stravaso ed infiltrazione: segni & sintomi
Se nella Ia parte del post ci siamo occupati di capire quali siano i determinanti ed i rischi associati allo stravaso ed alle infiltrazioni di farmaci endovenosi, tentiamo ora di capire come gestirli. In considerazione della scarse evidenze a supporto degli interventi, che si basano fondamentalmente su dati limitati risultato di case reports/series, la gestione degli episodi di stravaso/infiltrazione di medicamenti non citotossici non è controversa, con indicazioni spesso non univoche. Se non esiste un approccio standard, su cosa esiste un accordo? La strategia migliore per il contenimento del rischio e del danno, fatte salve le opportune misure di prevenzione, si basa sull’identificazione precoce di questi eventi. Da questo un primo problema: quali i segni/sintomi che permettono di riconoscere prontamente questi eventi?
tensione cutanea ed edema anche severo, in genere immediato e persistente e improntabile (anche profondamente); è di frequente riscontro, tanto da essere ritenuto un segno caratterizzate delle lesioni da stravaso/infiltrazione. Per quanto attiene ai cateteri periferici si localizza inizialmente circostante il sito di inserzione per poi eventualmente coinvolgere tutto l’arto interessato (a partire dalle porzioni distali se presente alterazione del ritorno venoso/linfatico o sindrome compartimentale), che può presentare un diametro sostanzialmente aumentato rispetto al controlaterale. Nel caso di cateteri venosi centrali può coinvolgere collo o torace.
alterazioni del colore della cute: marezzature, blanching, eritema. Lo stravaso in tessuti profondi può non produrre alterazioni (immediatamente) visibili.
stillicidio di fluido a livello del sito di inserzione, di tunnellizzazione, dalla tasca di presidi impiantabili.
ostacolo al flusso di infusione, con riduzione del flusso se si utilizzino deflussori liberi o aumento delle pressioni per infusioni controllate, non giustificati da altre problematiche (kinking circuito, compressione del vaso a monte…).
alterazioni della sensibilità: intorpidimento o formicolio, iperreattività/fastidio, bruciore.
dolore improvviso e severo (associato a somministrazione rapida e stravaso acuto) o incrementale durante la somministrazione, localizzato all’area di fuoriuscita (per i cateteri centrali anche a livello clavicolare, sottosternale).
alterazioni della temperatura locale: ipotermia, correlata all’ipoperfusione o, meno di frequente in fase acuta, ipertermia localizzata, che può svilupparsi in una fase successiva in associazione a complicanze settiche.
alterazioni dell’integrità cutanea, tipiche dello stravaso, in particolare: sviluppo di vescicole, ulcerazione e necrosi tissutale. Questa evoluzione in genere non è acuta ma graduale (nel giro di ore-giorni) o tardiva (anche a 1-2 settimane), in relazione alle caratteristiche del farmaco interessato, e risulta particolarmente veloce con vasopressori e mezzo di contrasto.
alterazioni della funzione motoria dell’arto omolaterale in relazione a problematiche ischemiche e neurologiche da danno diretto o compressione meccanica.
alterazioni della perfusione: valutabile come incremento del tempo di refill capillare o riduzione/assenza di polso nel territorio distale rispetto all’area coinvolta.
dispnea o tosse incoercibile associata alla somministrazione di farmaci attraverso cvc, versamenti pleurici o anomalie alla RX/CT torace non altrimenti giustificate.
Sono state proposte diverse scale per valutare la gravità degli enti avversi (vedi tabella 1- modificata da: Management of extravasation injuries: a focused evaluation of noncytotoxic medications. Pharmacotherapy. 2014 Jun;34(6):617-32. link).
Esistono una serie di condizioni locali spesso conseguenti la somministrazione di terapie endovenose che entrano in diagnosi differenziale con stravasi/infiltrazioni perchè caratterizzate da una presentazione clinica per certi aspetti similare. Le differenze principali correlano con tempistica di presentazione, manifestazioni tipiche e con persistenza ed evoluzione di segni/sintomi in caso di stravaso (vedi tabella 2 – modificata da EONS, Extravasation guidelines 2007 link http://www.cancernurse.eu/documents/EONSClinicalGuidelinesSection6-en.pdf). In particolare:
irritazione/infiammazione vascolare (flebite): è presente dolore localizzato lungo il decorso della vena, che può presentare arrossamento od alterazioni scure della colorazione. Il fenomeno coincide con la somministrazione, anche se le alterazioni della colorazione possono manifestarsi tardivamente. Edema ed ulcerazione cutanea non sono presenti ed usualmente si ottiene un reflusso ematico aspirando la cannula (se non associate ad altre problematiche), anche se è possibile riscontrare resistenza all’infusione.
shock della parete muscolare e vasospasmo, per somministrazione troppo rapida di medicamenti vasoattivi o per la temperatura eccessivamente fredda delle soluzioni: in genere contestuale alla somministrazione, può precludere il ritorno ematico.
flare reactions: si presentano generalmente con un sviluppo acuto di alterazioni cutanee eritematose e rilevate a diversa connotazione morfologica circostanti il vaso utilizzato per la somministrazione e persistono circa 30-90’ per scomparire anche senza trattamenti. In genere non sono associate ad edema se non localizzato lungo il decorso del vaso né a lesioni cutanee; non evocano dolore ma prurito. Usualmente è possibile ottenere un reflusso ematico aspirando la cannula (se non associate ad altre problematiche).
Nel dubbio, per limitare il rischio o la gravità delle lesioni da stravaso, è preferibile considerale come tali.
gestione
Una volta che si sia evidenziato (o comunque si sospetti) uno stravaso/infiltrazione sono necessari interventi rapidi al fine di limitarne l’evoluzione, dunque il danno, in termini di gravità ed estensione, e minimizzarne le complicanze, prevenendo un outcome avverso. La sottostima del rischio, una volta avvenuto l’evento, e gestione inappropriata sono comuni: se una approccio conservativo associato ad un intenso monitoraggio può essere adeguato per infiltrazione di volumi limitati, nell’ambito dello stravaso molti autori suggeriscono un intervento aggressivo immediato, con l’idea che permettare al medicamento tossico di permanere in sede non sia l’ideale per interrompere l’evoluzione ed il rischio di complicanze. Dunque come affrontare in acuto le raccolte extravascolari di medicamenti e soluzioni? In ogni situazione:
interrompere immediatamente la somministrazione del farmaco per limitare il quantitativo di sostanza/e in grado di indurre danno;
mantenere in sede il presidio vascolare perchè possa essere utilizzato per eventuali trattamenti/somministrazione di antidoti;
deconnettere le linee infusive e aspirare attraverso la cannula in sede con una siringa di piccolo calibro (2.5-10ml? letteratura discordante), nel tentativo di rimuovere dai tessuti, per quanto possibile, parte del farmaco o della soluzione stravasata. Sebbene la maggior parte dei riferimenti controindichino in modo assoluto il lavaggio attraverso la stessa cannula, alcuni autori suggeriscono che un lavaggio NaCl 0.9% possa facilitare l’aspirazione. É necessario però considerare che, in caso non si riuscisse poi ad evacuarla, si aumenterebbe il volume infiltrato/stravasato, con rischio di peggioramento dei sintomi;
rimuovere medicazioni, nastri e/o i bendaggi che mantengono in sede i presidi vascolari per permettere la visualizzazione del sito di inserzione;
determinare la natura delle sostanze fuoriuscite, in particolare se vescicanti o meno, stimarne del volume, per definire la probabilità di necrosi e complicanze e stabilire l’aggressività dei trattamenti da mettere in atto.
rimuovere il presidio vascolare quando certi non sia più necessario, per evitare venga utilizzato per nuove infusioni in modo accidentale (e non posizionare ulteriori cannule distali al sito di lesione);
non applicare medicazioni/bendaggi compressivi ed, in generale, ogni fonte di pressione per limitare la diffusione del farmaco e ottimizzare la perfusione locale e distale. Le medicazioni che si decida di utilizzare dovrebbero permettere un costante monitoraggio del sito;
valutare il dolore evocato dalla lesione e dalla sua gestione in modo appropriato alla tipologia di soggetto (età, stato di coscienza…) e somministrare una commisurata e costante analgesia e, ove necessario, indurre analgosedazione o anestesia (anche in correlazione all’età del paziente) durante medicazioni e/o trattamenti: siamo nel contesto di un danno iatrogeno, evitiamo al paziente ulteriore prevedibile disagio.
Il trattamento non può prescindere da una valutazione iniziale accurata seguita da un accorto monitoraggio del sito di stravaso/infiltrazione e del paziente nel suo complesso con un timing dettato dalla severità del fenomeno. In particolare è necessario delineare l’estensione della zona interessata dall’evento e controllarne gli sviluppi: le lesioni hanno una tendenza all’evoluzione ed all’espansione ed il pieno effetto può non essere evidente prima che siano trascorsi diversi giorni. É possibile demarcare il sito di inserzione originario e l’area coinvolta dalle lesioni con una matita dermografica per seguirne le variazioni nel tempo; una documentazione fotografica permette una valutazione obiettiva della progressione delle lesioni e può esser utile a consulenti coinvolti in momenti successivi. Oltre ad una accurata descrizione di lesione, progressione nel tempo, trattamenti messi in atto e loro esito, misure di follow–up, la documentazione, che deve accompagnare il processo dal tempo 0 alla risoluzione, deve riportare dettagli sulle condizioni dell’accesso vascolare prima della somministrazione ed al momento del riscontro del problema, note sulla tipologia dei presidi (calibro, lunghezza) in sede, sulle metodiche di infusione (bolo, infusione continua o intermittente) e sui sistemi utilizzati per la somministrazione (pompe peristaltiche, siringhe infusive, infusioni a pressione, deflussori liberi).
Per stabilire l’effettiva perfusione, l’estensione dell’interessamento ai tessuti profondi, la presenza di raccolte, sono necessario valutazioni ecografiche (seriate) del vaso e dell’area, per quanto esplorabile; una valutazioni radiografica degli accessi vascolari centrali permette di determinare eventuali dislocamenti dell’estremo distale o lesioni del presidio. Considerare la possibilità di effettuare CT/MRI, in particolare prima di eventuali approcci chirurgici.
E poi?
gestione conservativa (= i rimedi della nonna):
Un must: il posizionamento dell’arto in scarico per minimizzare l’edema, favorendo il drenaggio venoso/linfatico dunque il riassorbimento della soluzione fuoriuscita. Sottolineiamo che perchè la manovra, per sé di certo non drastica quanto ad effetti, abbia un qualche significato, la zona interessata e le aree prossimali di cui i vasi sono tributari devono venire complessivamente sopraelevate rispetto alle camere cardiache (prestando attenzione alle lesioni nervose/articolari e da pressione che possono derivare da posizioni obbligate e/o improprie mantenute a lungo nel tempo, specie nel paziente non cosciente o neuropatico).
Rimane controversa l’abitudine inveterata di applicare impacchi; la loro temperatura dovrebbe essere modulata in relazione alla natura del farmaco stravasato. In linea teorica:
impacchi caldi (asciutti, non umidi) inducono vasodilatazione determinano aumento della perfusione locale; da utilizzare quando l’obiettivo sia facilitare il riassorbimento e la dispersione delle soluzioni lontano dall’area interessata inizialmente. Per quanto tempo ed ogni quanto? Le fonti lo tengono per sé; comunque la temperatura non deve superare i 42°, specie nel paziente pediatrico. Alcuni autori riportano un aumento della macerazione tissutale e della necrosi nel contesto dell’utilizzo di questo approccio.
impacchi freddi (asciutti non umidi) al fine di ridurre l’infiammazione e localizzare il farmaco nel tessuto: inducono vasocostrizione e riducono la perfusione, limitando la diffusione delle sostanze fuoriuscite ma anche il loro riassorbimento. Sono suggeriti (per circa 15-20’, 3-4 volte al giorno) per soluzioni e medicamenti iperosmolari o non irritanti. Da non utilizzare nell’ambito dello stravaso di vasopressori, perchè ovviamente ne possono esacerbare gli effetti vasocostrittori.
gestione farmacologica (= gli “antidoti”):
Prevede un trattamento farmacologico locale con principi attivi che antagonizzino l’azione della sostanza fuoriuscita. Le applicazioni nel contesto dei farmaci non citotossici sono limitate sostanzialmente allo stravaso di vasocostrittori (adrenalina, noradrenalina, dopamina, dobutamina, vasopressina, fenilefrina, blu du metilene), con l’infiltrazione sottocutanea precoce di fentolamina, antagonista competitivo α1-2 (off-label) 5-10 mg in 10-20 ml di NaCl0.9% entro 10’-12h (problema… la formulazione iniettabile in commercio autorizzata da AIFA – Oraverse – ha una concentrazione di 400mcg/1.7 ml: da ricordare che un eccesso di volume iniettato può contribuire meccanicamente ad aumentare la pressione locale sui tessuti). La somministrazione può essere ripetuta qualora persista l’ipoperfusione o nel caso di estensione dell’area interessata dalla vasocostrizione. In contesti in cui fentolamina non fosse disponibile, è riportato l’utilizzo (off-label) di terbutalina, agonista selettivo β2, (di cui ad oggi non risulta in commercio in Italia la formulazione iniettabile) sempre per infiltrazione sottocutanea (dosaggio non definito, soluzione 1:1-1:10). Con lo stesso razionale sono state utilizzate con risultati non univoci formulazioni topiche di nitroglicerina (nel nostro paese disponibili solo patch, attenzione al potenziale effetto sistemico).
Un’altra opzione terapeutica è rappresentata dall’infiltrazione sottocutanea di ialuronidasi 15-150 unità suddivise in circa 5 shots iniettati circonferenzialmente (ad oggi non risultano formulazioni approvate per il commercio da AIFA). Questo enzima non è considerato un antidoto ma un agente che modifica la permeabilità del connettivo idrolizzando l’acido ialuronico, quindi permette di accelerare l’assorbimento e la dispersione del farmaco, entro 1 h dallo stravaso; può agire in modo sinergico con gli impacchi caldi.. Il suo utilizzo è riportato per farmaci citotossici e non citotossici, soluzioni iperosmolari (in particolare NE, calcio cloruro, mezzo di contrasto); è invece controindicato nel contesto dello stravaso di vasopressori. L’infiltrazione dovrebbe essere effettuata in anestesia locale (field block); da evitare aree con infezioni in atto. I pazienti anziani sono meno responsivi per l’inelasicità cutanea.
In generale, l’efficacia della somministrazione topica di medicamenti per il trattamento di stravasi/infiltrazioni rimane globalmente controversa; in particolare, l’utilizzo topico di steroidi non ha dimostrato effetti positivi. L’infiltrazione di farmaci nell’ambito dello stravaso di sostanza acide/alcaline può determinare formazione di gas e sviluppo di reazioni esotermiche con un peggioramento del danno.
In casi selezionati può sussistere la necessita di antibioticoprofilassi/antibioticoterapia (sistemica).
gestione chirurgica :
Nella gestione delle lesioni e delle eventuali complicanze, qualora il deterioramento del tessuto fosse immediatamente evidente o in relazione alla progressione del danno, può essere consigliabile ovvero mandatoria la consulenza di un chirurgo (plastico), in particolare nel contesto di:
stravaso di grandi volumi o di farmaci ad elevato rischio (fare riferimento alla Ia parte);
riscontro in ogni fase di compromissione dello stato neuro–vascolare e/o evidenza di sindrome compartimentale, che devono essere considerate condizioni da gestire in emergenza;
necrosi a tutto spessore;
sviluppo di ulcere croniche;
dolore persistente non trattabile;
presenza raccolte ascessuali e/o sepsi a sospetta partenza dal sito interessato.
Quali gli approcci chirurgici? Nell’immediato:
washout: il razionale questa manovra è massimizzare la rimozione meccanica del farmaco infiltrato/stravasato riducendone la concentrazione nel tessuto e permettendone la dispersione e facilitandone l’aspirazione o l’evacuazione. La procedura viene effettuata realizzando piccole incisioni alla periferia dell’area coinvolta ed infiltrandovi tramite cannule atraumatiche NaCl 0.9% (20-60ml neonati; 60-240 bambini 500 ml adulti); Il fluido viene lasciato drenare dalle stesse incisioni e/o tramite drenaggi (Penrose). La manovra, sempre più supportata, dovrebbe essere messa un atto quanto più precocemente (idealmente entro 1-2h dall’evento) e sicuramente non oltre le 24h. Altre opzioni? debridement/evacuazione ematomi-raccolte/aspirazione/liposuzione e chiusura diretta, eventualmente con posizionamento di drenaggi. Se necessario per prevenire o trattare l’aumento della pressione compartimentale, si deve procedere con l’esecuzione di fasciotomie. In una fase successiva, possono rendersi necessari graft cutanei, per favorire in recupero funzionale ed estetico. In contesti estremi, l’amputazione dell’arto diventa una opzione.
misure di prevenzione
E allora come limitare il rischio?? Qualche richiamo alle principali misure di prevenzione:
conoscere le peculiarità dei farmaci che si stiano somministrando e del presidio che si stia utilizzando, nonché le caratteristiche specifiche del paziente, che possano contribuire ad un rischio aumentato (vedi Ia parte).
utilizzare diluizioni che garantiscano una concentrazione/ml di farmaco a ridotto rischio, in termini di osmolarità, pH, potenziale precipitazione; se indicato dalle caratteristiche del farmaco utilizzare una via venosa centrale (non appena disponibile – se possibile rimandare la somministrazione).
se prevista la somministrazione di più medicamenti, i vescicanti dovrebbero essere somministrati per primi, a endotelio non irritato, perché l’integrità vascolare si riduce nel tempo.
stabilizzare i presidi evitando sistemi di medicazione o fissaggio che possano compromettere la possibilità di monitorare l’accesso vascolare e/o il decorso del vaso prima/in corsi di somministrazione e bendaggi che esercitino una compressione sul vaso a monte della cannula.
ispezionare e palpare il sito di inserzione per valutarne le condizioni prima della somministrazione, in particolare nel contesto di farmaci potenzialmente lesivi e osservarne le variazioni durante la somministrazione, con una frequenza variabile a seconda del rischio specifico.
valutare la pervietà della via venosa prima dell’effettiva somministrazione del farmaco attraverso un flush: nel caso si riscontrassero resistenza al lavaggio, sviluppo di edema circostante il sito di inserzione, fastidio/dolore durante o immediatamente dopo il lavaggio, non procedere con l’infusione e riposizionare un accesso. Nota: viene talora citato come parametro per definire la funzionalità di un catetere vascolare un ridotto/assente reflusso di sangue all’aspirazione, ma l’effettivo reflusso per sé non costituisce un parametro di valutazione adeguato, specie nell’ambito della somministrazione di vescicanti e farmaci a rischio (la cannula potrebbe essere in sede e pervia, ma la parete del vaso lesionata). Inoltre, soprattutto nel caso di cannule periferiche di piccolo calibro (22-24G) può comunque non essere praticabile ache a fronte di effettiva pervietà.
monitorare e documentare la pressione di infusione delle pompe peristaltiche e delle siringhe elettriche; moderare la pressione di infusione (15-25mmHg) per farmaci vescicanti e settare i limiti di allarme in modo appropriato ed investigare rialzi di pressione, senza però considerare una assenza di queste problematiche come criterio di esclusione per stravasi/infiltrazioni in presenza di segni/sintomi.
condividere con paziente e familiari, quando possibile, i rischi associati alla somministrazione di determinate farmaci e l’importanza di norme di comportamento atte a minimizzare la possibilità di dislocamento accidentale e di lesione del vaso, nonché i segni e sintomi precoci da non sottovalutare e riportare immediatamente (in particolare dolore o discomfort, tensione, edema perinserzionale).
last, surely not least: investigare prontamente qualsiasi segno sospetto rilevato o sintomo riferito, fino all’esclusione o agendo di conseguenza qualora si sospetti un problema.
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