giovedì 10 Ottobre 2024

Un ECG serve sempre

Ogni tanto capita che pazienti anziani completamente asintomatici vengano inviati in pronto soccorso dopo avere eseguito un elettrocardiogramma di routine con alterazioni simili a queste. Certo la prima cosa da fare è escludere un fatto acuto, ma non infrequentemente i markers di necrosi sono negativi, e allora che fare?
Queste modificazioni elettrocardiografiche posso rappresentare un fattore prognostico negativo o un fattore di rischio cardiovascolare?

Association of major and minor ECG abnormalities with coronary heart disease events è il titolo dello studio recentemente pubblicato su JAMA che ha cercato di dare risposta a queste domande.

Nella popolazione anziana i fattori di rischio per la cardiopatia ischemica abitualmente considerati nei pazienti di media età non sono altrettanto validati, d’altro canto le alterazioni elettrocardiografiche sono molto comuni in questa categoria di pazienti, così come le malattie cardiovascolari; l’incorporazione dell’elettrocardiogramma  tra i fattori di rischio in questo contesto potrebbe essere quindi di potenziale utilità.

Lo studio

2192 soggetti di età compresa tra 70 e 79 anni arruolati nel Health, Aging, and Body Composition Study (Health ABC Study) senza malattie cardiovascolari note sono stati seguiti per un periodo di 8 anni, dal 1996-97 al 2006-07. Gli elettrocardiogrammi di base e registrati a 4 anni sono stati classificati secondo il Minnesota code , un sistema di interpretazione elettronico degli ECG utilizzato nei trials clinici. Le alterazioni elettrocardiografiche classificate come maggiori o minori. Gli eventi cardiovascolari registrati sono stati : l’ infarto miocardico acuto, le morti per cardiopatia ischemica e le ospedalizzazioni per angina o rivascolarizzazione coronarica.

Obiettivo

Obiettivo dello studio valutare se le anormalità elettrocardiografiche di base o di nuova comparsa fossero associate ad un incremento di eventi cardiovascolari di natura ischemica.

Risultati
– All’ ECG di base 276 partecipanti (13%) avevano alterazioni elettrocardiografiche minori, 506 (23%) maggiori.
– Durante il follow-up, 351 soggetti ebbero un evento cardiovascolare di tipo ischemico (96 decessi, 101 infarti, e 154 ospedalizzazioni per angina o rivascolarizzazione coronarica)
– Sia le alterazioni elettrocardiografiche maggiori che quelle minori sono state associate, dopo una correzione con i tradizionali fattori di rischio, con un aumento della probabilità di eventi ischemici
– Dopo 4 anni, 208 soggetti avevano nuove anormalità nell’elettrocardiogramma mentre in 416 persistevano le vecchie precedentemente registrate.
– Sia le nuove che le vecchie alterazioni nell’ECG di superficie erano associate con un aumento di eventi cardiaci ischemici.

Conclusioni

Gli autori concludono che anormalità elettrocardiografiche sia maggiori che minori sono associate ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari di natura ischemica.

Commento

Come sottolineato dagli stessi autori e dalla US Preventive Services TaskForce vi è in genere accordo in letteratura a non eseguire uno screening elettrocardiografico di base nella popolazione generale. Questi dati però derivano da studi che includono una parte consistente di soggetti adulti giovani.
Questo studio nonostante diverse limitazioni, in primis il fatto di essere uno studio di coorte e non randomizzato, potrebbe in effetti fornire delle indicazioni  sull’utilità di un test a basso costo come l’eletrocardiogramma in una popolazione di per sé ad elevato rischio cardiovascolare.
Un problema aggiuntivo che si porrebbe poi, a mio avviso, è rappresentato dalla scelta del che fare una volta identificata l’anormalità elettrocardiografica in un paziente peraltro asintomatico.
Sebbene molti di noi guarderanno alle conclusioni di questo studio come la scoperta dell’acqua calda, l’interrogativo su se e quale test di secondo livello eseguire per una ulteriore precisazione diagnostica rimane una domanda a cui non è facile rispondere.

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Carlo D'Apuzzo
Carlo D'Apuzzo
Ideatore e coordinatore di questo blog | Medico d'urgenza in quiescenza | Former consultant in Acute Medicine | Specialista in medicina interna indirizzo medicina d’urgenza e in malattie dell’apparato respiratorio | #FOAMed supporter

5 Commenti

  1. Lo screening è sempre utile.
    Altrimenti che Medicina Preventiva esisterebbe?
    Ben vengano gli ECG che, però, non sono a costo così basso, per il SSN: infatti esiste un costo, che comprende anche il tempo infermieristico e il tempo del medico refertatore, oltre ai costi dell’esame in se stesso (compresa, banalmente, l’usura dell’elettrocardiografo e il costo della carta).
    Ripeto, ben vengano gli screening se servono a evitare problemi ai nostri utenti, prima che divengano pazienti…e se servono a ridurre costi successivi…(angioplastiche in urgenza, trombolisi, eccetera eccetera… 🙂

    • Sara, le alterazioni elettrocardiografiche erano in accordo con il Minnesota Code. Nel post trovi il link sia all’articolo di Jama che è scaricabile liberamente, che al Minnesota Code. In pratica le alterazioni minori sono quelle che abitualmente definiamo come aspecifiche.

  2. “… l’interrogativo su se e quale test di secondo livello eseguire per una ulteriore precisazione diagnostica rimane una domanda a cui non è facile rispondere”.
    Bello. Fantastico. Tutto giusto. A questo quesito, però, facciamo rispondere al di “fuori” del Pronto Soccorso… magari in un reparto di CardioGeriatria!

    • In un mondo che non è il nostro, ad esempio penso alla Norvegia, i pazienti che giungono al pronto soccorso sono solo quelli gravi. Al momento , per come è organizzato il nostro SSN, non vedo possibilità affinché questi pazienti possano essere valutati se non nei nostri pronto soccorso. Nella maggior parte dei casi un accesso diretto di un paziente come questo a un reparto di cardio-geriatria, ammesso che esista, sarebbe comunque improprio.

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