Esiste purtroppo uno stretto rapporto tra l’Area di Emergenza ed il paziente oncologico, rapporto che nessuno delle due controparti vorrebbe avere.
Capita troppo spesso che la prima diagnosi di tumore venga posta in Area di Emergenza che non è l’ambiente più sereno per poter comunicare una notizia di tale calibro…
Capita troppo spesso che il paziente oncologico sia costretto a richiedere aiuto e supporto al Pronto Soccorso per carenze e falle nel nostro sistema sanitario: a volte sono banalità ma a volte problemi molto seri.
Capita troppo spesso che il paziente oncologico termini il suo percorso di vita in Area di Emergenza, dove non vi è adeguata intimità e non è prevista privacy, solo sovraffollamento, non esiste una sala per la palliazione ed il massimo che si può offrire è una tendina sporca per creare una piccola alcova…
Scandagliando la letteratura scientifica ci accorgiamo come il rapporto tra queste due parti è suffragato da molti studi. Se ad esempio analizziamo i dati di questo grosso studio dal titolo “Oncologic emergencies in a cancer center emergency department and in general emergency departments countywide and nationwide” ottenuto dall’analisi di multipli registri e dall’analisi dei DRG possiamo notare come i pazienti oncologici rappresentino circa l’1% di tutti gli accessi.
Questi inoltre presentano un tasso di ospedalizzazione/di ricovero doppio o addirittura quadruplo della restante parte di popolazione. Sia l’età (58 vs 33 anni) che il tempo di permanenza in Area di Emergenza (12 vs 6 h) sono doppi rispetto alla controparte priva di neoplasia.
Gli accessi inoltre non si presentano in modo costante durante la settimana ma hanno un picco massimo il lunedì mattina che va scemando nei giorni successivi (raggiungendo il nadir durante il weekend). Questo tipo andamento, questo tipo di affluenza è tipico un po’ di tutte le patologie (chi di noi operatori di PS non odia il lunedì mattina) ed è probabilmente legato alla chiusura degli ambulatori nel fine settimana.
Nella piccola realtà cefaludese il numero di ricoveri in Oncologia rappresenta quasi il 10 % di tutti i ricoveri da Pronto Soccorso ed il paziente oncologico rappresenta circa il 4-6% di tutti gli accessi.
APPROCCIO
L’approccio al paziente oncologico critico è identico all’approccio a qualsiasi altro paziente critico e prevede l’utilizzo del solito approccio ABCDE. Punti di vista più recenti consigliano di spostare la C al primo posto in modo tale da avere un approccio CABDE che dà maggiore priorità alla Circolazione rispetto alle vie respiratorie.
Quello che posso suggerire è che sia che prediligiate l’approccio ABCDE o l’approccio CABDE, questi dovrebbero comunque essere ULTRASOUND IMPLEMENTED, come dicono gli inglesi, o integrato dall’utilizzo di una ecografia mirata e ragionata, come diremmo noi.
Ad ogni lettera corrispondono tante urgenze, che spesso si presentano nel medesimo modo, e l’ecografo è uno strumento eccezionale nell’aiutare non poco, a letto del paziente stesso, la diagnostica differenziale.
TUTTO A TUTTI? LESS IS MORE?
Il nostro motto LESS IS MORE è sempre valido anche in questo contesto, ma non deve essere sinonimo di cure inadeguate, deve essere qualcosa di ragionato, ponderato e condiviso. Parlando di percorsi ospedalieri e terapie è facile comprendere come non tutte le porte possano essere aperte per questa tipologia di pazienti. Pazienti con aspettativa di vita ridotta non devono terminare il loro percorso di vita in rianimazione. Capite bene come cadere nella trappola “accanimento terapeutico” sia estremamente facile.
Un’errata valutazione di un paziente oncologico non solo può sfociare in un eccesso di cura ma anche in un difetto di cura: due condizioni diametralmente opposte ma ugualmente sbagliate.
A tal proposito mi preme sottolineare come il paziente oncologico, più di molti altri, è vittima di quello che potrebbe essere definito “razzismo clinico” (passatemi questo neologismo). Non è un paziente che viene valutato per la sua problematica acuta, non è un paziente che viene valutato senza preconcetti, non è un paziente che viene valutato a tabula rasa. È un paziente a cui a prescindere è stata data una prognosi ed una sorte, una scadenza, spesso non basate su evidenze scientifiche ma sulla nostra impressione, del familiare che te lo affida, l’impressione del triagista o del collega che te lo lascia in consegna.
Da questa mia affermazione non può non derivare un richiamo alla cosiddetta “self-fulfilling prophecy” o “profezia che si auto-avvera”, una sorta di circolo vizioso in cui si può cadere.
L’idea iniziale delle caratteristiche e della prognosi del paziente influenza in modo così drastico le nostre decisioni da determinare a nostra insaputa il percorso di quel paziente. Il risultato finale non farà altro che confermare la nostra idea iniziale, solo che nelle nostre azioni c’è stato un vizio di forma.
Una sorta di cane che si morde la coda.
È mia opinione personale che il difetto di cura sia almeno tanto grave quanto l’eccesso di cura, ed è per questo che con il paziente oncologico ci troviamo sempre sul filo del rasoio: l’attenzione sul fare o sul non fare deve essere massima.
QUALI SONO LE URGENZE ONCOLOGICHE?
Quali sono le urgenze oncologiche? Sono moltissime, in figura ne ho ripreso solo alcune.
Una distinzione iniziale, che io farei, può essere la seguente:
- Quelle classiche, che tutti conosciamo e riconosciamo
- Quelle ignorate, che non tutti conosciamo, consideriamo e/ocomprendiamo
All’interno di questi post (saranno ben tre) tratteremo essenzialmente le urgenze classiche ma mi piacerebbe dedicare due parole alle urgenze “ignorate”.
Queste urgenze sono:
- Dolore
- Paura
- Depressione
- Rischio suicidario
- Palliazione
- Fine vita
- Dolore: è un paziente che ha spesso dolore. Questo non solo è un sintomo sottovalutato o sottostimato ma addirittura poco trattato. E’ un sintomo che spesso liquidiamo con del semplice paracetamolo o un FANS in muscolo ma che invece necessita riflessione ed un minimo di applicazione.
- Paura: è una persona che ha paura, che necessita rassicurazioni ed a cui è doveroso poterle dare, nei limiti del possibile. Non esistono farmaci per questo sintomo ma allo stesso modo, per quanto burberi o cinici, non esistono medici totalmente privi di empatia
- Depressione e rischio suicidario: è chiaro e palese che il convivere con questo male sia responsabile di deflessione del tono dell’umore. È anche chiaro in letteratura che il paziente oncologico ha un rischio suicidario più alto rispetto la popolazione generale.
- Palliazione/Fine Vita: sembra che non vi sia mai spazio in Area di Emergenza per affrontare questi temi, ma in realtà sono molto importanti. Sono delle vere e proprie urgenze! Il paziente oncologico giunge sempre da noi al termine del suo percorso di vita e noi siamo stranamente troppo sorpresi, a volte infastiditi o in alcuni casi arrabbiati, come se questa cosa con ci riguardasse, come se ci costringessero ad occuparci di qualcosa che non ci riguarda. Come se ci desse fastidio che qualcuno spaventato perché non sa quello che deve fare in una condizione che non ha mai affrontato prima decida di portare il proprio caro in Pronto Soccorso per aiutarlo. Un vecchio detto della medicina d’urgenza recita così: “siamo medici d’urgenza, salviamo vite e diamo buone morti”. Troppo spesso dimentichiamo cosa voglia dire dare una morte dignitosa.
URGENZE ONCOLOGICHE
Torniamo al motivo principale del post, ovvero le urgenze oncologiche classiche. Queste possono essere distinte in metaboliche, ematologiche, strutturali e secondarie al trattamento.
Alcuni esempi di urgenze oncologiche secondarie a problematiche metaboliche possono essere:
- Lisi tumorale
- Ipercalcemia
- SIAD
Urgenze-Oncologiche di tipo ematologico:
- Neutropenia febbrile
- Sindrome da iper-viscosità ematica
Esempi di urgenze oncologiche secondarie a cause strutturali sono rappresentate da:
- Compressione midollare
- Sindrome della vena cava superiore
- Tamponamento cardiaco
NEUTROPENIA FEBBRILE
La Neutropenia febbrile viene definita come il singolo riscontro di temperature corporea orale o ascellare > 38.3 °C oppure come una temperatura corporea > 38°C che perdura per più di un’ora in presenza di una conta neutrofila < 500 cell/μL.
La neutropenia febbrile, quale conseguenza di trattamento chemioterapico, è una delle emergenze oncologiche meglio conosciute.
Non tutti i protocolli chemioterapici sono responsabili in egual misura di neutropenia. Questa solitamente si sviluppa intorno al VII-X giorno dalla conclusione del ciclo terapeutico. La risalita del numero dei neutrofili comincerà circa 5 giorni dopo il nadir. La probabilità di febbre è tanto maggiore quanto maggiori sono la durata e la severità della neutropenia.
La Neutropenia potrà essere definita lieve, moderata, severa o profonda.
Un recente studio Argentino è stato in grado di mostrare l’incidenza delle principali cause di neutropenia febbrile in vari centri ospedalieri.
La causa principale era rappresentata dalla Chemioterapia per Neoplasie ematologiche (quasi il 60%). Il rimanente 40% era suddiviso in egual misura tra Chemioterapia per tumori solidi (primi fra tutti mammella e polmone) e neutropenia non correlata a chemioterapia (le leucemie erano la causa principale, seguite a ruota dalle infezioni – in particolare HIV).
Guardando la tabella salta subito all’occhio come i protocolli chemioterapici per neoplasie ematologiche abbiamo un rischio nettamente maggiore di sviluppare neutropenia febbrile rispetto a quelli per tumori solidi.
Tutte le neutropenie febbrili sono infettive? E quali sono i principali focolai infettivi?
Una reale infezione, attraverso esami colturali e/o sierologici, è documentata in circa 80% dei pazienti con neutropenia febbrile. Interessante notare come nel 14% dei pazienti non è documentabile un chiaro focolaio infettivo ma solo una positività ai test microbiologici.
I focolai infettivi principali sono rappresentati da polmonite e tratto gastroenterico (insieme raggiungono il 35% dei casi). In percentuali minori abbiamo a seguire infezioni cutanee, orofaringee, mucositi, flebili ed infezioni della zona perianale. Sebbene le singole percentuali siano apparentemente basse (intorno al 10%), questi 5 focolai all’unisono superano il 30%. È fondamentale quindi ricordare di visitare accuratamente queste zone in un paziente neutropenico con febbre.
Quando si è di fronte ad una eziologia batterica, questa è solitamente di origine endogena originando dal tratto intestinale (Escherichia coli, Enterobacter), cute (e.g., Staphylococcus, Streptococcus), e dal tratto respiratorio (Streptococcus). Ruolo importante nello sviluppo di batteriemia lo ha la traslocazione batterica secondaria alla distruzione della mucosa intestinale.
Negli ultimi anni si è avuto un passaggio di testimone tra batteri GRAM + e GRAM -, con una maggiore prevalenza dei primi. I GRAM – mantengono però il triste primato della mortalità (18% vs 5%).
Anche funghi e virus sono agenti comuni. I virus risultano particolarmente frequenti durante le epidemie stagionali, mentre i funghi tendono a essere presenti nei soggetti con neutropenia prolungata o nei soggetti che hanno ricevuto una terapia antibiotica empirica.
Il quadro clinico può essere inizialmente subdolo per poi degenerare rapidamente. Il paziente neutropenico è un paziente anergico che può non essere in grado di sviluppare tutti quei segni clinici che utilizziamo per fare diagnosi e stratificare il rischio di un soggetto “normale” o “classico”.
Il paziente neutropenico può non essere in grado di sviluppare o produrre:
- Pus
- Edema
- Versamento
Davvero un bel problema.
Volendo fare un esempio, a carico di un arto dove è presente dolore ed un lieve rossore durante lo stato di neutropenia può comparire con la risalita dei neutrofili edema, flogosi e chiari segni di una grave cellulite.
Quale approccio per il paziente con neutropenia febbrile?
- Obiettività clinica completa (fare attenzione a cavo orale, regione perianale e genitali)
- Ematochimici di routine
- 2 emocolture, esame delle urine ed urino coltura
- Radiogramma del torace (certamente integrato con ecografia toracica – dopo accurata disinfezione della sonda- ed eventuale TC del torace)
- Ecografia addome
- Se diarrea considerare colturale delle feci e/o ricerca di Clostridioides difficile
- Test per Influenza (durante l’inverno)
Una terapia antibiotica empirica ad ampio spettro andrà somministrata il prima possibile (entro un’ora sarebbe l’optimum).
Una recente review consiglia i seguenti schemi.
La terapia andrà modificata in base ai risultati delle colture o dei test sierologici.
Dimissibilità del Paziente con Neutropenia Febbrile?
Teoricamente possibile ma praticamente non so darvi una chiara risposta, data la mia limitata esperienza.
L’argomento è stato accuratamente trattato da Susanna sul Blog in un recente post.
Alcuni autori suggeriscono l’utilizzo del MASCC scoring tool.
Lo score è facilmente reperibile al seguente indirizzo MD Calc dove inoltre è presente una cospicua letteratura e tutti i pro e i contro di questo strumento.
Nonostante molti autori e studi suggeriscono la bontà di questo score per decidere la dimissibilità del paziente con neutropenia febbrile vi sono delle problematiche relative al suo utilizzo.
Innanzitutto è uno score creato per i pazienti ematologici anche se successivamente testato per i pazienti con neoplasie solide. Secondo, la sensibilità e la specificità di questo score non sono altissime.
Vi sono stati almeno 8 studi di validazione esterna che hanno mostrato un valore predittivo positivo che oscilla da 83 a 98% ed una sensibilità oscillante tra il 59 ed il 95%.
Mia personale opinione è che la dimissione ospedaliera del paziente con neutropenia febbrile sia possibile ma vada condivisa con paziente, familiari ed oncologo curante in tutti quei casi in cui vi siano le condizioni di base per poterla effettuare. Lo score è solo un tassello in questo programma.
Il MASCC score sembra invece avere un importante ruolo prognostico come si evince dalla tabella.
Due parole infine sui CSF (colony stimulating factors)
Una recente revisione Cochrane ha decretato che l’utilizzo dei CSF sembrerebbe non avere chiari effetti sulla mortalità (nonostante un trend positivo statisticamente non significativo, p = 0.23). Sono presenti però degli effetti secondari molto interessanti che potrebbero spingere al loro utilizzo.
- Ospedalizzazione maggiore di 10 giorni (effetto positivo, p = 0.03)
- Durata di neutropenia di grado severo (effetto positivo, p = 0.0004)
- Durata della febbre (effetto positivo, p= 0.02)
- Sospensione dell’antibiotico (effetto positivo, p=0.03)
Questi outcome secondari acquisiscono, in un’epoca in cui l’ospedalizzazione ha costi elevati ed in cui si cerca di attuare Antibiotic Stewardship, un sapore del tutto speciale.
Unico prezzo da pagare sembrerebbe quello degli effetti collaterali:
- Trombosi venosa profonda (differenza statisticamente non significativa tra i due gruppi)
- Dolori ossei ed articolari, maggiore nel gruppo CFS (p = .03) e legato alla stimolazione midollare (probabilmente è segno della ripresa della normale funzione midollare).
Tamponamento Cardiaco
Le neoplasie sono la principale causa di tamponamento cardiaco rappresentando da sole il 32% dei casi. Il coinvolgimento pericardico in alcune classi di pazienti oncologici può però essere considerato più frequente dato che alcuni studi autoptici hanno mostrato un coinvolgimento del pericardio in 2/3 dei casi. Inoltre è bene ricordare che a volte un versamento pericardico può essere la prima manifestazione di una problematica oncologica.
PROGNOSI
La prognosi di un paziente oncologico affetto da un episodio di tamponamento cardiaco è pessima
Si parla di una mediana di sopravvivenza di 150 giorni e di una mortalità ad un anno del 77%. È ovvio però che questi dati vanno interpretati alla luce della neoplasia sottostante. Le neoplasie ematologiche o la mammella a parità di presentazione clinica hanno prognosi nettamente migliore rispetto ad un tumore polmonare che si presenti con tamponamento cardiaco.
PRESENTAZIONE CLINICA
La presentazione clinica classica è caratterizzata dalla cosiddetta TRIADE di Beck:
- Ipotensione
- Turgore Giugulare
- Toni Cardiaci Ovattati
Un recente studio ha mostrato come la triade di Beck abbia sensibilità pari allo 0% non essendoci in questa serie pazienti con tutti e tre i segni clinici contemporaneamente. Questo sottolinea come la presenza di tutti tre i segni della triade di Beck sia un evento raro. La sensibilità di uno solo dei 3 segni si aggira intorno al 50%.
Oltre la Triade di Beck esistono vari segni e sintomi di tamponamento cardiaco che riporto nella tabella qui di seguito.
Il segno clinico più importante sembrerebbe essere il polso paradosso che è facilmente riscontrabile con un semplice sfigmomanometro.
Nella diagnosi ci si può aiutare, oltre che con l’anamnesi e l’esame obiettivo, con elettrocardiogramma e radiogramma del torace.
I segni elettrocardiografici di tamponamento cardiaco sono rappresentati da bassi voltaggi periferici, sottoslivellamento del tratto ST, tachicardia ed alternanza elettrica.
Nonostante una buona specificità dei dati ECGrafici, la sensibilità, come si evince dalla figura, non risulta adeguata alla esclusione della problematica.
Abbiamo poi il radiogramma del torace con i classici segni legati all’incremento delle dimensioni dell’ombra cardiaca con la comparsa del cosiddetto cuore a scarpa.
Il radiogramma non è un esame dinamico e quindi ha solo ruolo nella identificazione del versamento pericardico. La sensibilità non è male in letteratura.
Gold standard per la diagnosi è invece l’ecocardiografia che non solo permette la visualizzazione del versamento pericardico ma ci permette di capire se questo è emodinamicamente significativo.
L’approccio consigliato è quello sottocostale, ma tutte le finestre consentono di esprimere un giudizio sereno sul grado e gravità del versamento.
L’identificazione del tamponamento cardiaco dal punto di vista ecografico non risulta particolarmente difficile in particolare nel paziente critico. Esiste poi una zona grigia in cui conviene affidarsi a chi ha più esperienza. Ricordo inoltre che possiamo distinguere due condizioni:
- Il tamponamento “ecografico” in cui sono presenti chiari segni ecografici di tamponamento ma il paziente presenta una emodinamica tutto sommato stabile
- Il tamponamento “clinico” in cui sono necessariamente presenti i segni ecografici ma subentrano i segni clinici di ipoperfusione e shock
1. Swinging heart: a volte chiamato swimming heart
è legato al movimento di oscillazione che il cuore ha durante il ciclo cardiaco a causa dell’abbondante versamento. Personalmente non lo utilizzo come criterio ecografico perché si riscontra spesso nei versamenti pericardici cronici.
– Collasso diastolico dell’atrio destro
La sensibilità e la specificità oscillano molto in letteratura. È un segno precoce di tamponamento cardiaco, segno che la camera cardiaca a più bassa pressione (l’atrio destro appunto) è impegnata emodinamicamente. Ricordo che la diastole atriale corrisponde alla sistole ventricolare e quindi avviene subito dopo attivazione elettrica dei ventricoli (subito dopo il QRS se avete traccia ECGrafica).
- Rapporto tempo di collasso atrio destro/ciclo cardiaco
Difficile da valutare in Area di Emergenza ed in Urgenza in generale in quanto necessita della traccia elettrocardiografica. L’incremento della durata del collasso aumenta la specificità del segno.
- Collasso diastolico del ventricolo destro
Segno che la pressione intrapericardica è tale da impedire il riempimento diastolico del ventricolo destro.
- Modifiche respiratorie dei flussi trans-valvolari
Necessita di esperienza ecocardiografica e denota la comparsa di interdipendenza ventricolare. Cosa vuol dire? Lo spazio intrapericardico è notevolmente ridotto, gli atti del respiro (modificando pressione intra-toracica ed intra-addominale) faciliteranno il riempimento di una metà del cuore alla volta (sezioni destre e sezioni sinistre) creando delle tipiche modifiche respiratorie dei flussi transvalvolari.
- Vena cava inferiore > 20 mm e con modulazione respiratoria <50%
Sembra non possa esistere un tamponamento cardiaco senza VCI pletorica ed in fatti la sensibilità è molto alta (97%). Se siamo in presenza di una vena cava piccola e con completo collasso respiratorio la possibilità che il nostro paziente abbia un tamponamento cardiaco si riduce drasticamente ma non è impossibile. Potremmo essere di fronte ad un tamponamento cardiaco a “bassa pressione” come nel caso di pazienti ipovolemici o traumatizzati.
Quest’ultimo video, molto interessante, mostra una invasione neoplastica da epatocarcinoma di atrio destro, mediastino posteriore e pericardio. Non essendo possibile il collasso dell’atrio destro per ‘invasione’ dello stesso, le camere a bassa pressione sono diventate atrio sinistro e ventricolo destro. Queste come si evince dal video sono le uniche che tendono a collassare durante il ciclo cardiaco.
Trattamento
Il trattamento prevede la pericardiocentesi (rischio di recidiva 60%) o la creazione di una finestra pericardica.
Per la stratificazione del rischio e la necessità di pericardiocentesi in urgenza vi rimando ad un mio vecchio post sull’argomento. In questo post viene anche affrontata la gestione con i liquidi che dovrebbe essere parca secondo le attuali evidenze.
Qui accenno solamente che il paziente oncologico con un versamento pericardico ha una probabilità, un rischio, di evolvere verso il tamponamento cardiaco maggiore rispetto a soggetti con versamenti di altra natura.
Bibliografia
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