Lo shock settico può essere considerato un prototipo dello shock distributivo. Sebbene nelle fasi avanzate vi sia un coinvolgimento complesso, a svariati livelli del sistema cardiocircolatorio, per un’adeguata comprensione dei cambiamenti emodinamici che avvengono in corso di sepsi, è indispensabile focalizzare l’attenzione sul ruolo spesso negletto del compartimento venoso.
L’attenzione clinica generalmente si focalizza sull’ipotensione mentre la formazione didattica è frequentemente sbilanciata sul compartimento arterioso e sull’attività ventricolare sinistra. Tuttavia la funzione del cuore è, secondo la legge di Starling, dipendente dal preload ovvero dal ritorno del venoso, e quest’ultimo è profondamente perturbato in corso di shock settico.
Le alterazioni circolatorie secondarie alla sepsi affliggono la responsività vascolare nel suo insieme ma determinano anche cambi qualitativi e quantitativi della funzione cardiaca. Il grado di coinvolgimento dei differenti compartimenti è molto variabile e questo comporta risposte imprevedibili e complesse del sistema cardiocircolatorio, sia nei diversi pazienti che nel singolo paziente cosiderato nell’arco temporale.
Uno stato di vasodilatazione, compensato da un elevato output cardiaco, contraddistingue le fasi iniziali della sepsi. L’aumentata richiesta metabolica, indotta dai mediatori d’infiammazione rilasciati, comporta in questa fase un incremento compensatorio del ritorno venoso e dell’output cardiaco.
Tuttavia, al progredire del processo, segue un esaurimento delle risposte neurormonali ed un conseguente stato di vasoplegia con un crollo dell’output cardiaco.
Sebbene la letteratura evidenzi chiaramente il fatto che la disfunzione cardiaca, sia sistolica che diastolica, entri in gioco in stadi precoci della sepsi, e meriti un’attenzione precoce, nonché, probabilmente, un trattamento, se protratta, le perturbazioni del compartimento vascolare sono il processo patologico inizialmente predominante.
In quest’ottica dobbiamo tenere conto del fatto che approssimativamente il 70%, del volume totale ematico, risiede nel compartimento venoso. Al contrario il compartimento arterioso ne contiene meno del 20% ed agisce più come un sistema passivo di conduzione che di regolazione. La vasodilatazione venosa, dove la maggior parte del volume ematico risiede, gioca pertanto un ruolo fisiopatologico decisivo. Essa, infatti, comporta un sequestro dal circolo di grandi quantità di volume e il consequenziale ridotto ritorno venoso è il primo determinante del calo dell’output cardiaco.
Il sistema venoso è il reservoir cui attingere volume da far partecipare al circolo o, come nel caso dello shock settico, il serbatoio in cui il contenuto ematico viene ad essere sequestrato.
Non tutto il volume ematico contribuisce al gradiente pressorio che determina il ritorno venoso. Del volume totale (Vt) una parte, che viene indicata con il termine di unstressed volume (Vu), non è coinvolta. Quest’ultima può essere anche identificata come il volume richiesto per riempire il sistema circolatorio senza causare alcun incremento dello pressione transmurale.
La rimanente parte del volume ematico è lo stressed volume (Vs), ovvero il volume che, aggiunto, determina la pressione di equilibrio nel sistema, cioè la pressione circolatoria media di riempimento (Pmcf) di cui abbiamo parlato nel post precedente.
Va da sé che Vt = VU + Vs.
Una rappresentazione visiva rende il concetto semplicemente intuibile immaginando il compartimento venoso come una vasca di capacitanza con un foro d’uscita posto ad un determinato livello di altezza.
La pressione media di riempimento del circolo, che determina il ritorno venoso verso il cuore, può essere immaginata come la pressione esercitata dall’altezza dello stressed volume.
Cosa succede nello shock settico? Attenendoci a questa semplificazione grafica la vasodilatazione venosa comporta un incremento del diametro della vasca con una conseguente riduzione del rapporto tra stressed/unstressed volume ed un calo della Pmcf.
Il ritorno venoso pertanto cala e proporzionalmente l’output cardiaco.
Il ritorno venoso può essere sostanzialmente modulato agendo su tre parametri:
-la compliance del sistema vascolare
-la resistenza del sistema vascolare
-l’aumento diretto della pressione media circolatoria di riempimento.
Quest’ultima è la modalità più semplice da comprendere e più frequentemente utilizzata in urgenza: la somministrazione di liquidi. Per rimanere all’esempio della vasca l’infusione di liquidi corrisponde all’aggiunta di volume al sistema.
Ad esempio l’early golad directed therapy prevede che le fasi iniziali del trattamento dello shock settico siano gestite tramite l’infusione di liquidi (un quantitativo minimo pari a 30 ml/kg di cristalloidi).
In caso di mancata risposta al riempimento è previsto il ricorso alle amine ed in particolare alla noradrenalina. L’effetto che si vuole ottenere da questa amina è anzitutto rivolto alla riduzione della capacitanza venosa al fine di incrementare lo stessed volume. Tuttavia essa agisce anche sulle resistenze vascolari complessive e di conseguenza sulla funzione cardiaca tramite l’incremento del post carico. Peraltro possiede anche un modesto effetto inotropo.
In effetti l’effetto ultimo della noradrenalina dipende dal fatto che la stimolazione dei recettori alpha determina, da una parte, un incremento della resistenza al flusso e una maggiore afterload per il cuore, dall’altra riduce la compliance del sistema venoso incrementando lo stressed volume e quindi il precarico. Sebbene il bilancio sia nella maggior parte dei casi a favore di un incremento dell’output cardiaco con un miglioramento della pressione arteriosa media, l’effetto ultimo non è sempre scontato, dipendendo dalla situazione di partenza del paziente.
Ad esempio un paziente che si trova già sulla parte di plateau della curva cardiaca di Starling potrà di poco incrementare il suo output cardiaco nonostante un aumento del preload indotto da un farmaco vasoattivo. L’output potrebbe addirittura essere inficiato da un peggioramento della funzione cardiaca conseguente all’aumento delle resistenze periferiche indotto dallo stesso farmaco.
Il fatto è che i farmaci vasoattivi agiscono contemporaneamente sulla resistenza vascolare e sulla compliance vascolare ma l’impatto è modulato dalle differenze intrinseche alle varie porzioni del compartimento vascolare ed in particolare dalle diverse caratteristiche di quello venoso e quello arterioso.
Se aumentare il tono dei vasi arteriosi comporta un incremento considerevole della resistenza, altrettanto non è vero per i vasi venosi in cui la resistenza aumenta modestamente, mentre si attua un considerevole riduzione della capacitanza complessiva con incremento dello stressed volume.
Peraltro anche il sistema venoso è difficilmente riducibile ad un compartimento omogeneo. Il circolo splancnico ad esempio è in grado di mobilizzare rapidamente grandi volumi riducendo il proprio letto vascolare, mentre i grandi vasi venosi centrali sono più conduttori passivi le cui variazioni di diametro influenzano in maniera modesta il ritorno venoso.
Al fine di rivisitare queste interazioni complesse, ed il ruolo del ritorno venoso, vi lascio alla seconda parte del video che segue al precedente post.
Complimenti!
Grazie per il feedback positivo!
molto chiaro, complimenti, l’impatto visivo degli schemi è molto efficace; a parte la soggettività della risposta sulla capacitanza venosa e sulle resistenze resta però il problema del microcircolo, il vero nocciolo in cui si gioca la partita dello shock settico
Grazie per l’apprezzamento Roberto. Ero un po’ incerto sul fatto che questo argomento, trattato in maniera forse poco ortodossa, potesse interessare. Quindi sono veramente contento di avere un riscontro positivo. Evidentemente il pubblico di questo blog ha interessi molto vari ed ha la vivacità intellettuale che caratterizza l’ambiente trasversale dell’emergenza.
Riguardo al merito del tuo commento hai sicuramente ragione. La sepsi ha molti aspetti incompresi e quello del microcircolo é ancora inadeguatamente esplorato. È tuttavia difficile, in genere, e per me in particolare, riuscire a trattare tutti questi aspetti. Ho volutamente fatto la scelta di focalizzare il post sul funzionamento del macrocircolo a scapito della completezza. Questa scelta oltre che a rispondere a ragioni contingenti di sintesi rispecchia soprattutto gli interessi inerenti della mia realtà professionale dove difficilmente avrò possibilità di valutare il microcircolo.
Seguirà un post sempre sulla noradrenalina e i dosaggi di infusione sul quale spero di potere avere la vostra opinione. Grazie ancora.
Bel post!
Li conoscerai sicuramente, ma in caso contrario, ti consiglio questi tre articoli:
– Funk DJ, Jacobsohn E, Kumar A. The role of venous return in critical illness and shock-part I: physiology. Crit Care Med. 2013 Jan;41(1):255-62. doi: 10.1097/CCM.0b013e3182772ab6.
– Funk DJ, Jacobsohn E, Kumar A. Role of the venous return in critical illness and shock: part II-shock and mechanical ventilation. Crit Care Med. 2013 Feb;41(2):573-9. doi: 10.1097/CCM.0b013e31827bfc25.
– Magder S. Bench-to-bedside review: An approach to hemodynamic monitoring – Guyton at the bedside. Crit Care. 2012 Oct 29;16(5):236.
Grazie Alberto!
In effetti conosco gli articoli che hai riportato. Quelli di Funk et al. in particolare sono linkati nel post. Penso siano due review estremamente interessanti sebbene a mio modesto giudizio venga posta un’enfasi eccessiva sul ruolo che l’incremento delle resistenze gioca sul compartimento venoso mentre la compliance venga ridotta ad una semplice proprietà intrinseca un po’ come fosse una costante di relativa importanza. Ovviamente questa mia personale opinione è pur sempre quella di un non esperto e come tale va presa. Nei dibattiti di fisiologia sull’argomento spesso le contese si incentrano sul fatto di attribuire ad uno in particolare dei componenti del sistema cardiocircolatorio ed alle sue caratteristiche un ruolo preponderante. Ho cercato nel post di dare una visione di insieme che considerasse tutti i contributi dei vari comparti e che è stata elegantemente rappresentata da Dorrington e Paddit (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/m/pubmed/19825058/) sebbene con tutt’altro intento.
Io sto per buttare tutti i libri di medicina e iniziare a studiare solo qui
Francis questo è un gran complimento.
Detto da chi è in formazione lo è in modo particolare.
Tuttavia vorrei ribadire che empills e FOAM in genere non sono sostitutivi dell’apprendimento convenzionale e non potrebbe esserlo. Questa non è un affermazione di rito.
Sebbene nella sua forma possa essere estremamente accattivante e diretta, la divulgazione attraverso il web non può sostituirsi al processo di apprendimento attraverso la lettura dei testi. Credo che inevitabilmente per carpire appieno alcuni concetti bisogna masticarli con i propri denti e digerirli. Lo dico con convinzione considerando che ancora oggi seguo /leggo una ventina di riviste scientifiche.
Sicuramente FOAM è una sorgente di aggiornamento per chi è già professionalmente impegnato. Molto probabilmente ha il merito di contribuire
lo sviluppo di una visione critica e non passiva del patrimonio culturale consolidato.
Ma quest’ultimo deve essere comunque appreso.
Ti ringrazio ancora per il complimento e ti invito a usare questo post come uno spunto per costruire il tuo bagaglio culturale, senza rinunciare alla utile fatica di leggere i libri.