La parola TRIAGE è ormai entrata da tempo a far parte del “gergo medicale” del pronto soccorso e dell’ospedale in genere. Oggi tutti discettano di triage e tutti sono pronti a dare il loro parere sull’appropriatezza di un codice di priorità.. ma ne hanno davvero titolo? Com’è lo status quo dei triage nei pronto soccorso italiani e, cosa ancora più importante, verso quale futuro si muove il triage? Per rispondere a queste domande è necessario, innanzitutto, dare un’occhiata alla situazione attuale dei triage in italia ed alla formazione dei triagisti che in essi operano.
CHI E’ IL TRIAGISTA? Allo stato attuale, la figura del triagista non ha una vera e propria definizione. Per fare triage è necessario avere un’ esperienza almeno semestrale di pronto soccorso ed aver seguito un corso di formazione inerente le linee guida aziendali di triage .. e poi?? Poi nulla!! Non esiste una direttiva nazionale (per la quale il GFT – gruppo formazione triage – si sta battendo alacremente) che identifichi le codifiche e le rispettive linee guida nè un master formativo per la figura del triagista che ne delinei ed attesti conoscenze cliniche e tecniche propedeutiche alla formazione di tale figura. Questa carenza si fa ogni giorno più grave soprattutto se messa in relazione all’aumento esponenziale di richiesta di prestazioni dei pazienti afferenti al pronto soccorso ed è ancor più evidente nei centri HUB a causa della centralizzazione operata dal sistema emergenza-urgenza 118 e dai vari SPOKE territoriali.
Il modello Hub & Spoke (letteralmente: mozzo e raggi) parte dal presupposto che per determinate situazioni e complessità di malattia siano necessarie competenze rare e costose che non possono essere assicurate in modo diffuso ma devono invece essere concentrate in Centri regionali di alta specializzazione a cui vengono inviati gli ammalati dagli ospedali del territorio – servizi ospedalieri periferici -.
Il modello prevede, pertanto, la concentrazione dell’assistenza di maggiore complessità in “centri di eccellenza” (hub) e l’organizzazione dell’invio a questi “hub” da parte dei centri periferici “spoke” dei malati che superano la soglia dei complessità degli interventi effettuabili a livello periferico.
( Cit. articolo http://www.asmn.re.it )
E’ quindi impensabile, trovare in una struttura HUB una figura di triagista intesa come mero “direttore del traffico” od un triage “da bancone” … ma è necessario porre in essere un triage clinico avanzato che diventi non solo “filtro” ma reale “pace maker” del pronto soccorso e di tutto il DEA.
Se da un lato è vero che la funzione principe del triage è identificare chi sta peggio per assisterlo quanto prima, è altrettanto vero che la capacità di codifica passi necessariamente attraverso una buona conoscenza clinica, l’esame obiettivo del paziente e la possibilità di esecuzione di procedure clinico strumentali; non solo.. la situazione attuale vede in molti pronto soccorso CODICI GIALLI attendere diverse ore prima della visita e ciò impone una presa in carico “attiva” da parte del personale di triage.
E’ impensabile che in molti pronto soccorso non sia possibile da parte del triagista effettuare un EGA per valutare un paziente, effettuare un ECG per una valutazione di base (che impone il riconoscimento di alterazioni e ritmi che richiedano codifica prioritaria) o addirittura non sia possibile fare un esame obiettivo del paziente per il riconoscimento di segni e sintomi clinici.La risposta è spesso la solita litania del: “eh, ma con il nostro numero di accessi mica è possibile farlo!!” Ed a questo proposito è utile porre delle riflessioni; chi dice che vada fatto tutto a tutti i pazienti e non fare esami miratialla problematica e priorità di codifica? chi dice che il porre in essere alcune procedure (ecg, ega, esame clinico) sia davvero una perdita di tempo e non un reale filtro per meglio identificare i codici di priorità e migliorare la presa in carico del paziente stesso? Inoltre, la realtà italiana è talmente varia che la metodologia di approccio di triage e la possibilità o meno di realizzare più o meno valutazioni possa essere facilmente rapportata al numero di accessi al pronto soccorso sine per questo avere valenza negativa sulla qualità.
Tutto ciò ha ovviamente dei costi; il primo è quello della formazione del personale di triage che non può e non deve essere formato “alla meno peggio” ma deve avere un vero e proprio percorso formativo culturale;
In seconda istanza và,ormai, riconosciuta l’importanza del ruolo del triagista ed il fondamentale connubio nell’interfacciaccia con il medico di pronto soccorso nel processo di presa in carico del paziente;
Terzo e non ultimo la necessità di una diversificazione economica per il personale di triage che sia consona alla mole di responsabilità diverse rispetto ad un collega di corsia o di diverso ambiente ospedaliero.
QUALE FUTURO PER IL TRIAGE?
Il processo “ad crescendum” del triage è ormai inarrestabile e che lo si voglia o meno il riconoscimento della centralità del triage stesso e di chi vi opera è innegabile. I processi di FAST TRACK con l’invio autonomo del triagista ad alcuni specialisti dei casi a criticità minore in base a protocolli inclusivi-esclusivi di selezione ed il SEE AND TREAT sul modello toscano hanno ampiamente dato prova, in quelle fortunate realtà in cui sono applicati, di essere la giusta risoluzione ai fenomeni di crowding ed overcrowding migliorando sensibilmente la sensazione di presa in carico del paziente e dando vita ad immisioni di flusso rapide e proficue. E’ necessario affiancare a tali metodiche la conoscenza e l’uso di score valutativi ( Chest Pain Score , Nexus score, Ottawa ankle rules ed Knee rules ) che permettano un rapido ed accurato inquadramento clinico del paziente, ove possibile protocollare iter ematochimici mirati che consentano una riduzione dell’attesa passiva del paziente trasformandola in attesa attiva. Certo, la diffidenza e il vero e proprio ostracismo messi in atto da altre figure professionali nonchè le troppo spesso deficitarie conoscenze ed il mancato spirito propositivo della nostra stessa figura professionale potrebbero rallentare questo processo di crescita, ma sono facilmente superabili con una proposta qualitativamente e professionalmente elevata che superi ataviche barriere e misunderstanding ormai fuori tempo.
Ancora una volta la parola vincente è TEAM !!
E’ tempo di superare una realtà medicocentrica sostituendola con la creazione ed attuazione di un TEAM sinergico in cui a farla da padrone siano la professionalità e la preparazione di tutta la squadra che lavora per un unico obiettivo: IL PAZIENTE !!
Bravo , concordo e condivido
grazie Angar 😉
Pensa a insegnare educare alla salute senza ansietà ai genitori la riduzione della pronazione dolorosa ai propri figli o ad altri.grazie
Una provocazione cosa ne pensate della lussazione di spalla al triage(riduzione)
la riduzione di lussazione di spalla richiede, indipendentemente dalla tecnica usata, tanto tempo .. quindi poco si addice ad un processo veloce quale il triage .
Molto ben fatto… Condivido! Anche la rivoluzioneCopernicana che vorrebbe spostare la assistenza da medicocentrica a Chi-ne-ha-competenzecentrica! Nel nostro piccolo triage l’ infermiere visita accuratamente il paziente (giordano, blumberg,murphy etc). Son ragazzi in gamba! Se non convinti non si lesinano Ecg ed ega… Diventa sempre più difficile screenare i pazienti, soprattutto a causa dell’aumento dell etá media e delle comorbiditá
Grazie Mauro, sono contento che esistano realtà in cui il mio auspicio è già applicato e funziona. Spesso il problema è trovare menti aperte e collaborative .. ma ahimè è impresa non facile .
Una piccola considerazione da uno studente: Come sarebbe bello se a poter fare il triagista ci mettessero i medici in formazione specialistica ( mi permetterei di dire di qualsiasi branca) visto che la figura del triagista, così come giustamente è stata auspicata da Carlo, presuppone, a mio modestissimo avviso, una formazione più medica che infermieristica. In fondo si parla di approcciarsi ad una diagnosi. Spero di non attirami le antipatie degli infermieri che frequentano il blog. In fondo sono l’ultima ruota del carro anche se un po’ confuso tra i vari ”dottori” che incontro nei reparti.
Egregio Roberto, la sua affermazione è ahimè priva di fondamento e le spiego subito il perchè; innanzitutto chi dice che l’approccio alla diagnosi sia di esclusiva competenza medica? Il triagista pur essendo infermiere ha conoscenze di semeiotica e clinica tali da poter approcciare al paziente, inoltre, l’obiettivo del triage non è la diagnosi clinica ma la codifica di priorità della necessità del paziente rapportata alla sua gravità ed in relazione alle risorse e disponibilità del ps. Lei ce lo vede uno specializzando in oculistica al triage ? .. Nell’articolo sostengo l’inadeguatezza del sistema medicocentrico e lei mi propone di mettere dei medici anche al triage? Grazie comunque per lo spunto di riflessione.
Ops, ho scritto Carlo……… forza dell’abitudine
Personalmente credo che bisogna lavorare ancora molto sulla figura Dell’ infermiere e ancora di più su quella del triagista!!!!!!!!! Fino a quando i ” professionisti infermieri” non acquisiranno consapevolezza del loro ruolo, non solo sulla carta ma in termini di responsabilità, il futuro sarà ancora costellato di galassie lontane e ancora non facilmente raggiungibili!!!!! Condivido con te questa prospettiva. Ah!!!!!!! È’ gratificante sapere che esistono colleghi così preparati e propositivi. Un augurio a tutti e buon lavoro.
Cara Katia, grazie per il commento. Credo che la consapevolezza del ruolo passi attraverso una buona preparazione ed il costante aggiornamento, solo così si può davvero formare dei professionisti degni di tal nome.
Chiamato in causa fortuitamente da Roberto, umilmente dico la mia su un tema così “caldo”.
Prima un chiarimento, non è vero che i medici non possano fare triage, ad esempio nelle maxi-emergenze è previsto che il medico affianchi l’infermiere nella valutazione dei pazienti. Il che è comprensibile, anche per condividere il peso di decisioni cosi pesanti in questo ambito, Stabilire che un paziente è talmente grave da non avere speranza non è cosa da affrontare a cuor leggero e credo sia giusto che sia una scelta condivisa.
Credo che il problema da affrontare sia quello di come porsi di fronte a quella che Mauro ha definito come una rivoluzione Copernicana. Il tema centrale non è chi debba fare cosa, è ormai scontato che al di fuori di particolari ambiti, sia l’infermiere a dover svolgere quel ruolo, ma riuscire a lavorare veramente in equipe. L’ostracismo ahimè non vien però solo da parte dei medici, almeno questa è la mia esperienza. Sono sicuro che con il tempo queste difficoltà verranno superate perché a tutti sta cuore il bene del paziente che si può raggiungere solo con la vera integrazione delle diverse figure professionali: infermieri . OSS, ausiliari e ovviamente medici.
Pensa che bello insegnare educare alla salute senza ansieta ai genitori a ridurre una pronazione dolorosa ai proprifigli o di altri
si puo’ e si deve fare 😉