilazione invasiva, e di certo non possiamo consigliare di utilizzare il propofol in un paziente ventilato con CPAP. Però, come vedremo, le stesse linee guida forniscono indicazioni essenziali, che possono e devono essere utilizzate anche nel paziente con COVID-19 sottoposto a ventilazione non invasiva.

Perché la sedazione a volte è necessaria: se il paziente è molto agitato, se non collabora, rischiamo di compromettere i nostri sforzi, oltre che assistere ad un aumento del consumo di ossigeno che è l’ultima cosa che vorremmo vedere.

Perché le linee guida della sedazione del paziente ventilato ci possono aiutare?

Forniscono alcuni elementi imprescindibili, che possono essere applicati in tutti i pazienti sottoposti a ventilazione non invasiva.

Il primo obiettivo è sempre l’analgesia.

Infatti, gli autori preferiscono parlare di ANALGO-SEDAZIONE, perché il primo passo è sempre il controllo del dolore: uno scarso controllo del dolore, infatti, può avere conseguenze molto serie, come l’aumento del consumo di ossigeno e l’ipotensione per effetto vagale.

Il secondo obiettivo è cercare di mantenere il livello minimo possibile di sedazione, perché sedazioni più profonde possono compromettere l’attività respiratoria e richiedere una gestione avanzata delle vie aeree.

Il terzo obiettivo è fondamentale, sebbene non sempre sia percepito come tale, e riguarda la prevenzione del delirium.

Quindi, ricapitolando: analgesia come primo passo, cercando di mantenere la sedazione al livello minimo possibile, e prevenendo al contempo il rischio che il paziente sviluppi delirium.

Facile? Possibile?

E’ applicabile nel paziente con COVID-19, al quale abbiamo posizionato un casco per CPAP con una PEEP alta, e magari lo sottoponiamo a ventilazione in posizione prona, tutte condizioni che si associano a dolore?

In realtà, tutti i tre obiettivi possono essere raggiunti con una categoria di farmaci vecchia come il mondo, e anche del tutto economici.

Gli oppiacei.

Sono potenti analgesici, titolabili e in genere anche con breve emivita. Inducono sedazione lieve. E, come ci dimostra la letteratura, contrastano con il delirium, essendo in genere una conseguenza dell’oligoanalgesia.

Quindi, sì, anche il paziente sottoposto a CPAP può essere sedato se necessario, iniziando con gli oppiacei, ed evitando invece le benzodiazepine, ed il midazolam, che invece compromettono maggiormente la dinamica respiratoria del paziente e si associano, come abbiamo visto, a delirium.

Perché?

i motivi sono tanti, ma è indubbio che l’effetto amnesico che inducono possa contribuire a questo fenomeno che si associa ad un netto peggioramento della mortalità dei pazienti. Quale oppiaceo dobbiamo usare? si deve optare per un farmaco a breve emivita, che ci permetta di titolarlo sulla base della risposta che vogliamo ottenere.

Se parliamo di bolo, l’opzione migliore è costituito dalla morfina, la cui emivita di circa 2 ore (che aumenta negli anziani e nei pazienti con insufficienza epatica o renale), ci permette di avere una azione di una quache utilità clinica. Il fentanyl, per esempio, se usato in bolo ha emivita brevissima e pertanto richiederebbe somministrazioni ripetute.

La morfina in bolo può essere utilizzata ad una dose di 0.05 mg/kg, titolando con boli successivi dimezzati rispetto al primo. Può essere utilizzata anche in infusione continua, per esempio 30mg in 500 ml di soluzione fisiologica nelle 24 ore (a 21 ml/h) che corrisponde a circa 1mg di morfina all’ora. Questa infusione può essere variata a seconda della risposta e delle necessità cliniche.

Per le infusioni continue sono però preferibili farmaci a breve emivita come il fentanyl e il remifentanil. Il fentanyl, alla dose di 0.7-1 mcg/kg/h, titolando sulla base della risposta, o il remifentanil. con un carico di 1.5 mcg/kg seguito poi da una infusione da 0.5-1.5 mcg/kg/h, anche in questo caso incrementabile. Il problema principale del fentanyl è la sua farmacocinetica, ossia la sua distribuzione nel tessuto adiposo che ne causa aumenti di emivita: rispetto ai circa 20 minuti di bolo, una infusione di circa 14 ore porta a 300 minuti di emivita, che può diventare problematico.

Il remifentanil, invece, proprio per la sua estrema brevità, non si associa a questo problema  ed è preferibile, tuttavia ha un costo maggiore e non è sempre disponibile.

E’ meglio il bolo o l’infusione?

non credo possa esistere una risposta univoca. L’infusione, in particolare del remifentanil, è indubbiamente più gestibile e titolabile, ma richiede un monitoraggio molto attento del paziente. La somministrazione della morfina in bolo rappresenta un ottimo compromesso, da un punto di vista gestionale, ma il controllo clinico e della dinamica respiratoria (prima ancora che il saturimetro) sono essenziali. L’infusione continua però può ugualmente determinare alcuni problemi come

  • il peggioramento del drive respiratorio se la dose diventa eccessiva
  • l’induzione di tolleranza, già a 48 ore dall’inizio dell’infusione
  • possibilità di sindromi astinenziali alla sospensione
  • induzione di stipsi con aumento della pressione intraddominale e peggioramento della dinamica respiratoria.

In acuto, tuttavia, nel paziente agitato con casco da CPAP costituiscono comunque l’opzione migliore.

Non dimentichiamo l’opiodi sparing effect del paracetamolo, che può ridurre fino al 20% la dose necessaria di oppiaceo…

…e di un altro farmaco, che ha azione analgesica, e che può portare ad un risparmio netto dell’oppiaceo:

la ketamina,

che può essere utilizzata alla dose analgesica di 0.15-0.3 mg/kg/h. La ketamina, di cui ci siamo occupati in molti post, anche come analgesico, ha il vantaggio di non compromettere la dinamica respiratoria, anzi ha azione broncodilatatoria e il suo uso dovrebbe essere più diffuso. Aumentando anche il dosaggio, e raggiungendo la dose dissociativa (2 mg/kg ev in carico e poi 1 mg/kg/h in infusione continua iniziale) è possibile anche ottenere una sedazione equiparabile alla profonda ma con conservazione dei riflessi protettivi delle vie aeree e della autonomia respiratoria del paziente: tuttavia le esperienze sulla NIV (e non sulla CPAP) sono del tutto aneddotiche e quindi si basano sull’esperienza dei singoli, e non possono essere fornite indicazioni EBM.

Ad oggi, se è necessaria una sedazione profonda, tutte le linee guida sono concordi sull’utilizzo di GABAergici, che deprimono l’attività respiratoria e ne richiedono un supporto esterno: propofol soprattutto, perchè con breve emivita anche per infusioni protratte e con minor tasso di delirium rispetto alle benzodiazepine. Ovviamente, questo richiede una gestione del paziente di tipo intensivistico e supera l’argomento di questo post.

Senza dubbio, però, la ketamina si dimostra una alternativa sicura ed efficace, che merita senza dubbio qualche studio dedicato.

E’ tutto?

No, c’è un farmaco molto promettente, che può fornirci un valido aiuto in questi pazienti, ed è la dexmedetomidina, un agonista adrenergico alfa 2 centrale: determina sedazione moderata senza compromissione della dinamica respiratoria, e senza determinare delirium, in quanto la sua azione sedativa sul locus ceruleus è in grado di determinare uno stato del tutto sovrapponibile ad un sonno naturale. Il suo problema principale è il costo, che è di gran lunga superiore a tutti gli altri farmaci. Le sue caratteristiche di efficacia e sicurezza sono molto interessanti: si inizia con un carico di 1 mcg/kg in un tempo di infusione superiore ai 10 minuti e poi si prosegue con infusione continua al dosaggio  di 0.2-1.5 mch/kg/h. Si possono osservare sindromi astinenziali alla sospensione, soprattutto per dosaggi superiori a 0.8 mcg/kg/h e per dosi cumulative giornaliere superiori a 13 mcg/kg.

Ricapitolando, l’approccio non può essere unico, ma deve basarsi sulle condizioni del paziente, sulla sua storia clinica, sulla comorbidità, anche sulle aspettative che abbiamo. Soprattutto deve rispettare il principio dell’analgosedazione, mantenendo al minimo il livello di sedazione nel paziente ventilato.

La situazione emergenziale legata al COVID ha portato ad una discrepanza notevole e drammatica tra il numero dei malati e le risorse disponibili, sia logistiche che umane. Questa situazione non deve andare a scapito dei pazienti,  e la analgosedazione costituisce una priorità clinica, prima ancora che etica. Non farla, o peggio farla in modo errato può avere conseguenze molto serie per i pazienti.

Ma esserne padroni, è essenziale.

Come ha scritto una volta Philippus Theophrastus Bombast von Hohenheim (il Paracelso):

“Le opere, non le chiacchiere, fanno il medico.”

Quindi, cerchiamo tutti insieme di capire cosa sia necessario mettere in pratica 

Alessandro Riccardi
Alessandro Riccardi
Specialista in Medicina Interna, lavora presso la Medicina d’Emergenza – Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Savona. Appassionato di ecografia clinica, è istruttore per la SIMEU in questa disciplina, ed è responsabile della Struttura di Ecografia Clinica d’Urgenza . Fa parte della faculty SIMEU del corso Sedazione-Analgesia in Urgenza. @dott_riccardi

10 Commenti

  1. Grazie per il bellissimo argomento trattato (come sempre in modo interessante ed esaustivo). Vorrei dare il mio contributo a proposito della dexmedetomidina.
    Nel mio centro la usiamo nei pazienti in NIV e CPAP da oltre 3 anni e, soprattutto adesso che abbiamo triplicato i posti di subintensiva, la stiamo usando parecchio. Da appassionato credo che questa molecola non abbia eguali nel nostro particolare setting visto il suo profilo di sicurezza ed efficacia. Negli anni non ho mai visto eventi sentinella mentre la bradicardia e l’ipotensione sono spesso gestibili “aggiustando” il dosaggio. Il problema resta la lentezza di insorgenza dell’effetto, anche perchè in Europa non credo sia approvato il bolo iniziale per via dei possibili effetti avversi, ma comunque la si può embricare con l’oppioide per i primi 15-20 minuti. Certo il costo è significativo ma credo che si ripaghi con i risultati. Spero che il prossimo passo sia iniziare con il remifentanil in subintensiva che, per la mia breve esperienza in rianimazione, sembra avere enormi potenzialità (dando per scontato che si parla di pazienti ben monitorizzati). Grazie ancora!

    • Grazie Davide! I commenti come questo sono essenziali, perché integrano, arricchiscono e danno un senso al post. Condivido tutto quello che hai scritto

  2. Ottimo articolo. Solo un commento sul remifentanil, attenzione al bolo/carico perché non è infrequente la rigidità muscolare con paralisi diaframmatica, inoltre l’effetto sull’emodinamica è molto piú marcato rispetto a altri oppiodi. Lascerei questo farmaco a un ambiente intensivistico. Per pazienti in NIV ottima la morfina e la dexmedetomidina come commentava il collega sopra. Saluti

    • Grazie per l’integrazione e per il commento. Indubbiamente, deve essere gestito da personale esperto nel suo uso e in un ambiente adeguato.

  3. Grazie per l’interessante articolo, preciso e puntuale come sempre.
    Mi permetto solo di ricordare che prima di pensare ad una sedo-analgesia o analgo-sedazione che dir si voglia, ritengo sia fondamentale chiedersi la causa dei problemi del nostro paziente: l’ipossia è un’ottimo motivo per l’agitazione, così come lo stesso delirium. Ottime tutte le opzioni citate, ma da usare nel momento in cui abbiamo analizzato che non siano altre le cause del discomfort del paziente.

    • Grazie per questo commento, e dell’integrazione, che ovviamente condivido. In effetti, la sedazione dovrebbe essere utilizzata solo quando è necessaria. E tutti gli autori sono concordi sull’iniziare sempre con l’analgesia. Teniamo però conto che molte procedure connesse alla ventilazione sono dolorose e questo è un punto su cui dobbiamo riflettere…

  4. Grazie per l’interessante articolo come sempre!

    Volevo anche io aggiungere il mio contributo a favore della dexmedetomidina. Lavoro spesso in sub-intensiva internistica e negli ultimi 6 mesi abbiamo avuto circa 450 pazienti covid (i posti sono stati triplicati a causa della pandemia).
    Almeno la metà dei pazienti con CPAP o posizione supina ha richiesto durante il ricovero una infusione del suddetto farmaco, spesso con ottimi risultati. Lo usiamo spesso dai 0,6 ai 1,2 ug/kg, non usiamo però i boli (in questo caso l’uso è riservato a anestesisti esperti). L’ipotensione si risolve spesso con basse dosi di noradrenalina ( spesso <0,1 ug/kg), raramente sono incorso in aritmie.

    Una alternativa interessante è la clonidina visto che agisce in maniera similare sullo stesso recettore alfa2, ma in pratica non la usiamo tranne in sala di emergenza.

    Come aggiunta usiamo piccoli boli di morfina al bisogno (sia ev che sc). Le benso le evitiamo come la peste invece! Vorremmo anche noi iniziare a utilizzare la ketamina (soprattutto x la sedazione in sala rossa) ma finora non ne abbiamo ancora avuto la possibilità!

    (Non ho conflitti di interesse)

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