venerdì 28 Marzo 2025

Tre medici e una gamba

Il caso di questo mese per “l’Angolo dello Specializzando” ci giunge da Cristian Lazzari, della scuola di specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza di Firenze.

Giunge all’attenzione del medico di PS del pomeriggio, poco prima del cambio turno, il signor T., di 65 anni, che viene inviato dal Servizio di Continuità Assistenziale per sospetta trombosi venosa profonda (TVP) dell’arto inferiore sinistro.

Il signor T. si presenta con un arto di aspetto tumefatto dalla radice della coscia fino al piede. Riferisce un aumento delle dimensioni dell’arto al risveglio, con progressivo peggioramento nell’arco degli ultimi tre giorni. Nega dolore spontaneo, riferendo solo un modesto discomfort durante la deambulazione. Non segnala altri sintomi, in particolare non dispnea né dolore toracico.

Si tratta di un paziente con storia di cardiopatia ischemica (è stato sottoposto a procedura di rivascolarizzazione nel 2013), ipertensione arteriosa ed insufficienza renale cronica.

All’ingresso viene prelevato per gli esami ematici di routine e vengono rilevati i parametri vitali: PA 125/65 mmHg, FC 80 bpm, SpO2 99% in aa, FR 16 apm, TC 36°C.
All’esame obiettivo cardio-toraco-addominale il collega non segnala nulla di rilevante, per cui l’attenzione ricade sull’arto inferiore sinistro, prendendo in considerazione il sospetto di TVP.

È l’inizio dell’ennesima lunga notte in PS…

Prendo dunque in consegna il caso del signor T., che trovo in buone condizioni generali, asintomatico. Ci riparlo velocemente per appurare l’anamnesi, alla ricerca di fattori di rischio suggestivi di TVP (recente intervento chirurgico/trauma, immobilizzazione protratta, fumo, condizioni di ipercoagulabilità note, eventuale storia oncologica), ma nulla di tutto ciò…

Riguardo quell’arto: edematoso, con cute non arrossata né calda, non dolente alla palpazione. Polsi periferici validi e simmetrici. Normale l’arto controlaterale.

Arrivano i risultati degli esami ematici: Hb 12.2 g/dL, GB 7.200 /μL, PTL 162.000 /μL, PTT 26 sec, INR 1, fibrinogeno 722 mg/dL, D-dimero 15852 ng/mL, Creatinina 4.26 mg/dL.

Beh dai, questa diagnosi è scontata (?)

Recupero rapidamente un ecografo per eseguire una CUS, ma non vedo ciò che mi aspettavo di vedere…

Asse venoso femoro-popliteo apparentemente sovradisteso, ma comprimibile lungo tutto il decorso. Nessun trombo!!! Tuttavia, ciò che più mi colpisce, è l’isoecogenicità del lume vascolare, come da stasi venosa con ecocontrasto spontaneo, quella sorta di “effetto fumo” che si modifica con le compressioni della sonda.

Purtroppo non ho un’immagine dell’ecografia che ho fatto, ma il concetto è il seguente: a fronte dei due casi limite, ossia CUS totalmente negativa (fig. 1) e CUS positiva per TVP (fig. 2), il signor T. presentava un quadro diverso, con aspetto ecografico assimilabile a quello di un’insufficienza venosa (fig. 3).

Ecco, il quadro del signor T. ricorda molto la Fig. 3 e questa distinzione è stata di vitale importanza per le successive scelte diagnostico-terapeutiche…

E ora?

Avendo preso coscienza dell’assenza di trombosi nel tratto femoro-popliteo, prima di switchare dalla lineare alla convex per esplorare l’addome alla ricerca della presenza di una possibile causa a monte che potesse giustificarmi quella presentazione, parte il flusso di coscienza … avrà una trombosi della vena iliaca di sinistra? O piuttosto si tratta di una compressione ab estrinseco? Improbabile una compressione da massa eteroplastica (linfonodale o da altra origine) a meno che non fosse complicata, data la rapidità con cui l’arto aveva raggiunto quelle dimensioni.

Oppure un’eziologia vascolare? Chi meglio del paziente stesso poteva indirizzarmi? Allora gli chiedo: “negli ultimi giorni sicuro di non aver avuto nessun altro sintomo? Dolore o senso di peso a livello addominale o lombare?” E lui mi risponde: “guardi, alla pancia nulla di che, a parte la mia solita stitichezza, però tre giorni fa ho avuto un dolore qui in fondo alla schiena che poi è passato da solo”.

Tre uomini e un addome

A quel punto esploro l’addome e trovo questo:

Quella che, a prima vista, potrebbe somigliare ad una vescica, è un voluminoso aneurisma dell’aorta addominale, di cui il paziente non era a conoscenza.

Porto subito il paziente in una sala con possibilità di posto monitorizzato, i parametri vitali sono ancora stabili, il paziente è totalmente asintomatico.

Nonostante la stabilità emodinamica, e dei valori di emoglobina all’EGA, le modificazioni dell’arto instauratesi con una certa rapidità e l’evento “sentinella” riferito dal paziente (il dolore lombare, seppur transitorio, che ha preceduto l’edema dell’arto), associati al primo riscontro di voluminoso aneurisma, rappresentano chiari segni di allarme!!

Per cui si contatta il radiologo di turno e si invia il paziente ad eseguire un’angioTC dell’aorta che mostra: “[…] dilatazione aneurismatica dell’aorta addominale sottorenale a livello della biforcazione con assi trasversali di 7cm x 6.8cm circa con estensione cranio-caudale di 7cm, con apposizioni trombotiche irregolari e presenza di immagini di plus da riferire ad ulcerazioni in aneurisma instabile. Si riconosce aspetto sfiancato e bombato della parete postero-laterale sinistra per fissurazione della sacca aneurismatica a livello della vena iliaca comune di sinistra che mostra opacizzazione in fase contrastografica arteriosa. Compressa la VCI alla confluenza e le vene iliache comuni. Concomitano addensamento del tessuto adiposo adiacente la sacca aneurismatica con laminare falda fluida in FIS e a sede presacrale per iniziale emoperitoneo […]”

Segue ovviamente consulenza chirurgica vascolare e visita anestesiologica per condurre il paziente in sala operatoria

Per fortuna il caso si chiude con un lieto fine: l’intervento è andato bene ed i colleghi della terapia intensiva erano soddisfatti del decorso post-operatorio

Ora facciamo un po’ di chiarezza 

L’ aneurisma dell’aorta addominale (AAA) può essere definito come una dilatazione dell’aorta addominale avente diametro antero-posteriore o trasverso superiore o uguale a 3 cm.

La complicanza principale e più temibile è la rottura, che si può realizzare con diverse modalità, ma che complessivamente è gravata da una mortalità elevatissima (ogni anno nel nostro Paese circa 6000 persone muoiono per rottura di AAA). 

Gli AAA complicati da rottura hanno una presentazione clinica molto variabile. Accanto alla triade classica (massa palpabile – dolore – ipotensione/shock), possiamo trovarci di fronte a quadri molto sfumati o atipici. 

Questo si verifica quando la rottura del vaso, che nella maggioranza dei casi si realizza a sede retroperitoneale, porta alla formazione di un ematoma tamponante con un’evolutività imprevedibile (può rimanere arginato in tale sede anche per settimane prima aprirsi in cavità peritoneale, portando rapidamente a morte). 

La reazione infiammatoria peri-aneurismatica, tuttavia, può determinare la formazione di aderenze con le strutture circostanti, tali da predisporre alla fistolizzazione piuttosto che ad una rottura libera in addome/retroperitoneo. Parliamo di:

  • Fistole aorto-enteriche: comunicazione tra l’aorta e generalmente la terza-quarta pozione del duodeno, da cui scaturiscono due tipi di complicanze (quella emorragica con ematemesi/melena e quella infettiva con febbre, dolore e segni di infezione addominale)
  • Fistole aorto-cavali: in genere queste forme si accompagnano ai segni clinici di uno scompenso cardiaco ad alta gittata, dovuto allo shunt artero-venoso, quali turgore giugulare, dispnea e edema polmonare. Sul versante periferico ritroveremo segni di congestione venosa a carico degli arti inferiori (nel caso del signor T. spiccato interessamento unilaterale dell’arto di sinistra per via della fistolizzazione a livello della vena iliaca comune di sinistra) o della parete addominale con congestione di circoli venosi collaterali. 
    Sono segnalate in letteratura, anche ematuria e rettorragia legati a distensione e rottura delle diramazioni venose a livello della mucosa vescicale e rettale. 

    Infine, la congestione venosa renale in accordo col suddetto stato di scompenso ad alta gittata può determinare un quadro di insufficienza renale: il signor T. aveva già in storia una nota IRC, tuttavia, in assenza di precedenti accessi in PS e di documentazione clinica pregressa, non erano a noi noti i valori di creatininemia basale. Pertanto, dato il rilievo di valori piuttosto elevati (4.26 mg/dL), non si può escludere con certezza un peggioramento acuto della funzione renale di base, giustificabile col meccanismo patogenetico appena descritto.

Cosa bisogna fare in emergenza nel caso di un AAA complicato?

Nel sospetto di un AAA rotto è opportuno reperire due accessi venosi periferici. La raccomandazione è quella di ottenere e/o mantenere un’ipotensione arteriosa sistemica controllata, possibilmente con una PAS ≤ 100 mmHg: questo implica, in caso di ipotensione, una fluid resuscitation moderata, tale da consentire un’adeguata perfusione scongiurando al tempo stesso il rischio di una coagulopatia da diluizione. Ovviamente indispensabile monitoraggio emoglobinico e richiesta di emocomponenti in vista dell’intervento.

Va da sé che il riscontro di un AAA sintomatico (e quindi sospetto per rottura avvenuta o imminente/potenziale) preveda la messa in atto di trattamenti appena descritti e dell’immediata consulenza specialistica, ma… 

Cosa fare nel caso di riscontro di un AAA asintomatico?

È tutt’altro che raro il riscontro occasionale di un AAA, specie in DEA in corso di accertamenti diagnostici condotti per altri motivi. In questi casi, il ruolo del medico di pronto soccorso si limita il più delle volte ad indirizzare il paziente verso un programma di follow-up con eventuale richiesta di valutazione chirurgica vascolare.

Al di là della sintomaticità, infatti, ciò che preannuncia il rischio di rottura di un aneurisma è il suo diametro:

In caso di AAA con calibro < 5.5cm è indicata esclusivamente la sorveglianza dal momento che il rischio di rottura si ritiene essere inferiore al rischio dell’intervento riparativo chirurgico o endovascolare (EVAR). 

La metodica di scelta in questi casi è l’ecocolordoppler (il ricorso ad angio-TC è riservato solo ai casi dubbi, o comunque selezionati dallo specialista).

Nel caso di AAA con calibro  5.5cm è invece indicato il trattamento chirurgico (o endovascolare) in elezione. 

TAKE HOME MESSAGES:

  • Nel caso di un riscontro incidentale di un AAA asintomatico indirizzare il paziente a valutazione specialistica per stabilire il timing del follow-up e l’eventuale indicazione ad intervento (non necessaria valutazione urgente in occasione dell’accesso in PS, specie per gli aneurismi più piccoli)
  • A fronte di una presentazione grave ab initio, un AAA complicato può avere un esordio subdolo e quindi va preso in considerazione nel caso di un quadro clinico sospetto
  • In accordo col sempre valido “primum non nocere” è necessario confermare/escludere un sospetto diagnostico prima di intraprendere una scelta terapeutica: “accettare” la diagnosi di TVP con cui il paziente è stato inviato in DEA, presupponeva l’impostazione di una terapia anticoagulante che inevitabilmente lo avrebbe portato a morte… 
  • Per un medico d’emergenza un ecografo a portata di mano può fare la differenza! Quindi…

Bibliografia

  • Linee Guida SICVE – patologia aneurismatica dell’aorta infrarenale, aneurismi viscerali ed aneurismi periferici – marzo 2016
  • Rosen’s – Emergency Medicine, Concepts and Clinical Practice – 9th edition
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Elisa Gesu
Elisa Gesu
Specialista in Medicina d'Emergenza-Urgenza, Milano

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