mercoledì 29 Novembre 2023

The higher…the better!

Potremmo dire che non è un periodo buono per l’ossigeno. Un tempo considerato, con l’eccezione dei BPCO in insufficienza respiratoria ipercapnica, un must a cui non era possibile sottrarsi, adesso viene messo in discussione anche nell’infarto venendo a rompere quella mnemonica associazione: ossigeno, vena monitor che tutti avevamo imparato. Abbiamo così  appreso che è meglio non somministrarlo se il nostro paziente ha una saturazione superiore al 94%, ma questo limite è da considerarsi affidabile e validato da evidenze scientifiche? E’ appena uscito uno studio che sembrerebbe confutarlo.


E’stato infatti pubblicato suResuscitation SpO2 values in acute medical admissions breathing air—Implications for the British Thoracic Society guideline for emergency oxygen use in adult patients? vediamo cosa dice.

La misurazione della saturazione di ossigeno è considerata un parametro vitale di fondamentale importanza nel malato acuto. Paradossalmente i limiti di normalità sono supportati da pochi studi e da scarsi livelli di evidenza.
Nel 2008 laBritish Thoracic Society ha pubblicato delle linee guida sull’uso dell’ossigeno in emergenza nel paziente adulto. Le indicazioni erano che, con l’eccezione del paziente con insufficienza respiratoria di tipo II, il limite di ossigeno considerato normale o quasi normale era compreso tra il 94 e il 98%. Questi i valori da ottenere sia nei pazienti con insufficienza respiratoria che nelle cure palliative.
Le linee guida non avevano però incorporato un lavoro su 871 pazienti considerati in buona salute, impiegati ospedalieri e visitatori pubblicato su American Journal of Emergency Medicine e in cui tale limite veniva elevato a 96-98%.

Lo studio
Usando un largo database di 4 ospedali inglesi in una Medical Asssesment Unit e in 3 reparti di medicina venne rilevata la saturazione di ossigeno di tutti i paziienti degenti. Per ogni paziente venne considerata solo la prima misurazione in aria ambiente di ogni episodio di cura. Misurazioni inferiori al 70% vennero escluse perché considerate inaccurate, cosi come i dati raccolti al di fuori di un evento acuto Di ogni paziente venne poi registrato l’outcome finale.

Risultati
– Sono stati valutati 37593 pazienti, il 47% dei quali di sesso maschile
– L’età variava da 16 ai 105 anni
– 19,642 (52%) avevano un’età inferiore ai 70 anni
– I livelli di saturazione variavano tra il 70 e il 100% con una mediana del 97%
– Non vi erano differenze tra maschi e femmine
– La mortalità intraospedaliera dello studio è stata 5.27% (range 4.80–6.27%)
– La mortalità a seconda dei diversi livelli di saturazione era rispettivamente del
97%, 96% e 95% è stata 3.65% (3.22–4.13); 4.47% (3.99–5.00); e 5.67% (5.03–6.38).

Limitazioni

Lo studio come dichiarato dagli autori ha qualche punto di debolezza, primo fra tutti il fatto che non vi sono dati per quanto riguarda alcune situazioni cliniche come l’ipotensione, lo shock e la scarsa perfusione periferica che possono fortemente influenzare la misurazione della saturazione di ossigeno. Si sa poi che la posizione può essere importante e anche di questa non vi è menzione nello studio. Come suggerito dall’editoriale di accompagnamento dal titolo SpO2 targets—How normal is normal?  però questi dati, essendo verosimilmente distribuiti in modo omogeneo su una popolazione di soggetti così ampia, difficilmente possono rappresentare un vero bias.
Un altro elemento di incertezza potrebbe essere dovuto dall’esclusione nello studio dei pazienti in ossigenoterapia e dal fatto che una popolazione di pazienti acuti non può essere equiparata a una di soggetti sani.

Conclusioni
Gli autori concludono suggerendo che le linee guida BTS dovrebbero innalzare la soglia ottimale della saturazione nei pazienti acuti dal 94% al 96-98%.

Considerazioni personali

Questo lavoro cambierà il nostro modo di lavorare in pronto soccorso e di considerare l’ipossiemia nel malato acuto? Non credo. I cambiamenti richiedono tempo, come mi accorgo quotidianamente ad esempio vedendo quanto sia difficile abbandonare l’applicazione indiscriminata dell’assioma ossigeno vena monitor a tutti i pazienti con infarto miocardico.
Anche se il lavoro pubblicato su Resuscitation ha dalla sua la forza dei grandi numeri, studi di conferma di questo innalzamento dei valori da considerare normali o quasi normali probabilmente saranno necessari, . Per il momento possiamo solo ironicamente dire che questa è una piccola rivincita dell’ossigeno su i suoi più recenti detrattori.

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Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

2 Commenti

  1. Rimango perplesso. Per me la sPO2 è solo un indice di una presentazione clinica peggiore. In altre parole correggere il valore cambierebbe veramente le cose? Molti studi hanno delle conclusioni di rilievo solo se si considera valida la premessa, ovvero che modificare la sPO2 abbia un impatto sostanziale, anziché considerare che più probabilmente rimediare al problema che genera le variazioni del parametro incida realmente sulla sopravvivenza.

  2. Mattia,
    la tua riflessione mi sembra un po’”filosofica” ma condivisibile. Nello studio di Resuscitation i valori Si SpO2 maggiori si associavano a una minore mortalità ma come tu dici questo potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Uno messa a confronto tra i due limiti credo possa darci le informazioni che cerchiamo.

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