mercoledì 4 Dicembre 2024

Sfida tra vecchi e nuovi anticoagulanti nella Cardioversione Elettrica

electric cardioversion, doac, vka, atrial fibrillation

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…si utilizzava un anticoagulante lento, ingombrante e che costringeva i pazienti a fare continui prelievi ematici di controllo e a salti mortali tra alimenti e farmaci che ne influenzavano l’efficacia. Poi sono arrivati dei nuovi farmaci anticoagulanti e ne hanno preso completamente il posto, con grande soddisfazione di tutti, ma soprattutto dei pazienti.

Ecco, se fosse una favola o un film della saga di Star Wars, il post potrebbe strutturarsi (e chiudersi) così…

Ma non siamo in una favola, siamo nella realtà, e la realtà è, purtroppo, un po’ più complicata. Oggi parliamo di anticoagulazione e di cardioversione elettrica programmata per fibrillazione atriale non databile o di durata superiore alle 48 ore.

Qual è l’approccio classico?

iniziare terapia con dicumarolico, effettuando un bridge con eparina a basso peso molecolare a dosaggio terapeutico perché l’inizio d’azione del farmaco è lento (e all’inizio può avere azione protrombotica), poi al raggiungimento dell’INR stabile (in due controlli consecutivi) si iniziano a calcolare 3 settimane di terapia per programmare la procedura; dopo la procedura, si prosegue la terapia con dicumarolico per 4 settimane. In tutto questo il paziente deve effettuare controlli in serie dell’inr, effettuare due iniezioni al giorno, vedere che per qualche motivo l’inr esce dal range terapeutico e quindi dover rimandare la procedura.

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Il rischio di stroke ischemico nella cardioversione di fibrillazione atriale non databile è pari al 7%.

Il protocollo con dicumarolico riduce il rischio allo 0.5-1.6%: un range molto ampio, e questo dipende dai livelli di INR raggiunti. Il rischio è più basso con i livelli maggiori di INR e alcuni autori suggeriscono livelli di INr tra 2.5  3.5… gli stessi consigliati nei portatori di protesi valvolare meccanica, con i rischi emorragici maggiori.Il dicumarolico (lo chiameremo VKA, antagonista della vitamina K) ha dunque indubbi svantaggi ma una efficacia che è stata provata da moltissimi anni di uso clinico. I nuovi anticoagulanti orali (li chiameremo DOAC, antagonisti diretti dei fattori coagulativi) si dimostrano vantaggiosi? Parliamo di rapidità, efficacia e sicurezza… e di denaro, perché ormai non possiamo farne a meno.

RISPARMIO:

si può risparmiare con farmaci che costano di più? Gibson, in una review del 2017  ha presentato lavori di farmacoeconomia europea che dimostrano un risparmio di 250-500$ per ogni singola procedura nei pazienti trattati con DOAC, rispetto all’uso dei VKA. Perché? i VKA richiedono eparina a basso peso molecolare, richiedono dosaggi dell’INR, e comportano perdita di giornate lavorative. Quindi, un primo vantaggio i DOAC lo hanno.

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RAPIDITA’:

Wall, in un lavoro di quest’anno pubblicato su plos one ha dimostrato che la cardioversione nei pazienti trattati con DOACs è sensibilimente precoce rispetto all’approccio classico con dicumarolico. 

Perché è più rapido? per i motivi che abbiamo descritto in precedenza: mentre un anticoagulante diretto agisce immediatamente e ha un’azione concentrazione dipendente, il dicumarolico richiede più giorni per raggiungere la piena efficacia e presenta numerose interferenze.

Lo studio EMANATE sull’apixaban per esempio prevedeva la cardioversione dopo 5 dosi del farmaco; e la possibilità di effettuare una cardioversione in urgenza dopo 2 ore dall’assunzione di una dose di carico di apixaban, ci descrive bene la rapidità di azione di questi nuovi farmaci. 

Si parla tanto di slow medicine, ma in questo particolare caso, la rapidità è essenziale.

Perché? più il paziente rimane in fibrillazione atriale, più si verifica il rimodellamento cardiaco atriale e meno successo osserviamo alla cardioversione e più recidive potremo vedere.

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EFFICACIA:

Su questo, i vari trial e i vari studi prospettici successivi (RE-LY – ARISTOTLE ROCKET AF  – ENSURE AF  – il già citato EMANATE   – XVERT) hanno tutti evidenziato, almeno, una pari efficacia, in termini di riduzione del rischio di stroke, degli antagonisti diretti della coagulazione rispetto al dicumarolico. 

Ma è davvero così?

in realtà, sembra anche meglio: Gupta, in una metanalisi pubblicata pochi mese fa su 3 trials e 21 studi (su 17088 pazienti) ha dimostrato un rischio di stroke ischemico nello 0.55% dei pazienti trattati con dicumarolico (in linea con quello che già sapevamo) e dello 0.18% dei pazienti trattati con DOAC. 

Cosa possiamo aggiungere?

Una considerazione personale, però, vorrei farla.

Come possiamo fidarci dell’effettiva aderenza del paziente alla terapia? con il vecchio dicumarolico, possiamo: basta vedere il prospetto degli INR eseguiti per avere una fotografia della sua anticoagulazione. Con i DOAC non possiamo: dobbiamo fidarci di quello che ci racconta il paziente, e se ha saltato anche solo una o due dosi, può essere stata compromessa la sua terapia. I trial e gli studi clinici presentati e analizzati sono studi ben congegnati, ben controllati, con adesione alle terapie.

E’ applicabile nella realtà quotidiana?

si può pensare ad uno schema di controllo in cui il paziente segni le assunzioni e gli orari, ma alcuni autori suggeriscono che un approccio più cauto con l’esecuzione di un ecografia transesofagea prima della cardioversione possa essere garanzia di sicurezza assoluta. E in effetti, il rischio di 0.5% anche per i dicumarolici può sembrare elevato, e forse si può condividere questo approccio. Ma di questo parleremo in un prossimo post, affrontando le linee guida EHRA 2018 per la cardioversione elettrica della fibrillazione atriale.Non abbiamo dati certi e sicuri che possano guidare la scelta di un antagonista diretto della coagulazione rispetto ad un altro, e di questo il blog aveva già affrontato l’argomento in un post, ma alcuni dati preliminari sembrano dimostrare che i rischi trombotici più bassi si ottengano con l’apixaban o con il dabigatran al dosaggio di 110mg, come evidenziato da Frenkel in uno studio sull’ecografia transesofagea.

SICUREZZA:

Ma i DOAC sono sicuri? almeno quanto i dicumarolici, perché il rischio emorragico per gli anticoagulanti diretti si assesta sull’1.8%, contro il 2.5% dei VKA. Non abbiamo (quasi) antidoto se non l’idarucixumab per il dabigatran, e per le altre molecole sono in fase di studio, ma non è questo il punto principale: l’elemento di maggiore sicurezza per i DOAC è la loro emivita, per cui alla sospensione della terapia, si osserva una regressione dell’effetto.

Resta il particolare contesto in cui ci stiamo muovendo: il rischio emorragico del paziente in attesa di una cardioversione si assesta sullo 0.004%, quindi del tutto trascurabile.

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In conclusione, i DOAC sono estremamente vantaggiosi per il paziente e si sono dimostrati anche efficaci e sicuri. Quindi vengono prescritti in tutti i pazienti in attesa di cardioversione……

no,

Abbiamo iniziato raccontando una favola, ricordate?

In Italia, abbiamo un grosso problema, in questo ambito, ed è il piano prescrittivo per i DOAC, posti dall’AIFA in un registro di farmaci posta sotto sorveglianza, con una prescrizione da effettuare online dopo registrazione ed autorizzazione sul portale AIFA: cardiologi, internisti e neurologi possono accedere, e i medici d’emergenza anche, dopo un’azione di protesta in quanto all’inizio ne eravamo esclusi. Quanti sono i medici d’emergenza che prescrivono i DOAC in questi pazienti? quanti si sono registrati? e abbiamo sempre tempo per compilare il piano terapeutico, che richiede circa 10-15 minuti? Ma il tempo non è un problema, comunque non è un problema insuperabile.

Il Problema è un altro, ed è il piano terapeutico AIFA, che prevede la prescrivibilità dei DOAC nei pazienti che abbiano difficoltà ad eseguire gli INR: come possiamo dichiarare che un paziente che inizia la terapia anticoagulante abbia difficoltà ad effettuare i controlli INR? dovremmo iniziare il dicumarolico e poi effettuare il cambio della molecola?

Ricordiamoci che il Codice Deontologico ci impone di prescrivere ai nostri pazienti le terapie più efficaci, sicure e aggiornate:

e i DOAC rispondono a tutti questi criteri. Il registro AIFA, a mio avviso, dovrebbe essere quantomeno rivisto per poter offrire ai pazienti le migliori possibilità terapeutiche. Se all’inizio tutti, compreso il sottoscritto, avevamo delle riserve su queste nuove molecole non “misurabili”, dobbiamo ricordarci quello che Melville scriveva nel suo Moby Dick, ovvero che

“L’ignoranza è la madre della paura”.

La conoscenza ci sta dimostrando che i DOAC sono sicuri ed efficaci.

Quindi non abbiamo scuse.

Dobbiamo prescriverli.

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Alessandro Riccardi
Alessandro Riccardi
Specialista in Medicina Interna, lavora presso la Medicina d’Emergenza – Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Savona. Appassionato di ecografia clinica, è istruttore per la SIMEU in questa disciplina, ed è responsabile della Struttura di Ecografia Clinica d’Urgenza . Fa parte della faculty SIMEU del corso Sedazione-Analgesia in Urgenza. @dott_riccardi

8 Commenti

  1. “alcuni dati preliminari sembrano dimostrare che i rischi trombotici più bassi si ottengano con l’apixaban o con il dabigatran al dosaggio di 110mg, come evidenziato da Frenkel in uno studio sull’ecografia transesofagea.”
    Secondo te come è possibile che si abbia un rischio trombotico più basso con il dosaggio inferiore?

    • Guarda, Davide… Hai seguito la letteratura anche tu per il tuo bellissimo post e sai che non esiste un lavoro confrontabile. La mia idea? Che nel gruppo con dabigatran a dosaggio maggiore, per sanguinamenti minori, ci sia stata minore aderenza terapeutica… In effetti, il dosaggio ridotto del dabigatran lo rende un farmaco differente rispetto al dosaggio pieno, con diverso profilo di efficacia e sicurezza, e credo che che questo aspetto debba essere approfondito. Comunque noi abbiamo pubblicato qualche lavoro sul confronto DOACs e VKA nel trauma cranico minore… E non c’è davvero partita. Cosa pensi tu, invece, della questione eco t.e. prima di una cve nel paziente trattato con DOACs? Ci possiamo fidare della aderenza terapeutica?

  2. Buongiorno, Alessandro.
    Ottimo e provocatorio (in senso buono) post.
    Telegraficamente:
    1. paesi ricchi = molto invecchiamento = + FA = + stroke = stop veleno topi! = scoperta (tra le più importanti di questo millennio?) di molecole assai redditizie per le BP. Vabbé, ci sta. Costi/benefici/utili-profitti ? Bene. “e vissero – quasi – tutti felici e contenti” (per stare in tema favolistico).
    (un pensierino su – ad es. – un antimalarico di nuova generazione potrebbero anche farcelo ora le BP. O no? Ma questa è un’altra favola OT).
    2. Pronto Soccorso in crisi eufemisticamente nera: siamo pochi +/- vecchiotti e sfiancati +/- malpagati (etc.) – L’hw ed il sw col quale lavoro io “succhia” oltre il 50% del tempo medio da dedicare alla gestione clinica dei Paz.. Mi sono cimentato col sw per il PT-DOAC. Pietoso velo (temporale).
    Perché dovrei (dovremmo) dedicare in PS un tempo/Paz. stimato di almeno altri 15-20 min (ottimistico) per il redarre il PT-DOACs quando possono farlo ambulatorialmente (e sicuramente almeno meglio di me anche per la valutazione cardiaca “strutturale”: v. valvole/IVS) in cardiologia?
    Alla luce, anche, di due altre considerazioni:
    1. si sta ragionando sul “se e sul timing” della CV della FA di nuova insorgenza in PS = passo allo specialista la gestione della FA emodinamicamente stabile non sicuramente databile (previo miglior rule out di cause evolutive maggiori e previo controllo FC) con dimissione protetta e scoagulata con LMWH;
    2. ho 30 Paz. fuori in attesa…

    Un caro saluto

    • grazie Mauro del tuo commento, che come sempre colpisce il bersaglio. Hai ragione, non possiamo fare tutto, ne dovremmo fare tutto, ma a volte è l’unica soluzione possibile. Vero è che siamo di fronti a problemi spesso non di emergenza e forse appoggiare il paziente ad un ambulatorio potrebbe essere una soluzione ottimale. Ma se abbiamo l’esperienza per farlo, la casistica, per il paziente ricevere una prescrizione di un DOAC direttamente dal pronto soccorso (o comunque dall’OBI, che rappresenta un’isola differente) rappresenta un indubbio vantaggio. Ma senza dubbio, il piano terapeutico è un ostacolo da abbattere.

      • Penso che purtroppo non abbiamo nulla di meglio della fiducia in questo campo, una volta correttamente informato il paziente dei rischi e dei benefici, anche in base ad uno scorretta assunzione non dichiarata. Se ricordo bene, i dati ci dicono che in paziente fit per poter essere cardiovertiti fino al 5% potenzialmente hanno una trombosi atriale se avessero fatto un ecoTE prima della cardioversione. Tu hai mai avuto un tasso di complicanze così elevato?

        • Dipende dalla casistica, dalla letteratura, dal metodo, e da come consideri i pazienti. Io credo che anche un rischio di 0.55%, o anche lo 0.18%, non siano sostenibili, dopotutto si parla di procedure in elezione. I nostri dati sono bassi, ma perché si tende ad essere poco fidati e a richiedere una ecografia t.e. (e anche i colleghi della cardiologia usano questo approccio più cauto), e qualche trombosi inaspettata è stata osservata (non posso però darti una percentuale). Ora, in medicina non si possono prendere decisioni “di pancia”: da una parte c’è un rischio di stroke ischemico per trombosi atriale non vista in chi effettua la procedura “alla cieca”; dall’altra i rischi (e l’invasività) della procedura transesofagea. Io direi che il braccio pende verso una strategia ecografica di cautela, ma sarebbe davvero interessante trovare uno studio ben fatto che analizzi la questione.

  3. Grazie a te ed agli altri collaboratori del blog per il prezioso Tempo che dedicate ad offrirci l’opportunità di esercitare sempre meglio il nostro lavoro.

    Già… condivido.
    Con ennesima sensazione di amarezza tocca constatare, ancora una volta, quanti ostacoli si frappongano tra la nostro desiderio di agire secondo scienza coscienza evidenza e la possibilità di farlo.

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