I motivi sono molti, moltissimi – milioni di milioni, come diceva lo slogan di una pubblicità di molti anni fa; sono così numerosi, questi motivi, che portano ad un problema crescente, presente in tutto il mondo, che è quello del sovraffollamento delle strutture di emergenza. L’overcrowding, per dirla all’anglosassone.
Già mi immagino i commenti di chi sta leggendo queste righe, da quelli più posati, a quelli più accesi.
Il problema dell’overcrowding è un problema reale e sentito per gli operatori dell’emergenza: consuma energie, tempo, risorse, denaro, e converte l’obiettivo di un pronto soccorso da una struttura deputata alla gestione dell’emergenza, ad una struttura ambulatoriale che ogni tanto – in mezzo alle stipsi e alle congiuntiviti – deve gestire anche qualche urgenza. Una review su dati internazionali ha rivelato che fino al 90% dei pazienti di un PS possono essere definiti non urgenti (con una media di 32.1%).
Eppure – ne sono sempre più convinto – molti pazienti (sicuramenti non tutti, ma molti sì) hanno ragione a recarsi in PS.
Ecco, sento già il brontolio del lettore. Eppure la mia convinzione non è istintiva, e anzi è l’evoluzione di una precedente idea, di senso opposto, che era una reazione di rabbia verso l’uso improprio del pronto soccorso; dieci anni di esperienza mi hanno convinto invece del contrario, ossia che in molte situazioni i pazienti non possano far altro che recarsi in un pronto soccorso per farsi ascoltare, curare, accogliere.
Sono però consapevole che il problema del sovraffollamento sia reale, in crescita, e che debba essere affrontato. E per affrontare un problema, prima di tutto è necessario conoscerlo in profondità.
E noi sappiamo davvero perché le persone vengono in pronto soccorso?
Per far prima? perché sono furbi? perché sono ansiosi?
L’incomprensione spesso conduce all’incomunicabilità – non viceversa. Se noi – operatori dell’emergenza – siamo convinti di un’idea preconcetta, non possiamo capire i reali motivi per i quali un paziente ha richiesto il nostro intervento. E se non lo comprendiamo, non possiamo pensare di trovare delle soluzioni efficaci.
E davvero, gli operatori dell’emergenza (medici ed infermieri) sono in grado di capire cosa conduca i pazienti in pronto soccorso?
Un lavoro piuttosto recente pubblicato dal Journal of Emergency Medicine (Patient and provider perceptions of why patients seek care in Emergency Departments) dimostra che esiste una dicotomia ben precisa tra i due lati del problema. In realtà, gli autori hanno condotto un sondaggio tra i pazienti e tra i medici di famiglia, però i risultati a cui giungono sono interessanti e offrono molti spunti di riflessione per chi lavora nel setting dell’emergenza, se non altro perché mostrano in modo chiaro il punto di vista del paziente: il quale, nel 61% dei casi (su 1062 pazienti che hanno risposto al questionario e sono risultati eleggibili) ha riposto di aver contattato il pronto soccorso ritenendo “seri” i sintomi lamentati, e risultando timoroso per la propria salute; circa il 35% è risultato inviato da un medico. Solo l’8% dei pazienti ha dichiarato di aver raggiunto il pronto soccorso per comodità personale (erano possibili risposte multiple). Il grado di urgenza – credo che sia il pensiero di tutti noi – è un problema soggettivo, una falsa percezione, e infatti nello studio la grande maggioranza dei pazienti che si reputava “in gravi condizioni” è stata poi dimessa.
Ma già questo è un punto su cui riflettere. Perché il paziente ritiene – spesso a torto – di avere una patologia grave, o comunque meritevole di accertamenti urgenti? è forse spaventato dalla continua esposizione televisiva a patologie e diagnosi mirabolanti? è perso nel mare di informazioni fornite dal web? o forse siamo noi medici (specialisti e non) ad aver perso il contatto con i nostri pazienti, alla cui domanda di attenzioni rispondiamo prevalentemente con indagini strumentali o di laboratorio?
Il sondaggio dei medici curanti ha evidenziato come nell’80% dei casi ritenessero l’accesso dei loro assistiti in PS dettato da una iniziativa autonoma; sempre nell’80% dovuto ad una patologia non gestibile a livello ambulatoriale per il grado di severità, e nel 77% dei casi attribuivano l’accesso a problemi di “fuori orario” del loro studio (anche in questo caso erano possibili risposte multiple).
Curiosamente, anche gli stessi medici invianti esprimevano un giudizio sulla severità dei loro pazienti che combaciava con quello dei pazienti stessi, ma la cosa non mi sorprende: certo, a volte è difficile discriminare tra un paziente con patologia seria da quello con patologia ambulatoriale senza ricorrere ad accertamenti strumentali o di laboratorio; e in effetti, come posso contestare al curante l’invio di un paziente al pronto soccorso, se la dimissione si correda di esame ematici, ecografia, ECG, radiografie, magari una consulenza specialistica?
La situazione è chiara: il paziente e il medico territoriale curante, in genere, sovrastimano la severità dei sintomi – e il medico del pronto soccorso ridimensiona il problema. Quindi noi urgentisti siamo più bravi? ripeto, se dimettessimo i pazienti solo con la nostra visita, potremmo ben affermarlo. Ma spesso così non è. Il problema è contorto, e la soluzione non sarà facile: il medico del territorio non ha i mezzi (spesso) per fare una medicina moderna, il paziente richiede prestazioni sempre più raffinate ed il medico di pronto soccorso (spaventato dalle conseguenze legali) le fornisce. Il circolo vizioso di autoalimenta.
Come è possibile intervenire? Non ho la presunzione di fornire una soluzione con questo post. Gli autori dello studio citato, descrivendo altri lavori analoghi, propongono: con la comunicazione.
Con una comunicazione efficace, sia da parte dei medici curanti che dei professionisti dell’urgenza, è possibile ridurre una parte di accessi o di re-accessi dopo una dimissione. Il che significa impegnarsi di più in quella parte della professione medica (che forse gli infermieri svolgono meglio), lontana dagli esami ematici, dalle procedure di imaging e dalle procedure invasive: il farsi carico del problema del paziente, e cercare di comprenderlo senza giudicarlo.
Esistono altri problemi che non sono facilmente risolvibili: ed è innegabile che il pronto soccorso eserciti un’attrattiva irresistibile per i pazienti. Malgrado la sua natura caotica, fornisce prestazioni 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana; un’attesa di alcune ore permette di completare iter diagnostici che – eseguiti a livello ambulatoriale – richiederebbero code per la prenotazione, per l’esecuzione, il pagamento di molti ticket e tempi di esecuzioni prolungati. Su questo aspetto possiamo fare poco, ma sicuramente una soluzione deve essere trovata: l’overcrowding, aggravato dalla carenza cronica ed esponenziale dei posti letto, comporta rischi per l’utenza stessa, come avvertito dagli operatori. Uno studio francese, analogo a quello già presentato sottolinea che, secondo i medici, il sovraffollamento riduce la qualità delle prestazioni erogate, sottraendo tempo ed energie per i pazienti più urgenti, e soprattutto conduce a frustrazione per lo svolgimento di un lavoro diverso da quello per cui sono addestrati. Tuttavia, gli operatori dell’urgenza tendono a confondere (involontariamente) il concetto di condizione urgente con quella di “urgenza per la vita” del paziente, e questo viene sottolineato da diversi lavori: una condizione può essere urgente anche in assenza di un pericolo per la vita del paziente, e talvolta possiamo dimenticare che l’ansia e il dolore, o addirittura la piccola traumatologia, possano richiedere trattamenti urgenti. Il dolore non può essere valutato dall’esterno, eppure quante volte nei nostri PS l’odontoalgia viene valutata come “codice bianco”?
In questo senso, il pronto soccorso svolge un fondamentale ruolo sociale, che non deve essere dimenticato: e se a volte può essere pesante, poco tollerato dagli operatori, è una condizione di cui dovremmo andar fieri.
Una bella Review inglese, pubblicata nel 2012 dall’Emergency Medicine Journal, sottolinea anche altri aspetti: per esempio, l’overcrowding aumenta il rischio di violenza sugli operatori stessi, condizione che sta diventando tristemente comune anche in Italia, e che in effetti non è tollerabile. Questo lavoro descrive in dettaglio il problema del sovraffollamento e le possibili strategie organizzative, ma questo argomento esula dal tema di questo post, che vuole essere una riflessione sui diversi punti di vista di un problema; ossia un tentativo di attraversare lo specchio, come Alice, per scoprire un mondo con cui ci interfacciamo ogni giorno ma che non sempre riusciamo a capire. E se lo comprendiamo, quel mondo, possiamo gestire meglio i suoi problemi – che poi sono anche i nostri. E quindi, al di qua e al di la dello specchio quello che troviamo sono soltanto persone: da una parte persone che stanno male (o che pensano di stare male), e dall’altra persone che lavorano per cercare di curare chi sta male (o che pensa di star male).
Situazione che è stata descritta in modo magistrale da uno dei più grandi poeti del XX secolo, Charles M. Schulz, in una bellissima vignetta tra Linus e sua sorella Lucy: quando Lucy obietta che suo fratello non potrà essere mai un buon dottore perché non ama l’umanità, Linus risponde:
“Io amo l’umanità. E’ la gente che non sopporto”.
E se a volte ci sembra di dover fronteggiare un mare di gente, in realtà siamo curando delle persone che hanno bisogno.
Complimenti! Bell’articolo su una delle questioni delicate dei nostri DEA.. Unica nota in più.. Almeno nella mia esperienza i pazienti riferiscono anche un altro motivo per cui accedono sempre più al ps e sempre meno dal curante: la mancanza di fiducia nel MMG.. Trovo che questo sia un problema enorme.. Nn si fidano di un medico che dovrebbe conoscerli molto meglio di uno che li vede una tantum?!?
Grazie Donatella del commento. In effetti, il sovraffollamento è un problema rilevante, e spesso le soluzioni per risolverlo aggravano la situazione. Forse una riforma profonda del SSN potrebbe risolvere la situazione, con un ruolo chiave dei MMG. E qui si apre il problema della fiducia: siamo sicuri che il paziente non si fidi del suo curante e di fidi di noi sconosciuti (che poi sconosciuti non siamo, ma siamo inglobati nella nomea dell’ospedale)? Io penso che non sia una questione di fiducia, ma di mezzi: da noi il paziente fa esami, ecg, visita specialistica ecc ecc. Dal curante, no. Forse, se i MMG fossero dotati di esami point-of-care, ecografia clinica, ecg, e avessero percorsi rapidi per gli specialisti, guadagnerebbero fiducia. Ma è una mia idea
mi sa che non è solo una tua idea! Rispondo con un articolo pubblicato recentemente sul bmj open
http://bmjopen.bmj.com/content/4/8/e005611.full.html
Grazie Fabio del tuo contributo! Sarà il futuro della medicina territoriale, sperando che possa aiutarci un po’…
Ottimo articolo. Sono specializzando (di tutt’altra area) ed è da un paio di anni che mi occupo di continuità assistenziale (GM), e credo che così com’è strutturata non abbia senso! Coi mezzi a disposizione più che ricette e minuteria non riusciamo a fare! Se invece fosse riformata per renderla qualcosa di realmente utile a sfoltire gli accessi inutili in PS (con i problemi sopra citati e i costi che ne derivano) certamente ne guadagnerebbero tutti, noi, voi e pazienti.
La realtà è che si lavora con pochissimi strumenti, il massimo di diagnostica che ho a disposizione sono gli stick urine (!!!!) quando non sono esauriti, per il resto ho più o meno quello che la borsa di un medico decente deve contenere, senza neppure il vantaggio del MMG di conoscere il pz e di avere un suo storico e di conseguenza di aver qualche aiuto un caso di dubbio.Punto. Poi ci sono i “vizi” e limiti di una parte di colleghi che rasentano l’assurdo e vi inviano qualunque cosa, ma chi non ha colleghi che lo fanno (leggasi “consulenze-visite parere”)?
Di un accenno di riforma abbiamo tutti sentito parlare…una soluzione secondo il mio modesto punto di vista che potrebbe andare in quella direzione e far risparmiare anche rispetto all’organizzazione attuale potrebbe essere ridurre le sedi e i medici di GM, accentrandoli in poche sedi, chiedere competenze specifiche (es con la presenza contemporanea di un internista, un chirurgo e un pediatra, ovviamente moltiplicati per le sedi affollate), e dotandoci di qualcosa per poter essere veramente utili a evitare l’affollamento dei PS e uscire dalla logica del ricettificio e dello sbrigamento della sola minuteria (gastroenteriti e “ho-la-febbre-non-mi-passa”). Non si chiede tanto, ma almeno una stanza per tener in osservazione poco tempo un paziente,un ecg e uno strumento per valutare la PCR… Vogliamo mettere solo una toppa a costo zero, senza stravolgimenti? Benissimo, perché non la possibilità di poter chiamare colleghi specialisti per una consulenza? Quante volte ti capita l’oncologico o il malato complesso con sintomo comune che non sai se, in quel caso, ti deve allarmare (-> PS) o meno?
Grazie Carlo del tuo intervento! Il problema della Continuità Assistenziale è anche rappresentato dell’enorme turni over di persone che transitano al suo interno. Però medici con le tue idee e la tua passione possono davvero fare tanto, in attesa di una riforma ormai necessaria e inevitabile. Un aspetto rilevante è svolto dell’interazione. I giovani colleghi che hanno frequentato il nostro pronto in tirocinio e sono in guardia medica, ci contattano se hanno dubbi (e sia chiaro : se un collega sul territorio ha un dubbio basato sulla realtà dei fatti, la risposta del dea non può che essere : inviami il paziente, e grazie della chiamata).
Bellissimo post Alessandro. Complimenti.
Ancora oggi, nonostante tanti anni, mi stupisco di certi accessi, ma oramai non più della ragione che li ha motivati. Sono in effetti pochi i pazienti che usano il PS come scorciatoia. La maggior parte di essi è convinto di essere venuta motivatamente. Tuttavia, come hai giustamente sottolineato, dovremmo essere i primi a gestire le richieste inappropriate, se mi consenti il gioco di parole, con una risposta appropiata. Quante volte vengono richiesti esami e valutazioni specialistiche per quadri a bassissimo rischio e sicuramente non evolutivi a breve, con un conseguente aumento del carico di lavoro e peggioramento del sovraffollamento stesso. Al di là della medicina difensiva e delle consuetudini, il problema è spesso la nostra scarsa confidenza con la stima del rischio e non ultimo la disabitudine a parlare con il paziente. Perché molto spesso l’accesso inappropriato necessita, oltre ad una adeguata valutazione anamnestica e fisica, di un confronto con le paure del paziente che meritano di essere fugate e reindirizzate. Anziché fare rientrare asetticamente queste richieste nello schema consueto dell’esclusione di improbabili rischi, dovremmo riappropriarci del rapporto medico paziente. Ma quant’è difficile quando si valutano così tanti pazienti in un turno di lavoro!
Grazie Mattia, hai centrato la mia idea. Spesso l’atteggiamento visita-ecg-batteriadiesami-strumentalestandard può accelerare il processo, ma non si prende cura del paziente, che poi ritorna… Ma concordo con te, spesso non è facile
16 anni di Pronto Soccorso…sia chirurgico che internistico…un pochino di esperienza…e raccolta dati per un libro…
I pazienti “traumatologici” vengono giustamente in DEA…quasi tutti. Una capocciata, un piccolo trauma contusivo…anni fa (millenni?) nessuno sarebbe andato in Pronto Soccorso per una caduta con capocciata (ma neanche per uno svenimento in chiesa…con o senza trauma).
I pazienti internistici vengono in DEA spesso con ragione (dirò anche di quelli che vengono senza ragione), anche se ambulatoriali.
1) Problema da tempo…andati dal MMG…richiesto esame…andati a prenotare…prenotabile dopo 7 mesi… che dovrebbe fare, il paziente? In questo caso, io accondiscendo volentieri al loro bisogno, certamente non urgente, ma neanche differibile così a lungo (qualche volta in Codice Verde, qualche volta facendo pagare il ticket, a seconda di come – in scienza e coscienza – mi appaia il problema del paziente.
2) Idem per visita ambulatoriale (per esempio ORL): perché se un MMG non si fida (ah, la Medicina difensiva!) di tirar fuori un’ostruzione del meato uditivo, bisogna lasciare il paziente tre mesi co ipoacusia e/o vertigini?
3) Problema in acuzie non risolvibile dal loro MMG (decadimento inspiegabile ingravescente in breve tempo – dolore refrattario agli antidolorifici) perché non risolvibile a breve o perché…MMG non presente in Ambulatorio (non avete idea, qui a “Due-Minuti-dalla-Fine-del-Mondo”…i MMG hanno ambulatori in vari paesini e non sono presenti tutti i giorni, per cui le persone non hanno a disposizione il loro MMG!!)
4) Dolore toracico…sia esso atipico o tipico…il dolore toracico è sempre da vedere con ECG ed esami. Punto. Sfido chiunque a dirmi che ha dimesso un solo paziente con dolore toracico “atipico” dal suo DEA, senza fargli un ECG e/o gli enzimi cardiaci.
5) La “rottamologia”…e qui, mi dispiace se sarò impopolare, ma TUTTI noi conosciamo il problema del decadimento dell’anziano polipatologico
Ma il problema sono i pazienti che vengono per cretinate o per cose effettivamente risolvibili dal MMG.
Il Collega D’Apuzzo sa che io sono uno di quelli che spesso visito i pazienti e li dimetto senza eseguire un solo esame (cistiti, cefalee…); e spesso, quando eseguo esami in una BPN o in una febbre, lo faccio più per comodità del paziente che per reale urgenza (insomma, il paziente è qui, un emocromo/PCR/transaminasi potrebbero essere utili, così come una Rx torace…perché devo “punirlo” e farlo andare dal suo MMG che gli richiederà gli esami che lui – malato – dovrà tornare in ospedale ad eseguirli? Il ticket rappresenterà un – minimo – compromesso).
Ieri è venuto un ragazzo, tornato dal Senegal, che pensava di avere la malaria…perché ne aveva letto i sintomi su Internet…ma aveva trascurato il sintomo “febbre”, che non aveva.
Spesso arrivano giovani con gastroenterite…
Ma un grosso problema è rappresentato dalla mancanza di interazione Territorio-Ospedale.
Molto spesso alcuni miei giovani Colleghi mi chiamano per avere consiglio e sapere se possano ragionevolmente gestire il paziente al domicilio oppure siano “costretti” ad inviarlo in DEA. Ecco, questo è un punto fondamentale. Una “Rete” Hub-and-Spoke di Specialisti “attorno” al Medico del Territorio…
Ma magari sarebbe un punto fondamentale cambiare il Sistema: il Medico Condotto, una volta poteva affrontare molti problemi, ora non è più possibile.
La figura del MMG (oltretutto una figura privata convenzionata!!! Con un contratto assolutamente assurdo – 15 ore di ambulatorio per 1.500 pazienti!, per esempio) non ha più alcuna ragione di essere. Ogni MMG dovrebbe avere immediatamente a disposizione alcuni rapidi strumenti per poter adeguatamente rispondere al paziente. Niente fantasie e articoli fantascientici. In Italia non è così.
E comunque, ticket per tutti!!!!!!!!!!! E niente demagogia.
Buon lavoro a tutti
Beh, che dire! Grazie del commento, dell’esperienza e della passione che traspare dalle tue parole. Direi che mi trovo d’accordo. Comunque, il problema esiste e dobbiamo gestirlo noi in primis, senza pensare che altri possano farlo per noi, altrimenti ne verremo schiacciati.
Grazie per il post. Fa piacere leggere articoli e commenti da parte di chi condivide le tue stesse esperienze e, spesso, il tuo stesso disagio.
In Friuli Venezia Giulia, regione in cui abito e lavoro, il sistema sanitario regionale sta per essere riformato. Il principio su cui si fonda il disegno di legge (http://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/salute-sociale/allegati/Testo_base_proposta_di_riforma_sanitaria.pdf) è semplice: la maggior parte dei problemi di salute dell’attuale popolazione è cronico e spesso correla con una non adeguata rete di supporto familiare e dei servizi territoriali.
In sintesi il fulcro dell’assistenza (globale, cioè sanitaria, sociale e psicologica) sarà affidata ai distretti. I MMG, organizzati in rete, dovranno garantire un accesso sulle 12 ore 6 giorni su 7 ed in più saranno affiancati da ambulatori specialistici e strumentazione di base (ECG, ecografo, mini laboratorio tipo POCT). Insomma, se dovesse funzionare, mi ruberanno almeno l’80% del mio lavoro quotidiano!!
L’idea è buona e porterà alla chiusura (come già accade) di reparti per acuti e alla riallocazione di risorse al territorio.
Tra il dire ed il fare ci sono i conflitti politici, le piccole guerre locali e, problema gravoso, la mentalità degli utenti e soprattutto quella degli operatori.
Tra i miei colleghi c’è chi dice che non cambierà nulla perché la politica è così e chi, come me, spera nel cambiamento. Per i pazienti avere un ospedale sotto casa vale di più che avere un buon ospedale.
I ticket sono un deterrente per chi non ha soldi, ma corriamo il rischio di limitare l’accesso anche di chi ha veramente bisogno, così come accade per le cure odontoiatriche (nel “rural hospital” in cui lavoro vedo almeno 1-2 persone alla settimana con mal di denti che non possono andare dal dentista).
Concludo che il problema principale è che non possiamo rispedire al mittente chi accede impropriamente, perché spesso il mittente non c’è o è inadempiente. E per dire che l’accesso è improprio devo definire in primis con precisione le nostre competenze e per questo ci vorrà ancora un po’ di lavoro.
Grazie Alessio del tuo commento… che condivido, e condivido la tua speranza che una riforma sanitaria simile (sul modello inglese, a tratti) possa giovare al sistema dell’emergenza. Concordo anche con la tua opinione in merito al ticket sanitario: in effetti, i furbetti sono esenti, e spesso chi non se lo può permettere paga le colpe di un certo settore della medicina territoriale. Ripeto, il problema è reale e sentito: la soluzione unica non esiste, ma dobbiamo lavorarci.
Non rispedire al mittente chi si presenta, Quanto all’accesso improprio, una aplasia midollare o un dolore da mts, un mal di denti in orario di Guardia Medica, una tonsillite, un morbillo, un paziente (poveraccio, con CPK-MB elevato (!!!) richiesto chissaàperché dal MMG (“Invio per ECG urgente paziente con CPK MB elevato” – asintomatico, non statine, attività fisica positivo), sono “accessi impropri” già al Triage (se ci fossero medici e/o infermieri preparati, cosa che – statisticamente parlando non è, oggettivamente dimostrabile).
50 euro di ticket…Oddio, chi ha qualcosa di serio e verrà poi ricoverato, per vari giorni non spenderà un accidente di suo e, a fronte di 1.000 e passa euro di spesa al giorno ospedaliera, dire che 1/20 (1giorno di degenza) o 1/40 2 giorni) o 1/80 o 1/160 (così via), direi che non sono una pretesa assurda. E chi ha un motivo del cavolo, be’, è giusto che li paghi. Perché la medicina “gratuita” (la paghiamo con le tasse comunque, e mantenendo un abnorme e nefasto sistema convenzionato di MMG) esiste, e il cittadino ha la possibilità di avvalersene.
Ecco, inserirei la Odontoiatria tra i servizi a rapido accesso e terrei posti liberi (più di quelli attuali) per far lavorare i dentisti.
L’assistenza globale (MMG con ECG, laboratorio, ecografo), sinché si mantiente perversamente al di fuori del Pubblico, con un istema convenzionato pagato smodatamente, con orari di lavoro anarchici, stranissimi e talvolta inadeguati, la trovo una bellissima demagogica mossa.
Ma è la opinione, naturalmente
Buon lavoro, e auguro tanti (ma tanti) pazienti in DEA con buone diarree, tonsilliti, punture di insetto, congiuntiviti, dermatiti, mal di pancia, a tutti coloro che reputano giusto il ticket “erga omnes” (ironicamente e con simpatia).
Un abbraccio a tutti e buon lavoro
PgTB
Commento di un MMG: Io credo che se anche noi avessimo accesso in tempo reale alla diagnostica di base come accade nei PS, forse riusciremmo ad evitare tanti accessi impropri nelle strutture deputate prevalentemente alle emergenze. Ma questo non è e quindi ……..noi ci troviamo a combattere una guerra …….senza avere armi! Al netto delle inefficienze che purtroppo esistono anche nella nostra categoria.
Grazie Armando. Infatti, come ho accennato nel post, non mi capita mai di “contestare” (perdonami il brutto termine) al medico curante l’invio del paziente, se in PS ha eseguito un ECG, una radiografia, l’ecografia (anche clinica che faccio io, ma pur sempre una ecografia) e quant’altro. E riconosco che le lungaggini burocratiche e le difficoltà tecniche non sono d’aiuto al medico di medicina generale. Quante volte ti sarai sentito dire, chiedendo un esame radiologico o una visita specialistica urgenti direttamente ai colleghi: “mandami il paziente in pronto soccorso”? come se il pronto fosse una terra di nessuno in grado di risolvere magicamente qualsiasi pastoia burocratica. Capita però a volte di ricevere pazienti, inviati direttamente dal curante, per prestazioni palesemente ambulatoriali – ma questo fa parte di quel “netto delle inefficienze” di cui parli e che, davvero, è presente in ogni settore. Grazie dell’interessamento e del commento
Io credo che il lavoro del MMG sia veramente difficile e, come citato nel post, non posso giudicare l’operato di un collega quando io per primo dimetto il paziente dopo ECG, ecografia clinica ed esami di laboratorio e, perchè no, dopo aver discusso il caso con il mio collega.
La soluzione del distretto “attrezzato” e di una medicina di associazione potrebbe essere la soluzione. Qualcuno nella propria realtà ha avuto esperienza di ambulatori dei codici bianchi? Hanno funzionato?
Dipende da cosa intendi per ambulatorio dei codici bianchi: se interno all’ospedale (gestito dal MMG o da specialisti ambulatoriali, come accaduto in passato nei due grandi ospedali della mia ASL), posso dire che l’esperienza non è stata positiva, e conduceva – paradossalmente – più pazienti in ospedale, sia bianchi che verdi, forse per trascinamento; adesso esiste un ambulatorio fuori ospedale, gestito dai medici di MMG, prevalentemente per i pazienti senza assistenza locale (turisti, lavoratori, stranieri, ecc. ecc.).
Ti ringrazio per il bel articolo,difficile da risolvere.
Sono un pediatra convenzionato in Toscana,lavoro in uno studio associato con personale infermieristico e di segreteria. Facciamo esami in selhelp ( Emocromo ,Pcr ,tamponi.,glicemia,pulsiossimetria,impedenziometria…..),abbiamo una disponibilità di 12 ore al giorno e la possibilità di effettuare nel giro di poche ore esami radiologici ed eco ( attraverso un percorso di urgenza non differibile )ma riduciamo gli accessi al PS?
Vorrei sperarlo ma non ne sono dopo anni tanto sicuro!
Grazie Alessandro! sarebbe interessante scoprirlo, in effetti… probabilmente sì, perlomeno di quella fetta di pazienti onesti che per fortuna esiste ed è ancora la maggioranza. I furbi, o chi è troppo comodo, o anche chi non può abbandonare il lavoro e quindi non è compatibile con gli orari di un ambulatorio, probabilmente continueranno a raggiungere il PS. Penso però che la strada corretta sia quella seguita dal tuo studio. Ma sono ancora più convinto che dovremmo riappropriarci del rapporto medico-paziente, basato sulla comunicazione e sulla fiducia di entrambi: il medico dovrebbe smettere di pensare di trovarsi di fronte sempre ad un guerrafondaio pronto a denunciarlo per qualsiasi cosa, ed il paziente dovrebbe smettere di pensare trovarsi di fronte ad un criminale incallito inviato per nuocergli…. Grazie del tuo commento e della tua esperienza
Complimenti ottimo articolo su un problema sfaccettato e non facilmente risolvibile.
Lavoro come pediatra di famiglia in Toscana;
Abbiamo ciò che i colleghi sopra auspicano per la MMG e che in parte i nuovi progetti legge prevedono.
Medicina di gruppo ( 4 pediatri),personale di segreteria ed infermieristico, apertura giornaliera di 12 ore,esami urgenti in ambulatorio con risposte immediata ( Emocromo ,Pcr ,glicemia,urine,pulsiossimetria ,impedenziometria,tamponi faringei,ecc…..) ,possibilità di far ettettuare in poche ore esami radiologici ed ecografie ( attraverso un percorso urgente/ non differibile concordato con la Asl) quindi tutto o quasi che molti auspicano…..
MA
RIDUCIAMO GLI ACCESSI AL PS,(e non il sabato la domenica o la notte)????
Dopo anni di lavoro non ne sono poi tanto sicuro!
Potrebbe però essere un ottimo punto di partenza!
Da medico di una medicina di gruppo in prossimità di >Milano (27 anni di Medicina di Famiglia) circondata da quattro ospdali posso garantire che, nonostante la nostra accessibilità sia di tutta la giornata 9-19,30 e sabato 9-13 molti pazienti saltano l’accesso allo studio ritenendo che l’ospedale fornisca prestazioni “qualitativamente” migliori (salvo poi lamentarsi di aver atteso e di essere stati trattati “male”-secondo le loro aspettative). La diagnostica point of care potrebbe essere la soluzione ma richiede investimenti e competenze che in epoca di spending review non si inventano e soprattutto non si fanno dall’oggi al domani. Noi siamo anche dotati di un ecoscopio portatile per una prima valutazione ma è tutto stato fatto in forma autonoma e totalmente autofinanziato senza che si possa richiedere alcunchè al paziente ! E’ chiaro che stiamo parlando del paese dei balocchi e qualcuno come noi ci crede pure e ci mette delle risorse PERSONALI. Non può essere così, inoltre la possibilità di contatto diretto con specialisti di riferimento al PS dovrebbe essere la norma ma provate a telefonare ad un centralino di qualunque ospedale e chiedere di parlare col PS….
Se poi la diagnostica del territorio ha tempi “incompatibili” con le “ragionevoli” attese di medici e pazienti in mix esplosivo per recarsi al ps è pronto. Detto questo noi spesso ci assumiamo una quota di rischio clinico notevolissimo,( in assenza di qualunque dato strumentale) evitando di inviare al ps pazienti con quadri dubbi, confidando ancora nella nostra capacità clinica e nella nostra conoscenza del paziente. Siamo abituati a tollerare l’incertezza molto di più che non i Colleghi ospedalieri e questa non è una dote comune..si rischia del proprio. Forse dovremmo tutti ridisegnare e ridiscutere i percorsi formativi universitari, troppo centrati sulle malattie e poco sui malati/pazienti.
Grazie del tuo commento. In effetti, sollevi problematiche calde, e, come avrai intuito dal post, ritengo che il lavoro del medico di medicina generale (senza ausilio di strumenti diagnostici) sia anacronistico nel gestire patologie mediche o chirurgiche potenzialmente evolutive. Però è vero, l’attrattiva del pronto soccorso è forte, e l’attesa è nulla rispetto alla quantità di prestazioni che si possono ottenere. Ma a scapito di cosa? la qualità di una visita neurologica d’urgenza (poniamo un esempio), per quanto accurata, è comunque limitata dal tempo e dal contesto e non sarà mai equiparabile a quella fornita da un ambulatorio in elezione. Questo è un aspetto a cui il paziente spesso non pensa. Per quanto riguarda il problema dei contatti, può non essere semplice in molte realtà, ma dovrebbe essere risolto: in effetti, una comunicazione efficace territorio-ospedale (ospedale tutto, non solo il settore dell’emergenza) potrebbe già risolvere molti problemi. E concordo con te sull’aspetto culturale: è vero, l’approccio malattiacentrico è da accompagnare ad un approccio pazientecentrico, con una buona dose di comunicazione e di empatia che non viene insegnata o valorizzata nelle Università. Però sono convinto che una delle possibili soluzioni non sia: medicina ospedaliera vs territorio, piuttosto un’alleanza tra colleghi che condividono i rispettivi problemi, e conoscendoli, li rispettano cercando una soluzione di incontro
Assolutamente d’accordo sull’incontro ospedale territorio..se ne parla da anni senza aver mai tracciato una road map su come fare. Spesso noi MMG veniamo visti solo come “intrusi” anche quelle poche volte che ci presentiamo nei reparti a far visita ad un paziente complesso..(esperienze personali ripetute). Quindi DEVE cambiare la cultura in primis del lavoro MEDICO in genere!
Ma il dibattito sereno che si è aperto in questo spazio, tra diversi attori, è un buon segnale che le cose possono cambiare, se vogliamo. Perché è vero, non possiamo riformare il sistema, ma i rapporti tra colleghi si!
Bello l’articolo e anche tutti gli interventi,io sono mmg e lavoro da sola in una zona disagiatissima da due anni e i miei pazienti per mandarli in ps devo sudare 7camice…ci vuole più di un’ora di strada(ora abbiamo anche il problema delle frane) e poi devono lavorare (az agricole e artigianato),gli anziani li curiamo a casa grazie al servizio infermieristico domiciliare e se mi serve un esame urgente chiamo personalmente pubblico o privato in base alle possibilitá di chi ho davanti…vanno in ps solo i traumi i dolori toracici e i gravi scompensi per questo mi deprimo un po’quando alcuni colleghi dell’ospedale o del ps mi rispondono come se fossi un passacarte ..però poi mi passa!quando lavoravo in città sia come mmg che come gm la comodità di accesso e di orari del ps e della gm stessa era una grande tentazione per i pazienti…ma effettivamente quando si fidano del mmg vanno meno in giro ..
Buon lavoro a tutti!
Grazie Silvia del tuo bel commento! Mi fa piacere che molti commenti siano stati postati da medici di medicina generale, che hanno capito bene uno degli aspetti del post. Ritengo che nella maggior parte dei casi i MMG lavorino bene e in condizioni difficili (in effetti, il cattivo operato di pochi non deve oscurare il buon lavoro dei molti): ma sicuramente il mondo della medicina generale necessiterebbe di una riforma profonda (come hanno sottolineato alcuni prima di me, è difficile garantire una assistenza accurata se sei “massimalista” e ti attieni alle regole e agli orari (a cui alcuni si attengono scrupolosamente); e mi dispiace sentirti dire dell’atteggiamento che incontri (spero non sempre!) quando ti rapporti con l’ospedale. E’ un atteggiamento non corretto, e nasce dalla generalizzazione: magari esasperati da un collega MMG meno “scrupoloso” che ci ha procurato un bel po’ di lavoro nel turno, si “sbotta” con il collega coscienzioso che sta svolgendo il suo lavoro – ed è proprio sbagliato. Comunque, sottolinei un aspetto fondamentale, e che ho accennato nel post: se il paziente si fida del suo MMG, va meno in giro. La comunicazione è fondamentale. Ma non solo tra medico e paziente: anche tra medico e medico, soprattutto tra territorio e ospedale. Se si riuscisse a creare una rete di persone che si conoscono, il lavoro ed i contatti migliorerebbero, e non di poco.
Come al solito hai scatenato un vivace dibattito segno che hai centrato uno dei problemi più sentiti da molti colleghi.
Sull’attivita dei MMG avete tutti parlato ampiamente e concordo che il lavoro sul territorio è difficile e che dopo aver fatto tanti esami è facile criticare i colleghi. Certo è che io in 15 aa di PS non ho avuto spesso il piacere di interagire con i colleghi di MMG.
Un problema che mi sta particolarmente a cuore è il rapporto tra il DEA e l’ospedale.
Io mi arrabbio soprattutto con i colleghi dell’ospedale che dall’ambulatorio o dal DH di pneumologia, di oncologia, di cardiologia inviano i loro pazienti in PS.
Creo che con un po’ di buona volonta potrebbero gestire meglio i loro pazienti che poi finiscono in barella perchè non dimissibili. Sono malati cronici che spesso non hanno patologie acute ma solo una “normale” progressione di malattia.
Ieri ho visto 2 malati in PS per dolore da MTS e uno con una leucopenia da chemioterapia. Forse era una sorpresa che un malato con MTS avesse dolore o che dopo un ciclo di chemio sia andato in aplasia? forse con più attenzione e un po’ più di cuore una buona percentuale di malati cronici potrebbero evitare di aspettare ore e di finire in barella.
Grazie Paolo. In effetti, citi un problema rilevante, che ho trascurato nel post. Nella mia realtà questo aspetto è quasi del tutto risolto :la Direzione Medica ha prodotto un protocollo che ci protegge, garantendo che sia lo specialista che valuta un paziente cronico – se reputa necessario un ricovero – ad occuparsi di tutto (ricerca del posto letto, accettazione del ricovero urgente, cartella). Addirittura, è cura del consulente (anche reperibile) se accetta un ricovero da un altro Ospedale di occuparsi del ricovero, e il paziente non transita in Dea (a meno che le condizioni non lo richiedano). È stato un bel traguardo, ma è uno degli obiettivi da raggiungere… Purtroppo, però, ogni Ospedale è ancora un’isola e certe regole furbe non possono essere applicate altrove…
Alessandro, tutto quello che avevo voglia di dire lo hanno già detto altri qua e là nei commenti. Volevo solo ringraziarti per questo post mirabolabile, davvero bello e che centra in pieno il problema dei problemi. Grazie grazie grazie
Grazie Mauro del tuo commento!!!
Argomento molto sentito perchè comune a tutte le realtà. Sono medico di PS di un grosso paese con un numero di accessi “impropri” notevole e problemi conseguenti. Penso che il problema debba essere affrontato su tanti e diversi piani, a partire da una corretta informazione e formazione dei cittadini perchè mi sembra che il bombardamento di informazioni mediche abbia fatto crescere in modo esponenziale il livello di ansia che disturbi oggettivamenti piccoli comportano e quindi il ricorso al medico (che poi se è all’interno di un ospedale pieno di macchine è meglio). Un mese fà alle 2 di notte si è presentata una giovane coppia con un bambino di 15 gg. lamentando il fatto che il bambino defecava ogni volta che veniva allattato; alla mia considerazione che il fatto era normale mi hanno fatto notare che ciò capitava anche 8 volte al giono… Forse un pò di efficace educazione sanitaria fatta alle scuole medie potrebbe aiutare.
Complimenti per il blog
Grazie del commento e dei complimenti. Sono d’accordo con te sulla questione di educazione sanitaria, ma credo che sia di primo piano un rapporto tra medico e paziente rinnovato. Certo, nessun medico potrebbe prevenire l’accesso che descrivi… Ma non è solo una questione di leggerezza dei pazienti. La società è cambiata, e gli anziani – che nei paesi continuavano a istruire i giovani, sono sempre più relegati e le famiglie più disperse. L’ansia dei pazienti è tanta, ma se li tranquillizziamo una volta (con il poco tempo che abbiamo, certo), magari non tornano per altre sciocchezze
Ho fatto per la mia tesi di specialiazzazione in Med. d’Em-Urg (sede di Pavia, prof. Ricevuti) un lavoro statistico di raccolta dati presso il PS ove lavoro da 15aa, sottoponendo a Pz che accedono a PS un questionario con poche e semplici domande riguardo le motivazioni e la “strada” che li conduce in PS; i risultati sono sovrapponibili a quelli della ricerca inglese (ben più autorevole e scientificamente corretta dei miei semplici dati raccolti “in privato”).
E quindi cogliere che solo il 20% dei Pz. che accedono a PS sono stati inviati da un medico perlomeno rattrista; di qs 20% meno della metà arriva con una indicazione scritta sulle motivazioni di invio. Come tutti sanno, invece, TUTTI i ns Pz escono con almeno una pagina di quanto eseguito e quanto consigliato.
Credo personalmente che la medicina territoriale (MMG e GM) possano (ma io direi DEBBANO) fare di più per limitare gli accessi impropri al PS: quante volte il Pz. arriva da noi con indicazioni telefoniche della GM? o del MMG che spesso e volentieri nemmeno ha visitato il Pz? Quante volte il Pz. si presenta riferendo ” che il mio MMG mi ha detto di venire per fare 1, 2, 3, 4….”?
E, come ho letto in qualche post, è molto difficile avere momenti di confronto con i Colleghi della Medicina Territoriale, spesso arroccati nei propri studi medici.
Complimenti per l’articolo, ben fatto e circostanziato
Grazie Stefano del tuo commento, dei complimenti e del tuo contributo. Hai ragione a criticare l’operato di alcuni MMG – ma sottolineo di alcuni… Non credo si debba generalizzare: in effetti, nella mia esperienza posso garantirti che sono sempre gli stessi MMG (pochi, per fortuna) a comportarsi nel modo da te descritto; e questi pochi, purtroppo, rovinano la nomea dei molti che cercano di lavorare al massimo delle loro capacità. Alcuni MMG, infatti (che non sentiamo mai e non vediamo mai le loro richieste tipiche di altri colleghi), a volte chiamano scusandosi di “dover” inviare un dolore toracico tipico, piuttosto che un ictus… Certo, la medicina territoriale richiederebbe una profonda riforma, questo è fuori discussione, ma credo sia una esigenza anche per i MMG che credono nel loro lavoro. Per quanto riguarda la tua obiezione sui MMG arroccati nei propri studi medici, avrai letto i commenti di alcuni di loro che invece invocano le difficoltà a comunicare con l’Ospedale (non solo con l’urgenza: come può fare un MMG se fa fatica a contattare uno specialista per una consulenza urgente, e se – quando lo trova – si sente rispondere “manda il paziente in pronto”?). A volte comunicare con l’ospedale può non essere facile. Ti racconto un episodio di quando ero in specialità, e sostituivo un MMG: una paziente ebbe un’assenza in sala d’attesa (tono posturale conservato, perdita di coscienza protratta con fase confusionale, incontinenza sfinteriale) – chiamai i colleghi del Pronto Soccorso, che mi liquidarono con supponenza (“guarda il pischello che si agita” leggevo nel tono, come sottofondo) e dimisero la paziente come “sincope vasovagale”. Credo che una buona comunicazione, la capacità di ascoltare i colleghi e (a volte) l’empatia per provare a capire i problemi dell’altra parte della barricata possano aiutare molto di più che una riforma ancora di la da venire
complimenti per l’articolo .. questa e’ una criticita’che noi infermieri e medici di ps, dovremm
o portare ai congressi per sviluppare idee soluzioni