Chi ha i capelli bianchi certamente ricorderà la pubblicità del pulcino Calimero, troppo sporco per essere riconosciuto persino dalla mamma.
Si, ma cos’è la sindrome di Calimero? Cosa centra con il pronto soccorso e il nostro lavoro?
Sindrome di Calimero
La sindrome di Calimero o vittimismo patologico , ovvero la sensazione di essere costantemente vittime di soprusi e ingiustizie da parte degli altri tanto da farla diventare un’abitudine o uno stile di vita.
Difficile al giorno d’oggi trovare qualcuno che non si lamenti per qualcosa.
Noi che lavoriamo del sistema dell’emergenza, secondo alcuni siamo un pochino più proni di altre categorie a sviluppare questo sentimento di frustrazione. Almeno cosi spesso ci viene detto.
Veniamo ai fatti.
Sono passati pochi giorni dai fatti di piazza San Carlo e ovviamente, in ospedale come in città non si parla di altro.
A fine del turno mattutino, mi avvicina Fabrizia, una giovane collega e mi dice: ” Se prometti di non arrabbiarti ti dico cosa mi è capitato ieri.”
Mi siedo e comincio ad ascoltare…
“Ho incontrato un’ ematologa e abbiamo cominciato a parlare della notte della maxi-emergenza…” continua Fabrizia.
E mi ha detto ” Perché, in pronto soccorso c’eravate anche voi?” Strabuzzo gli occhi e del fumo grigio comincia a uscirmi dalle nari!
“Stai scherzando?”, replico
“No, no e per via dell’intervista del direttore sanitario pubblicata sul corriere.it, sembra che sia stato tutto merito dei chirurghi chiamati in reperibilità…”
“Ma come , noi che la reperibilità non l’abbiamo, ci siamo presentati spontaneamente; oltre ai medici di turno, tre hanno fatto la notte, altri due che avevano lavorato il mattino sono andati via a notte fonda per tornare poi a lavorare il mattino dopo, altri quattro hanno anticipato la presa in servizio. Di noi non si parla?”
“No, in compenso ci sono ringraziamenti per gli studenti e anche per il servizio di pulizia…” mette il carico Fabrizia.
Perche?
La solita sindrome di Calimero.
“Il ringraziamento, se si legge bene c’è stato per tutti, ergo anche per noi.”
“Come, anche per noi?
A fronte di quattro chirurghi chiamati e pagati in reperibilità, noi ci siamo presentati in cinque, non meritavamo anche noi una menzione?”
Sindrome di Calimero.
“Sai loro sono bravi a suturare…”
“Non lo nego, ma di solito la notte, chiamiamo il chirurgo a casa per suturare le ferite?”
Sindrome di Calimero
Medico d’urgenza e medicina d’urgenza
Non credo ci sia malafede in quanto affermato sul corriere.it. Tante ferite da suturare quindi è utile chiamare gli esperti. Il ragionamento fila.
In realtà non è stata una scelta. Il piano di maxi-emergenza prevede la chiamata in ospedale di tutti i medici reperibili, chirurgi compresi.
Il paradosso forse è che noi non abbiamo una reperibilità, se stiamo male in qualche modo facciamo fronte alla situazione.
E’ così. E sempre stato così.
Il problema é che, nonostante la scuola di specializzazione e la figura del medico unico in Pronto Soccorso, pochi ci considerano degli specialisti.
Per molti, non esistiamo , siamo invisibili.
Sindrome di Calimero
Non ho statistiche, ma in molti DEA il medico unico non esiste.
I posti nelle scuole di specialità sono risibili rispetto alle necessità. Ammesso che si vogliano impiegare in pronto soccorso solo degli specialisti in medicina d’emergenza.
Anche quello che facciamo è molto diverso.
Sono pochi i DEA dove i medici di pronto soccorso svolgono pienamente il loro mandato. Si occupano della gestione del paziente acuto, del suo inquadramento diagnostico delle prime cure con l’aiuto di altri specialisti e ne dispongono il ricovero.
In molti pronto soccorso i pazienti stazionano giorni costringendo il personale tutto del DEA a carichi di lavoro inaccettabili in altre parti dell’ospedale.
Non solo, ma sovente viene imposto, contravvenendo alle norme di legge, che il ricovero debba avere l’imprimatur del medico di reparto, dello specialista, l’unico in grado di calare il ponte levatoio degli accessi in ospedale.
E solo colpa degli altri?
Volendo uscire dalla logica della sindrome di Calimero, dobbiamo convincerci che se le cose vanno così non è solo colpa degli altri.
Non possiamo esigere rispetto, se ci comportiamo in modo da non meritarne.
Chiamare ogni specialista per qualsiasi problema, non ci aiuterà davanti al giudice, semplicemente suffragherà la convinzione che hanno alcuni che in fondo per fare il nostro lavoro sia sufficiente chiamare lo specialista giusto.
Noi tutti sappiamo che le cose non sono così.
Far valere invece il nostro punto di vista in modo fermo ma rispettoso e educato, è un giusto e irrinunciabile diritto. Un basilare punto di partenza.
Cercare di cambiare le cose e non accettare passivamente al realtà è mandatorio, oggi più che mai.
Non vorrei, tra qualche anno, ancora sentire quanto spesso mi viene detto da alcuni quando scoprono che lavoro in pronto soccorso: ” Alla tua età lavori ancora in pronto soccorso? In tutti questi anni non sei riuscito a trovare di meglio?”
Dr D’Apuzzo seguo il suo blog da vari anni . Da collega, non solo spero che un medico come lei non abbandoni mai il DEA, ma anche che nel prossimo futuro ci siano sempre più’ medici con le sue doti professionali in un Pronto Soccorso . Con stima Dr.Pasquale Fiore
Pasquale,
grazie del supporto e delle belle parole.
…per non parlare del medico del 118…quello serve solo a fare taxi sanitario…..e a coprire i turni vacanti del PS!!!!
Fabio Greco ( medico calmiero del 118 )
Io mi sto per specializzare in medicina d’urgenza e l’altra sera una mia amica che lavora nella società di servizi all’interno del mio ospedale, mi ha consigliato cosi: “perché invece che fare il medico generico in pronto soccorso non ti prendi una bella specialità?tanto lo sanno tutti in ospedale che sono di classe B!”
La mia frustrazione è raddoppiata?
Julia,
capisco la tua frustrazione,ma non bisogna arrendersi. Il cambiamento dipende in buona misura da noi.
Caro Carlo,
Ho iniziato la mia carriera come cardiochirurgo e per 15 anni sono stato un super specialista poi a 43 anni ho dovuto riciclarmi e l’unica possibilita’ e’ stata il pronto soccorso. Ho scoperto un mondo non di serie B ma di grande professionalita’ e all’eta’ di 50 anni mi sono specializzato in medicina d’emergenza-urgenza perche’ credo nella peculiarita’ del nostro lavoro.
Hai ragione il cambiamento deve partire da noi.
Marco,
grazie per avere condiviso sul blog la tua esperienza.
Caro Carlo..parlo a te e tutti i colleghi che come te si armano di tanta pazienza ed incredibile professionalità ed affrontano durante ogni turno una “mini -maxi emergenza”..un grazie non è abbastanza..NON siete e NON starete mai di classe B!!
Grazie Susanna,
anche se, in quanto autrice di punta del blog, sei un po, di parte. 😉
Buongiorno cari colleghi,
vi seguo da anni con enorme interesse pari solo alla gratitudine per il vostro preziosissimo lavoro di condivisione. Questa è la prima volta che inserisco un commento ai vostri post. Penso che sia per me un’occasione davvero irripetibile per conoscere e scambiare opinioni tra autentici addetti ai lavori riguardo a quello che, a mio parere, costituisce la questione delle questioni, la vera madre di tutte le battaglie: che cosa siamo noi medici d’urgenza? come facciamo a spiegarlo agli altri, ma soprattutto come facciamo a spiegarlo a noi stessi? Lo statuto della nuova scuola di specialità (ormai non più così nuova) è sufficiente a caratterizzarci per quel che siamo e per quello che facciamo? oppure la mostruosa eterogeneità in cui si articola tuttora la figura del medico d’urgenza sul territorio nazionale, anche a parità di percorso formativo e di età, è la spietata dimostrazione che non abbiamo ancora raggiunto uno standard accettabile di riconoscibilità?
“Lo Specialista in Medicina d’Emergenza-Urgenza deve avere maturato conoscenze teoriche, scientifiche e professionali nei campi del primo inquadramento diagnostico (sia intra che extraospedaliero) e il primo trattamento delle urgenze mediche, chirurgiche e traumatologiche; pertanto lo specialista in Medicina d’Emergenza-Urgenza deve avere maturato le competenze professionali e scientifiche nel campo della fisiopatologia, clinica e terapia delle urgenze ed emergenze mediche, nonché della epidemiologia e della gestione dell’emergenza territoriale onde poter operare con piena autonomia, nel rispetto dei principi etici, nel sistema integrato dell’Emergenza-Urgenza.”. Così recita lo statuto. E segue con una sfilza di procedure di cui lo specializzando deve dimostrare di essere attore nel corso dei cinque anni.
Ma che cos’è che ci rende unici e irraggiungibili (fatemi passare qualche aggettivazione roboante…)? la capacità di posizionare tubi endotracheali o toracostomici o cvc o drenaggi pericardici o applicare suture o ridurre lussazioni e fratture e chi più ne ha più ne metta? Ho lavorato molti anni in un PS con la figura del medico unico di PS e di notte nessun consulente in ospedale e ciononostante non posso che rispondere che temo non sia quella la nostra peculiarità.
Per vari motivi:
– l’affidabilità di qualsiasi procedura di tipo “tecnico-manuale” è direttamente proporzionale al numero di volte in cui la si è eseguita e al numero di volte in cui la si esegue nell’unità di tempo: da qui deriva l’incontestabile verità che in ogni ospedale “sano” qualsiasi rianimatore/anestesista, chirurgo, ortopedico, ecc. DEVE garantire migliori capacità nella singola procedura rispetto a noi (ho lavorato a fianco di valentissimi colleghi di PS che nella loro carriera hanno avuto occasione di praticare qualche pericardiocentesi, ma non riesco a non ammettere che se avessi mio figlio tamponato implorerei vilmente che il drenaggio venisse eseguito da un cardiochirurgo e il fatto che non sia presente il cardiochirurgo è una mera questione di carenza organizzativa, non sicuramente di merito! e questo vale per qualsiasi altra procedura)
– a meno di poter lavorare (e chi più farlo?) esclusivamente e tutti i giorni sui codici rossi e con un numero sufficiente di accessi al giorno con questa caratteristiche, nessuno di noi potrà mai individualmente raccogliere un volume di casi sufficiente a poterlo neppur remotamente avvicinare alla casistica procedurale degli specialisti suddetti (ripeto, in un ospedale “sano”, cioè un ospedale in cui li specialisti siano impiegati a tempo pieno a fare ciò che devono fare con standard qualitativi sorvegliati)
Quindi? Qual è la peculiarità che ci distingue da tutti gli altri e che ci risparmia di essere accusati di voler “fare” i piccoli rianimatori, i piccoli chirurghi, i piccoli ortopedici, ecc.? una sola: la capacità di inquadrare e gestire nell’ambito di un sistema complesso ma non illimitato di risorse i problemi di salute di un numero imprevedibile nell’unità di tempo di esseri umani nel modo più completo possibile, nel più breve tempo possibile e con il più oculato impiego di risorse possibile.
E tutto questo comporta la necessità per ognuno di noi di essere in ogni istante il responsabile non solo del paziente che abbiamo davanti, ma anche di quelli che abbiamo in consegna, che abbiamo già visitato e, che piaccia o no, di quelli che aspettano in sala d’attesa. Di qui la necessità di calibrare le risorse che dedichiamo di tempo, di spazio e di mezzi a seconda dei flussi (tutti i giorni affrontiamo un piccolo PEIMAF!). E di qui anche la necessità, mi spiace ammetterlo, di dover delegare una procedura tecnico-manuale a chi (il consulente) non ha l’incombenza, come spessissimo abbiamo noi, di tenere sotto controllo uno scenario complicatissimo nel quale non possiamo nemmeno permetterci di abbassare lo sguardo su una ferita aperta o se non addirittura di indossare un paio di guanti sterili!!
Tutto questo è un mero lavoro di smistamento? ma scheziamo! per svolgere al meglio questa attività servono
una cultura medico/umanistica/giuridica che parte da lontano,
prontezza di riflessi,
capacità fenomenali di multitasking,
resistenza alla fatica,
capacità di mantenere il massimo della concentrazione per tempi non preventivatili e, per entrare in dettagli più specifici,
capacità di interpretare rapidamente e con competenze di livello superiore le EGA, le immagini radiologiche e gli ECG, capacità di eseguire ecografie mirate, capacità di gestire presidi come la NIV a livelli non inferiori agli specialisti (in queste attività sì che possiamo raccogliere casistiche individuali competitive!).
Se concentriamo le nostre forze e rinforziamo la nostra consapevolezza su ciò che ci rende inimitabili ed insostituibili in un’ottica di medicina moderna in un contesto sempre più pressante di ottimizzazione delle risorse, vedrete che non passeranno molti anni che la nostra specializzazione sarà considerata come l’unica di serie A.
Alessandro Sabidussi
Alessandro,
grazie di cuore del tuo intervento.
Questa è musica per le mie orecchie!
Apprezzo moltissimo questo post e l editoriale che ha fatto Alessandro. Il nostro lavoro è inquadrare con un colpo d occhio situazioni molto complesse ed essere cintura nera di multitasking. Ci sono procedure ed argomenti (ega ecg ecografia tora e paracentesi, niv) in cui con un minimo di impegno saremo sempre alla pari con lo specialista (se non davanti) e procedure ( pericardiocentesi, cistostomie, accessi centrali) in cui non tutti diventeremo autonomi (proprio per la mancanza di casistica). La nostra chiave è la completezza, la stessa completezza dell internista.
La sindrome di Calimero l abbiamo costruita noi … A noi tocca lavorare per togliercela di dosso… Impegno, costanza, professionalitá … umiltá ed una punta di orgoglio quanto basta
Sono un medico specialista in medicina d’emergenza ed urgenza, e mi ritrovo pienamente in questo articolo, nelle considerazioni e soprattutto nelle conclusioni. Purtroppo regna nella maggior parte dei pronto soccorso la mentalità per cui il MEU serva solamente a smistare i pazienti ai vari specialisti. Per cambiare questa mentalità però non basterà solamente il tempo. Senza un intervento deciso la maggior parte dei nuovi specialisti si adeguerà alla situazione attuale, e purtroppo tutto rimarrà come è.
Per questo motivo da tempo stiamo pensando a costituire una associazione di specialisti che possa aver voce in capitolo, e possa costruire un ruolo unico del MEU, con le sue competenze riconosciute, i suoi diritti ed i suoi doveri, con mansioni diversificate dal personale non specialista (ad eccezione ovviamente di coloro che lavorano da anni nell’emergenza e che sono di fatto equiparati agli specialisti)!
La sindrome di Calimero ce la siamo voluta e creata noi!
Pensate al direttore d’orchestra: a chi, se non scervellato totale in musica, verrebbe in mente di considerarlo uno “smistatore di parti musicali”? o di ritenerlo meno importante dei singoli orchestrali pur non possedendo magari lo stesso virtuosismo nell’adoperare il loro specifico strumento? Eppure il direttore stabilisce lui e soltanto lui il momento in cui e la modalità con la quale il singolo strumento entra in atto e lui e solo lui si assume la responsabilità del risultato finale e persino …della singola stecca. Ma al termine dell’esecuzione il trionfo, se arriva, è soprattutto per lui ed è lui che il pubblico cerca ed applaude. Noi non cerchiamo né il trionfo né gli applausi e nemmeno la gratitudine, è vero…ma se vi dicessi che l’orchestra nel nostro caso di medici di PS non è soltanto il singolo paziente, ma una moltitudine di pazienti ognuno dei quali è un’orchestra in sé e per una buona parte del nostro tempo noi dobbiamo dirigere molteplici orchestre in perfetta coordinazione, cioè UN‘ORCHESTRA DI ORCHESTRE? Se riuscissimo ad assimilare questa consapevolezza potremmo mai consentire ai consulenti di stabilire tempi e modalità e dettare legge su percorsi diagnostico-gestionali dei nostri pazienti guardandoci dall’alto in basso?
Assolutamente d’accordo sulla necessità che ci si associ per curare gli aspetti socio-sindacali, ma direi addirittura “autoidentificativi”, della nostra categoria.
Un saluto.
Se dobbiamo essere sinceri il problema fondamentale è che al momento non tutti coloro che lavorano nell’emergenza hanno le stesse competenze, la stessa formazione e gli stessi obiettivi. Per molti lavorare in PS significa proprio smistare i pazienti ai vari specialisti, perché prima funzionava così, perché non sono mai stati formati per fare altrimenti, perché è più semplice….
Dobbiamo a mio avviso fare in modo che coloro che entrano adesso in questo mondo, che siano specialisti in MEU, internisti o cardiologi (i non specialisti da ora in poi non dovrebbero più lavorare in PS perché è un lavoro che richiede una formazione specialistica dedicata come l’anestesista o il chirurgo!), capiscano che il malato è nostro finché è in PS, e che certe procedure sono nostro bagaglio culturale ed è nostro dovere farle quando ce ne è bisogno.
Questa cultura non è diffusa e temo che non si diffonderà mai se non ci associamo per promuoverla e portarla avanti, come è già avvenuto in altri paesi.
Ciao a tutti. Ho bisogno di essere illuminato.
Lavoro in un PS che è in fase di riorganizzazione. Partiamo da un PS “classico” con internista chirurgo pediatra e ortopedico.
Già da un anno stiamo facendo affiancamento chirurgico e a breve dovrebbe avvenire il salto quanto meno prendendo in mano la parte chirurgica e forse anche quella ortopedica (specie di notte quando l’ortopedico ama dormire). La direzione nicchia, per loro non è prioritario. Vorrei preparare un documento che possa portare argomenti a nostro favore ma non ho trovato molto in letteratura. Conoscete qualche articolo, metanalisi, allucinazione o delirio in cui siano confrontati i due modelli organizzativi?
Grazie Alessandro. L’immagine del direttore d’orchestra è affascinante, anticalimero e molto, molto consolatoria nel senso migliore e più ampio del termine. Ma in certa misura fuorviante. L’ospedale non ruota intorno al Pronto Soccorso e non credo auspicabile sia così. Tuttavia per il paziente che accede in Pronto Soccorso la miglior fortuna, il miglior specialista, è il medico d’urgenza. Che in questo caso deve dettare lo spartito e deve dirigere l’orchestra formata dagli altri colleghi dell’ospedale. Non ho la competenza per eseguire una appendicectomia, ma devo avere la competenza per riconoscerne la necessità e coinvolgere il collega formato per farlo affinché esegua il suo intervento. Tuttavia ogni direttore d’orchestra conosce e all’occorrenza sa suonare almeno alcuni spartiti degli strumenti. Al pari noi medici d’urgenza dobbiamo conoscere e saper fare almeno alcune procedure “tipiche” dei colleghi che lavorano in altri reparti.
Lavoro in un DEA con medico unico da anni e posso dire che ormai spesso mi trovo di fronte a colleghi dell’ospedale che se chiamati a gestire casi complessi acuti in Pronto Soccorso non hanno più la competenza perché disabituati a farlo.
Da paziente quindi io vorrei un bravo medico d’urgenza ad accogliermi e gestirmi, qualunque sia la mia patologia, fino a quando non verrò trasferito o dimesso.
Ho avuto il grande onore e l’immenso privilegio per tre anni di essere il responsabile di un “piccolo” (solo in termini di spazio) Pronto Soccorso di provincia, con scarse risorse in termini di tecnologia e di quantità di specialisti. Ma non ricordo di aver mai ricevuto una lamentela/problema medico-legale o giudiziario dai pazienti quando il medico di Pronto soccorso si è comportato avendo in mente questo semplice -direi banale- concetto: il miglior specialista per il paziente di Pronto Soccorso è il medico d’urgenza. E posso assicurare che stima e la considerazione dei colleghi dell’ospedale è cresciuta esponenzialmente, al punto da farci considerare del tutto alla pari ed essere voci autorevoli ascoltate e rispettate in ogni riunione/decisione/progetto, anche quelli importanti e decisivi per tutto l’ospedale.