mercoledì 29 Novembre 2023

Sette Piani

Comincia la notte, ed una specializzanda e una strutturata prendono consegne.
Tra i pazienti che avranno in carico quella notte la signora Artemide, di 43 anni.
Viene per febbre e dolore lombare destro dal giorno precedente, senza stranguria.
La signora Artemide soffre di sclerodermia ed è in terapia con Bosentan, Micofenolato, Omeprazolo ed infusioni di prostaglandine ogni 3 settimane.
Si presenta vigile, eupnoica. Chi la valuta riscontra Giordano + a destra. Il torace appare normoventilato senza rumori aggiunti. Ha toni cardiaci ritmici, non soffi.
Viene effettuata un’EGA venosa: lattati 1.

La signora Artemide viene sottoposta ad alcune indagini:


– Esami ematochimici: PCR 10.35 (v.n. 0.5 mg/dl), GB 16.670 (N 12.670), restanti nei limiti
– Stick urine: GR +, nitriti +, proteine +, GB –
– Ecografia addome completo: fegato nei limiti per dimensione e profili, colecisti di diametro trasverso circa 3 cm e spessore parietale 5 mm, alitiasica. Si segnala dolorabilità in loggia colecistica all’esplorazione con la sonda. Vie biliari non dilatate. Milza nei limiti. Reni nei limiti morfovolumetrici, non idronefrosi bilateralmente. Vescica distesa, a contenuto finemente corpuscolato.
– Urinocoltura ed emocolture 2 set
– Rx torace: non alterazioni significative.

Ci si orienta dunque verso l’ipotesi diagnostica di pielonefrite destra, considerando ancora possibile ma meno probabile una colecistite.
Inizia terapia con Ciprofloxacina 400 mg ev x 2 die.
Rimane in OBI 48 h, durante le quali la specializzanda e la strutturata della nostra storia ne fanno conoscenza.
Poi clinicamente comincia ad andare meglio, meglio gli esami ematici di controllo e la curva termica.
La signora Artemide viene dimessa due giorni dopo l’arrivo con la prescrizione di Ciprofloxacina per os, 500 mg 1 cp x 2 die per 8 giorni.

Passa una sera e passano una notte ed una mattina.

E si fa pomeriggio in area codici verdi.

Torna la signora Artemide, e la accolgono proprio e nostre specializzanda e strutturata.
Viene per comparsa di eritema e dolore in sede di recente posizionamento di acceso venoso. Non ha altri sintomi.  PA 120/85 FC 84 r
All’ingresso vigile, lucida, collaborante. Eupnoica in AA. Cute calda, rosea. Non edemi declivi. Ob. cardiaca: toni validi, ritmici, pause apparentemente libere. Ob. toracica: MV presente su tutto l’ambito, non rumori aggiunti. Ob. addominale: addome trattabile, non dolente né dolorabile, OI nei limiti, peristalsi presente. Si obiettivano eritema ed edema in sede di fossa antecubitale dx.

Si procede a ecoscopia: evidenza di verosimile trombosi venosa superficiale dell’arto superiore destro.

Le nostre dottoresse si chiedono però, a questo punto: la signora Artemide ha una malattia autoimmune, che la espone ad aumentato rischio di trombosi.
E’ molto sintomatica ed infastidita dai sintomi che avverte.
E se questa trombosi venosa superficiale la conducesse ad una trombosi venosa profonda dell’arto superiore o ad altre complicanze?

Fortunatamente in quell’ospedale è presente un Centro Emostasi e Trombosi con cui ci si può confrontare, che viene contattato: viene in effetti riferita indicazione a Fondaparinux 5.0 mg al giorno ed ecodoppler venoso dell’arto superiore a breve.

Passa di nuovo una notte, qualche mattina, qualche pomeriggio.

E si fa di nuovo mattina, ai codici rossi.

La signora Artemide entra in area rossa lamentando cefalea violenta con vomito a getto. All’arrivo si presenta sudata, molto sofferente. E3V4M5. Non rigor. Molto agitata. Disorientata nel tempo, orientata nello spazio. Muove i 4 arti in maniera afinalistica. Lieve strabismo divergente in OD senza anisocoria, riflesso fotomotore torpido, Babinski indifferente bilateralmente.

Si esegue TC encefalo in urgenza

“Esteso infarcimento emorragico temporo-insulare e nucleo-basale destro con inondamento ventricolare ed estensione della componente ematica anche in quarto ventricolo. Effetto massa sulle strutture mediane, deviate verso sinistra; compresso il tronco encefalico con ridotta visualizzazione degli spazi cisternali periponto-mesencefalici, non visualizzabili le cisterne chiasmatiche. Cancellati i solchi corticali lungo le convessità. Iniziale dilatazione della cavità ventricolare laterale sinistra.”

Completamento con studio angio-TC: l’esame non sembra documentare la presenza di dilatazioni aneurismatiche o malformazioni vascolari.

Si contatta collega del Centro Emostasi e Trombosi,  che consiglia di eseguire Acido Tranexamico 10 mg/kg in bolo.
La paziente viene intubata e trasferita in sala operatoria per intervento neurochirurgico d’urgenza.
Si sottopone ad evacuazione dell’ematoma intraparenchimale e dell’inodamento ventricolare.
Non sono riconoscibili MAV, aneurismi od altre malformazioni vascolari.

La TC di controllo post-operatoria è eccellente, non sono più visibili segni dell’evento.

La specializzanda e la strutturata sono ovviamente travolte dalle domande.

ABBIAMO SBAGLIATO?


ABBIAMO FATTO BENE?  

IL NOSTRO OPERATO HA DETERMINATO QUESTA CONCATENAZIONE DI EVENTI?

…COMUNQUE TUTTO E’ BENE QUEL CHE FINISCE BENE…


Anche se…
Dopo 6 h dall’intervento ripresa dell’emorragia.
Impossibile eseguire emostasi.

La paziente muore in seguito alla ripresa del sanguinamento.

Un’altra valanga di domande.

COME SI TRATTA LA TROMBOSI VENOSA SUPERFICIALE DELL’ARTO SUPERIORE?
QUANTO SPESSO LA TROMBOSI VENOSA SUPERFICIALE DELL’ARTO SUPERIORE E’ ASSOCIATA A TROMBOSI VENOSA PROFONDA?

In letteratura sono disponibili dati limitati rispetto alla trombosi venosa superficiale (TVS), ma appare emergere che la correlazione tra TVS e tromboembolia polmonare (TEP) sia molto rara. La letteratura invero suggerirebbe che anche tra trombosi venosa profonda (TVP) dell’arto superiore e TEP la correlazione sia estremamente rara.

La terapia della TVS relata a catetere prevede la rimozione del catetere venoso periferico (qualora la TVS sia relata ad esso) ed un approccio volto ad alleviare i sintomi, come l’utilizzo di FANS, impacchi caldi o freddi e mantenere l’arto in scarico. Alcuni autori si spingono ad un parallelismo tra TVS dell’arto superiore ed inferiore, consigliando trattamento anticoagulante qualora la trombosi sia prossima a vene profonde a rischio per TVP o in casi di trombofilie. La letteratura suggerisce anche di prendere in considerazione la terapia anticoagulante qualora il paziente rimanga molto sintomatico nonostante tutti i provvedimenti sopra citati.

SETTE PIANI

“Sette piani” è un romanzo di Dino Buzzati, in cui il protagonista, l’avvocato Giuseppe Corte, si fa ricoverare in un centro di eccellenza per un lieve disturbo oculare da cui è affetto. Questo eccellente centro è strutturato in sette piani ed i degenti vengono destinati ad  ognuno di questi in base alla gravità della loro patologia: al settimo piano vengono ricoverati gli affetti da disturbi lievi, e tra questi il nostro avvocato, man mano che si scende i degenti sono sempre più gravi. Giuseppe Corte giorno dopo giorno, per fare un favore, per gli scrupoli dei medici, per complicanze dell’ospedalizzazione una dopo l’altra, scende inesorabilmente tutti i piani, fino a non uscirne più.

Ci sembrava che la storia della signora Artemide sia stata estremamente simile alla storia narrata in “Sette piani”. La nostra paziente per un disturbo reale, per una complicanza della permanenza in Pronto Soccorso, per i nostri scrupoli, per un disturbo iatrogeno, torna più volte a chiede aiuto medico, complicandosi sempre di più fino a morire.

Senza giudizi insomma, questa storia ci obbliga a riflettere sul peso reale delle nostre scelte sulle vite dei pazienti, sulle complicanze effettive di permanenze brevi o lunghe in ospedale.
Ogni volta che un paziente mette un piede in ospedale, nel nostro Pronto Soccorso, la Medicina e la sua vita entrano in contatto. Da quel momento ogni scelta che facciamo o non facciamo – allettare, verticalizzare, digiuno, alimenti, farmaci, profilassi, dimissione, ospedalizzazione – lascerà un’impronta nella sua storia.

Senza paralizzarci per questo, forse dovremmo sempre esserne ben consapevoli nella nostra pratica quotidiana.

References

1) https://www.uptodate.com/contents/catheter-related-upper-extremity-venous-thrombosis?search=superficial%20thrombophlebitis%20upper%20extremity&source=search_result&selectedTitle=1~150&usage_type=default&display_rank=1#H23

2) Duffett L, Kearon C, Rodger M, Carrier M, Treatment of Superficial Vein Thrombosis: A Systematic Review and Meta-Analysis. Thromb Haemost. 2019;119(3):479. Epub 2019 Feb 4.
3) Di Nisio M, Peinemann F, Porreca E, Rutjes AWS, Treatment for superficial infusion thrombophlebitis of the upper extremity

Cochrane Database Syst Rev.2015 Nov 20;2015(11):CD011015.

4) Mark M Levy, Francisco Albuquerque, Justin D Pfeifer, Low incidence of pulmonary embolism associated with upper-extremity deep venous thrombosis, Ann Vasc Surg. 2012 Oct;26(7):964-72.

Elisa Gesu
Elisa Gesu
Specialista in Medicina d'Emergenza-Urgenza, Milano

8 Commenti

  1. Storia sfortunata, ma a suo modo emblematica. Credo che come medici di urgenza dovremmo tenerci lontani da decisioni difficili da prendere in un setting particolare come il DEA e con le inevitabili poche informazioni ed esperienze su alcuni tipi di pazienti. La decisione se scoagulare o no un paziente con patologia autoimmune dovrebbe essere affidata a chi tratta quel tipo di patologie che dovrebbe conoscere l’esistenza o meno del rischio trombotico e l’eventuali linee guida per questi pazienti in caso di eventi trombotici anche superficiali. In assenza di tutto questo una decisione condivisa andrebbe sempre ricercata (come è stato fatto nel caso esposto). Tuttavia la domanda è: tutto deve essere deciso in DEA, o conviene prendersi il tempo giusto per decidere in modo collegiale? Resta comunque un caso molto sfortunato precipitato per sette piani ….grazie per la condivisione

    • Temo di sì, dobbiamo decidere in DEA. Fare o non fare, prescrivere o non prescrivere sono entrambe decisioni, e siccome il paziente a un certo punto lo devi dimettere da PS, devi inevitabilmente prendere una decisione, confidando che sia la migliore, secondo le evidenze a nostra disposizione (e spesso con risorse scarsissime, se come me lavori in un ospedale dove dopo le 16 non hai più neanche il radiologo). Poi che possano esserci casi sfortunati è inevitabile, le cose sono complesse e le risposte quasi mai univoche, i rischi relativi del singolo paziente che ti trovi davanti non sempre li trovi su PubMed: se la paziente del caso fosse stata dimessa senza eparina e fosse morta di embolia polmonare staremmo qui a chiederci cosa abbiamo sbagliato, o perché non abbiamo scoagulato una paziente che sapevamo avere un rischio alto di trombosi… è il nostro triste destino, ogni volta che malattia e morte ci fanno scacco matto…

      • Questa è secondo me una questione complessa con cui tutti i giorni ci scontriamo…
        Io credo (ma è solo la mia opinione e non vale nulla) che soprattutto una decisione come scoagulare, a meno di diagnosi per cui questo provvedimento sia mandatorio (TEP, TVP, ecc…) forse dovrebbe essere di qualcuno che vede il paziente cronicamente, che lo segue e lo conosce, e non in urgenza senza possibilità di follow up (la maggior parte delle motivazioni per cui decidiamo di scoagulare – la stessa fibrillazione atriale per esempio – in realtà non ha davvero nessuna urgenza).
        In questo caso uno scrupolo in buona fede ha portato ad una decisione condivisa con lo specialista del centro che poi avrebbe rivisto la paziente di lì a poco per ecodoppler… eppure è andato tutto male e la paziente ha avuto un evento avverso.

        Per me questa storia è spesso (è una storia di qualche anno fa) davvero il remind a pensare che ogni decisione va pensata davvero ed è come nel film “Sliding Doors”: oltre quella porta scorrevole ci sono futuri diversi.
        Non tutto del futuro che poi si verificherà è nostra responsabilità, dipende veramente solo dalle nostre scelte o è nostro merito o colpa… ma noi influiamo su quel futuro, e penso che davvero senza paralizzarci per il timore e/o il senso di responsabilità lo dobbiamo davvero sempre avere bene nella mente.

  2. Buongiorno e grazie, articolo molto interessante che mette in discussione la nostra capacità di gestire e trattare condizioni non gravi, i cosiddetti codici minori…
    Ma è un problema di cultura? No, non credo. Forse in parte di struttura del nostro pensiero (pensiamo sempre alla conseguenza peggiore); ma soprattutto è colpa, a mio avviso, della scarsa organizzazione e collaborazione tra ospedale e territorio. Infatti spesso ci troviamo ad over-trattare condizioni che beneficierebbero probabilmente di trattamento conservativo ed osservazione … Ma l’osservazione chi la fa?!? Alla dimissione non possiamo passare la consegna a nessun collega ne possiamo avere la certezza che qualcuno prenderà in carico il nostro paziente. Ed allora, “per sicurezza” spariamo tutte le cartucce possibili per evitare che un domani possano dirci di aver sottovalutato una condizione (pensiamo a terapie antibiotiche evitabili).
    Questo caso aneddotico è il risvolto della medaglia!
    La paziente del caso non sarebbe dovuta neanche tornare in Pronto Soccorso. In una condizione ideale doveva recarsi dal curante che l’avrebbe osservata e seguita nel tempo, fino alla probabile risoluzione spontanea della condizione…

    Concludo con un esempio…
    Un paziente giovane che viene per dolore addominale ricorrente da 2 settimane ed alterazioni dell’alvo. Probabilmente colon irritabile pensiamo tutti.
    Se va dal curante esce con una ricetta per fermenti lattici ed al massimo una prescrizione per una visita gastroenterologica che magari, risolta la condizione, non farà mai.
    Se viene in PS si “becca” accesso venoso con esami ed una bella flebo di antidolorifico per una dimissione più semplice, eco e/o RX diretta addome con esposizione radiologica inutile. Magari una bella colonscopia in dimissione perché “non si sa mai”…

    In conclusione noi siamo stati creati per gestire l’emergenza e l’urgenza, quello e solo quello dovremmo fare!

    • Temo che la paziente in oggetto sarebbe comunque finita in pronto soccorso “per escludere TVP dell’arto superiore”. Per il resto condivido tutto quanto detto nei commenti precedenti, questa paziente non era “facile” e, direi, è stato fatto tutto il possibile: come giustamente diceva la collega Stefania Rudi poco più su, se si fosse presa la decisione di non scoagulare e la paziente fosse tornata con embolia polmonare instabile, in una paziente con alto rischio trombotico, cosa avremmo pensato? In questo caso direi che la decisione è stata giusta (l’unica alternativa che mi viene in mente, vista la verosimile trombosi provocata, sarebbe stato un dosaggio profilattico e non scoagulante del Fondaparinux, come si fa per le TVS dell’arto inferiore): nulla faceva sospettare che la paziente potesse sanguinare. D’altronde, come piace dire sempre, se avessimo la sfera di cristallo faremmo un altro lavoro e non i medici (dell’emergenza, poi…)

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