mercoledì 29 Novembre 2023

È in shock settico: a quanto hai messo la noradrenalina?

http://en.wikipedia.org/wiki/File:Axelrod.jpg
http://en.wikipedia.org/wiki/File:Axelrod.jpg

Stando alle indicazioni delle linee guida del 2013 sulla gestione della sepsi la noradrenalina è il farmaco vasoattivo di prima scelta. Questa raccomandazione è stata adottata poiché i dati della letteratura indicano che a differenza della dopamina è gravata da un minor tasso di complicanze, ed in particolare di aritmie. Curiosamente nel paragrafo delle linee guida dedicato alla noradrenalina non vi è alcuna indicazione, neppure di massima, sui dosaggi da utilizzare. Questo non deve meravigliare.

Molti studi hanno confrontato l’efficacia dei vasopressori disponibili nel contesto dello shock settico. Nella maggior parte dei casi non sono emerse differenze sull’outcome più importante: la riduzione della mortalità. Non sono risultate, peraltro, neppure differenze su altri outcome come la durata di ricovero presso la rianimazione o la durata totale del ricovero in ospedale. Trarre conclusioni definitive da questi studi è spesso difficile per la loro eterogeneità in termini di regimi adottati, nonché, per la metodologia e gli outcome prefissati. Questi ultimi, in molti casi, consistevano in parametri emodinamici, di perfusione o di disfunzione d’organo che, tuttavia, non implicano necessariamente un reale beneficio per il paziente.

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I confronti sono stati fatti tra molecole molto diverse, ed in particolare fra molecole sintetiche ed amine “naturali”.

Hollenberg http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21316572
Hollenberg
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21316572

Esiste una diatriba sull’opportunità di utilizzare le amine sintetiche rispetto a noradrenalina ed adrenalina. C’è chi ha detto che le amine non sono state create uguali e autorevoli ricercatori sostengono che i prodotti di sintesi non dovrebbero essere utilizzati nei pazienti con shock settico sia per ragioni economiche legate ai costi, sia perché lo shock va inquadrato come una insufficienza della risposta neurormonale endogena cui è necessario sopperire rimpiazzando le amine naturali. Secondo questa teoria i pazienti svilupperebbero uno stato di esaurimento della risposta neuro-ormonale nonché una graduale tolleranza verso gli effetti dell’adrenalina e la noradrenalina. Sarebbe, pertanto, indispensabile bilanciare questo scompenso: la noradrenalina, in quest’ottica, agirebbe più come una terapia neurormonale. Per chi volesse approfondire questa interpretazione del problema oltre ai riferimenti bibliografici cui vi rimando, potreste ascoltare un interessante intervento di Myburgh alla scorsa conferenza SMACC 2013.

SOAP study http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16505643
SOAP study
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16505643

Il fatto che esistano differenti teorie fisiopatologiche sullo shock probabilmente si riflette sul fatto che, ad oggi, non vi sia una regime terapeutico realmente standardizzato per la noradrenalina.  Nonostante il suo comune utilizzo nei pazienti critici e, in particolare, nello shock settico, esiste una considerevole variabilità nelle modalità di impiego clinico di tale molecola. Sappiamo che molti malati critici non sopravvivrebbero alle fasi iniziali della loro patologia senza il supporto di farmaci vasoattivi, come la noradrenalina.  Si stima, infatti, che sino alla metà dei pazienti muoiano in conseguenza dell’ipotensione protratta. Tuttavia, non abbiamo affidabili informazioni sui benefici a lungo termine. I trial clinici che valutano gli effetti sugli outcome di rilievo sono ancora oggi pochi. Data l’eterogeneità degli schemi documentati non è insolito riscontrare che i dosaggi da utilizzare della noradrenalina non siano esplicitamente indicati nelle linee guida.

Le dosi raccomandate di avvio sono tra 8 e 12 μg /min (o alterantivamente 0.1-0.15 μg /kg/min).

Una dose tollerabile massima non è stata determinata, sebbene dosaggi elevati causino una vasocostrizione estrema, con possibile ipoperfusione, e un danno potenzialmente letale. In una review è indicato nel dosaggio di 1.2 μg /kg/min (o alternativamente in 100 μg /min) il tetto massimo da non superare perché, superata questa dose, gli effetti sarebbero verosimilmente futili.

Tuttavia è necessario tenere conto del fatto che il dosaggio è da vedere nel contesto clinico per cui dosaggi elevati potrebbero ancora essere tollerabili in determinate forme di shock anche per la tolleranza che si sviluppa nelle fasi avanzate alle catecolamine.

A riprova di questo negli studi clinici i dosaggi utilizzati variano considerevolmente.

Se prendiamo in esame esclusivamente gli studi cui fanno riferimento le linee guida sulla sepsi il range terapeutico della noradrenalina, quando specificato, varia tra 0.02 μg/kg/min e 5.0 μg/kg/min.

Surviving Sepsis Campaign http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23353941
Surviving Sepsis Campaign
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23353941

In studi dei primi anni 90 ed in uno recente, il dosaggio di partenza è addirittura di 0.5 μg/kg/min ovvero quello che in molti tollerano come il dosaggio di infusione massimo.

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È difficile fare un confronto tra gli studi. È possibile che fabbisogni più elevati siano stati impiegati in popolazioni più severamente ammalate. Tuttavia questo dato è di difficile estrapolazione. Consultando i dati pubblicati e le informazioni disponibili non trova grande riscontro.

Non saprei dire quali siano i criteri che abbiano indotto a basare le indicazioni delle linee guida su questi studi che, in taluni casi, coinvolgono un numero esiguo di pazienti.

Se estendiamo la ricerca agli studi, sia retrospettici che prospettici randomizzati, che non sono stati considerati dalle linee guida la variabilità nei dosaggi permane.

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Come spesso accade in medicina, e nell’ambito della medicina critica e d’emergenza, probabilmente non abbiamo alla fine dei conti delle informazioni realmente affidabili.

Quali conclusioni possiamo trarre?

Se prendiamo in considerazione gli studi che hanno specificamente valutato gli outcome dei pazienti sottoposti a dosaggi elevati di noradrenalina apparentemente la maggior parte dei pazienti non ne traggono beneficio. Benbenishty, in uno studio retrospettico, ha osservato che l’infusione di 0.5 μg/kg/min era 96% sensibile e 76% specifica per la mortalità dei pazienti in shock (indipendentemente dall’eziologia).

Ma è pressoché impossibile dire se questo sia una conseguenza della gravità delle loro condizioni e quale possa essere l’eventuale nocumento che deriva dall’esposizione a tali dosaggi. Peraltro non esiste un criterio completamente affidabile su cui titolare le infusioni. Ad esempio il goal di raggiungere una pressione arteriosa media pari o superiore ai 65 mmHg, che è frequentemente adottato negli studi, non ha trovato grandi riscontri in termini di miglioramento della sopravvivenza.

La mia personale conclusione come medico di Emergenza, coinvolto nella gestione delle prime ore dei pazienti critici, è che avviare l’infusione a 0.1-0-05 μg/kg/min ed incrementarla eventualmente sino a 0.5 μg/kg/min, una volta che vi sia stata un adeguata espansione volemica, è accettabile. Raggiunti i dosaggi mediamente elevati attorno a 0.5 μg/kg/min comporta, per gli standard attuali, l’aggiunta di un altro vasopressore (epinefrina o vasopressina/terlipressina). Tuttavia, per le prime fasi della rianimazione dei pazienti con shock settico, penso sia giustificato da parte del medico di Emergenza incrementare la noradrenalina, nelle forme di ipotensione severa refrattaria, a dosaggi anche più alti di 0.5 μg/kg/min (preferibilmente attraverso un catetere venoso centrale) come ponte per le cure intensive che riceverà in rianimazione.

Mattia Quarta
Mattia Quarta
Dott. Mattia Quarta Direttore di Pronto Soccorso Ospedale di Camposampiero Padova Specialista in Medicina Interna con Indirizzo d'urgenza Appassionato di ecografia d'urgenza. Supporter di FOAM @squartadoc | + Mattia Quarta

13 Commenti

  1. Mattia,
    veramente impressionato dalla mole di dati presentati e dal gran lavoro che hai fatto. Grazie per avere condiviso questa fantastica revisione di letteratura su un tema tanto controverso.

  2. Mattia, complimenti per il post. Eccellente lavoro per quantità e qualità di letteratura.
    Ti chiedo due cose di ordine pratico per le quali nella mia realtà incontro delle difficoltà.
    1. Utilizzi monitoraggio cruento della PAO?
    2. Correttamente hai scritto “gestione come ponte per la rianimazione”. Ma se per “x” motivi il paziente non è candidato al ricovero in rianimazione, come ti comporti? Utilizzi sempre la nora? (La domanda nasce dalla mancanza nella mia struttura di area semintensiva e reparto di medicina d’urgenza.)
    Grazie
    emanuele

    • Emanuele grazie per le tue domande. Meriterebbero una risposta molto estesa.

      Abbiamo lo stesso problema: neppure nel mio ospedale esiste il reparto di medicina d’urgenza. Sebbene nella mia realtà, considerati i flussi ed il bacino di affluenza, questa mancanza sia alquanto paradossale, mi espone alle tue stesse difficoltà.

      Riguardo alla prima domanda: sì preferenzialmente utilizzo la linea arteriosa nei pazienti destinati alla rianimazione. Il fatto di non farlo sistematicamente dipende solo da limitazioni logistiche sopratutto la notte quando l’area rossa è completamente a mio carico e spesso non ho il tempo di fare quello che vorrei e che mi servirebbe. Perché in effetti con il tempo sono arrivato a rassegnarmi all’evidenza che monitorare i pazienti con quadri rapidamente in evoluzione è alquanto complesso utilizzando i sistemi non invasivi. Questo sia per motivi di inaffidabilità in termini assoluti sulla misurazione che per la ragione di avere un riscontro in tempo reale dell’andamento della terapia. Mi è capitato infatti di avere avuto pazienti con ipotensione apparentemente refrattaria in cui ho incrementato le amine per poi accorgermi che al monitoraggio invasivo i valori reali erano ben diversi.
      Anche il monitoraggio invasivo della pressione ha i suoi possibili intoppi ma è generalmente più affidabile oltre a semplificare nei pazienti intubati le valutazioni seriate dell’EGA.

      Per quanto riguarda la seconda domanda credo che la risposta anziché essere squisitamente logistica è di scelta clinica. Siamo in un terreno alquanto spinoso.
      Credo che l’avvio dell’infusione dei vasopressori debba corrispondere alla scelta coerente di ricoverare il paziente in ambiente intensivo (solo una volta non ho mantenuto questa coerenza e me ne pento tuttora!).Se questo non fosse immediatamente disponibile l’unica possibilità a mio avviso è quello di farsi carico del paziente sino a quando questa disponibilità non si concretizzi, peraltro soppesando bene tutti gli oneri per il funzionamento complessivo del DEA che questo comporta. Fortunatamente questo capita assai di rado dalle mie parti.

      Sappiamo che la realta delle risorse nonché dei pazienti ci imponga scelte talvolta drastiche. È peraltro vero che in determinati gruppi di pazienti, sempre più frequenti, la scelta più corretta è quella dall’astenersi da terapie aggressive, e che la vera soluzione è condividere apertamente la scelta con i famigliari.

  3. mattia, grazie delle risposte più che esaustive.
    Credo che il confronto sulle modalità di gestione sia fondamentale per migliorarsi. In questo caso effettivamente i problemi logistici sembrano comuni.
    grazie, e ancora complimenti per il post.
    alla prossima
    emanuele

  4. Complimenti per il post? Domande aperte a tutti:
    – se non potete, non avete tempo o non riuscite per qualche motivo a mettere subito un CVC e avete un paio di belle vene periferiche la noradrenalina la mettete sulla vena periferica o aspettate di avere un cvc?
    – la decisione se, quando e a quanto cominciare la nora la prendete voi o “dovete” chiamare il rianimatore e farvelo dire da lui?

    Grazie e complimenti

    • Spesso capita di avviare la NORADRENALINA dagli accessi periferici. Questo per i motivi più svariati, dalla necessità stringente di ripristinare una pressione di perfusione con urgenza all’impossilità logistica di posizionare il cvc per sovraffollamento del DEA.
      Per brevi periodi è una scelta plausibile, sebbene non scevra da rischi. Personalmente utilizzo preparazioni con concentrazioni relativamente basse di NORADRENALINA. Nonostante questo uno stravaso può avere conseguenze serie.
      Nella mia realtà ci si attiene alla Early Goald Directed Therapy per l’avvio del vasopressore nella sepsi. In tutte le altre forme di schock le decisioni spettano ai singoli (io ad esempio la uso spesso anche in altre circostanze come ad esempio l’embolia polmonare massiva).
      Non viene richiesto il consulto degli anestesisti, anche se può capitare che si possa prendere la decisione collegialmente nei casi che vengono discussi insieme, ma è una eventualità infrequente. Il fatto di richiedere l’intervento degli anestesisti dipende esclusivamente dal grado di competenza e indipendenza nella gestione dei pazienti critici. Dovremmo garantire questa autonomia professionale in tutti i DEA idealmente. Credo infatti che il ruolo di rianimatori ci competa pur non essendo degli anestesisti.

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